Le Europee, la Le Pen e la vittoria di Pirro
06 Giugno 2019
Alla fine hanno perso tutti; questo è stato l’esito delle elezioni europee in Francia. Per quanto questo risultato possa sembrare paradossale, e per quanto si sia provato a mascherare le varie dèbacle dietro a sorrisi sornioni ed affermazioni aggressive da parte dei leader forti del momento, la constatazione politica è inevitabile guardando i numeri e combinandoli con le aspettative che i diversi schieramenti avevano prima delle elezioni. Iniziamo da quelli che sono gli sconfitti acclarati: la coalizione di centrosinistra, affiliata al Partito Socialista Europeo, e il centrodestra Repubblicano, erede del vecchio UMP e collocato con i Popolari Europei. I due partiti di centro che una volta erano l’asse portante della quinta Repubblica francese arrivano oggi, insieme, al 20% dell’elettorato. Per fare un paragone, basti dire che alle scorse europee del 2014 i loro voti sommati portavano superavano il 45%. La sconfitta dei partiti moderati è imputabile ad un mix di fattori, sia endogeni che ascrivibili ad un trend europeo, che conosciamo benissimo e che anche questo giornale ha più volte riportato. La sinistra francese è ormai poco più di un rivolo di partiti e correnti, al confronto della quali il nostro Partito Democratico sembra una realtà forte e granitica. Raphaël Glucksmann, il candidato di punta della coalizione socialista di queste europee, era in realtà frutto di un compromesso tra realtà politiche che da sole non avrebbero raggiunto il quorum: il partito socialista, il partito radicale di sinistra, diverse piattaforme civiche e il suo stesso nuovo partito nato “per fare sintesi tra tutti gli altri”, ossia Place Publique. Il 6% ottenuto dalla coalizione rispecchia lo stesso risultato dell’estrema sinistra di Mèlenchon, il cui partito, La France Insoumise, con le sue posizioni progressiste vicine all’ala più estrema dei democratici americani si sta disputando ciò che resta di quel tipo di elettorato. Dall’altra parte vediamo il declino inarrestabile del partito di centrodestra conservatore “I Repubblicani”, il cui leader Laurent Wauquiez ha perso la scommessa di costruire un’alternativa moderata alla Destra di Le Pen: a conti fatti i francesi hanno scelto l’originale, premiando più lo sforzo del Resemblement National di guardare al centro che quello dei Repubblicani di fare propri i temi della Destra. Wauquiez ora è dimissionario e chiunque ne prenda il posto dovrà chiedersi se lo storico partito di centrodestra abbia ancora un senso di esistere come realtà autonoma, o se invece non abbia più senso accettare la scissione dell’ala macroniana del partito (che confluirebbe verso En Marche!) per poi costruire una “seconda gamba” a sostegno del Rassemblement. L’idea ricorda qualcosa di molto italiano e forse non è un caso che ad avanzare quest’ipotesi sia stata recentemente Marion Le Pen, grande conoscitrice delle dinamiche nostrane.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. I due partiti maggiori dello schieramento politico, infatti, si stanno disputando il primato nazionale, ma nessuno dei due può dire di aver stravinto, o meglio vinto quanto basta da poter essere certo di un