Le esplorazioni di D’Alema per non andare alle urne

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Le esplorazioni di D’Alema per non andare alle urne

01 Febbraio 2008

La scenetta, emblematica, si è consumata durante la
teatrale caduta di Prodi al Senato una settimana fa. Massimo D’Alema, anch’egli
precipitatosi a Palazzo Madama per presenziare l’ultima esibizione della
maggioranza morente, dapprima, non si se o meno consapevolmente, non era
riuscito a trovare uno scranno libero tra quelli spettanti al Governo in
quell’occasione affollatissimi e aveva così ripiegato su una postazione
intermedia, sovente in piedi, per seguire la discussione  e sondare così gli ultimi umori
dell’Assemblea. Poi era toccato al preoccupatissimo Padoa Schioppa lasciargli
la destra di Prodi in sede di replica del Presidente del Consiglio,
raffigurando così, extrema ratio, la
forza impotente di un Governo che per l’ultima arringa si rappresentava coeso
con il suo premier.

Tuttavia non appena udita la solenne declamatoria di
Mastella e recepito il decisivo ed irreversibile avviso di sfratto, ecco il
nuovo e definitivo spostamento del Ministro degli Esteri che abbandonato Prodi
al suo destino compariva in una repentina “traslatio dal Governo al
Partito” accomodato questa volta accanto al Capogruppo Anna Finocchiaro,
affiancandola nella appassionata dichiarazione di voto immediatamente
precedente alla chiama della fiducia.

Per chi sa cogliere l’importanza  delle ritualità dell’Aula, e  a ulteriore conferma della proverbiale arguzia
del Massimo nazionale, le grandi manovre che in questi giorni vedono protagonista
l’ex presidente dei Ds non devono stupire più di tanto. Secondo indiscrezioni abbastanza
verosimili infatti l’inquilino della Farnesina sta giocando pervicacemente una
propria personale partita per evitare il ritorno immediato alle urne e
consentire, di contro, il formarsi di un esecutivo tecnico che si incarichi
della riforma del sistema di voto e che contestualmente consenta di andare
oltre gli scenari attuali.

Da qui ecco iniziata un’accurata opera di tessitura
diplomatica da un lato rivolta al Quirinale, dove siede pur sempre un vecchio
compagno di partito, e dall’altra ai vertici dell’opposizione per persuaderli
alle lusinghe di un accordo in extremis sulla legge elettorale. Del resto era
stato lui stesso ad auspicare nemmeno troppo velatamente questo tipo di sbocco
della crisi, consigliando ad un quanto mai ostinato Romani prodi di salire al
Quirinale prima ancora di incassare la sfiducia nell’Aula di Palazzo Madama. Ma
anche dopo il “niet” del Professore e la sua rovinosa caduta, il
nostro non si è dato per vinto ed ha calendarizzato in pochi giorni una
fittissima sequela di appuntamenti e colloqui, perlopiù volti a sostenere un
governicchio Marini che scongiuri lo spauracchio dell’immediato ricorso alle
urne.

Nella chiacchierata col Presidente del Senato, il
Ministro degli Esteri ha infatti spiegato che andare al voto con il fardello di
un governo Prodi in carica per gli affari correnti, condannerebbe il Pd ed il
centrosinistra ad una sonora disfatta elettorale, tale da estromettere la
dirigenza del loft di Sant’Anastasia da qualsiasi possibilità di larghe intese
all’indomani della probabile vittoria della Cdl. Parallelamente la diplomazia
della Farnesina misuravano anche l’atmosfera di Palazzo Grazioli non esitando a
mettere sul piatto dell’accordo di responsabilità anche una legge  a vocazione maggioritaria in grado di far
accarezzare al Cavaliere l’idea di correre da solo alle prossime elezioni. D’altra
parte la stessa, speculare, promessa veniva fatta nello stesso tempo a
Perferdinando Casini questa volta blandendo il leader centrista sulla base di
un modello tedesco interamente proporzionale magari prodromico alla formazione della
oramai celeberrima “Cosa Bianca” come intercapedine e ago della
bilancia tra i due poli.

Dopo un primo spiraglio con tanto di apertura in
solitaria di Mario Baccini e Bruno Tabacci e sebbene ai riservati desiderata di
D’Alema fosse seguita l’esplicita dichiarazione di convergenza di Luca Cordero
di Montezemolo ed altre rappresentanze di categoria, da Via 2 Macelli facevano
infine sapere di non essere interessati a dare sangue al Pd, rimanendo così
coerenti sulle ragioni delle altre forze della Cdl.

Battuto, senza significativi riscontri, il terreno
parlamentare così al sagace ex Presidente dei ds non restava che la scesa in
campo in presa diretta con il proclama alla “ragionevolezza e alla
responsabilità delle riforme” recitato in prima serata sulla tv pubblica.
Una declamatoria di lungimiranza e saggezza rivolta direttamente al Paese dagli
accoglienti studi del Tg1. Insomma un impegno “Massimo”, per evitare
di rassegnarsi alle urne e favorire in ogni modo una transizione guidata da
parte di un alta figura istituzionale individuata nella persona di Franco
Marini. Facile prevedere che a quest’ultimo col conferimento del preincarico da
parte del Quirinale, si chieda, anche nel caso, più che probabile, di
consultazioni che non scaturissero nell’aggregazione di un ampia maggioranza
sulla legge elettorale, il sommo sacrificio di 
presentarsi alle Camere solamente per destituire definitivamente l’ingombrante
Prodi e avocare su di sé la funzione di governo per gli affari correnti e
l’indizione dei comizi elettorali. In questo modo, il Pd nella regia sapiente
di D’Alema potrebbe guadagnare qualche settimana in più nella speranza di organizzarsi
meglio per il voto e soprattutto, sbarazzatosi della figura di Prodi come
premier, potrebbe ancora coltivare in campagna elettorale la speranza di
ridurre il gap che attualmente lo separa dalla Cdl.

Sin qui siamo alle velleità di Massimo perfettamente
coincidenti  con quelle della segreteria
del loft di Sant’Anastasia. Ma i bene informati sostengono che oltre a questo
legittimo tentativo di tirare acqua al mulino della sua parte politica, nelle brame
e nelle insistenti manovre del titolare della Farnesina ci sia l’esigenza di
riconquistare un posizione di forza all’interno del proprio partito e di non
lasciare troppo spazio ai progetti “new age” del suo peggior amico
Walter Veltroni. Nel propugnare con tutte le sue forze una nuova normativa
elettorale infatti D’Alema, oltre che ad ammortizzare la sconfitta elettorale,
pare che punti a scongiurare il controllo della liste che mediante le attuali
disposizioni avrebbe di diritto il segretario del Pd. Questi blindando le
candidature dei suoi fedelissimi avrebbe vita facile nell’affondare il colpo e
sbaragliare le resistenze interne alla sua leadership.

È di queste ore, non a caso, la sottile ma
significativa polemica intercorsa tra D’Alema stesso e il direttore del Foglio
Giuliano Ferrara riscopertosi consulente proprio di Veltroni per un modello di
partito che superi il correntismo e i notabilati in nome di una centralità
ideale e programmatica della figura del leader eletto. Uno sviluppo, sulla scia
idealtipica  della candidatura di
Segolene Royal,  che inevitabilmente
finirebbe per mettere all’angolo proprio “l’elefante” della Farnesina
estromesso in un colpo solo da ogni possibilità di governo e dalla leadership
del partito.

Ovvio quindi che il nostro nei prossimi giorni perseveri tenacemente nelle
sue finalità e continui ad industriarsi in tutti i modi, ivi compreso
stupefacenti “mosse segrete” filoreferendarie,  per evitare di raggiungere Prodi in
prepensionamento.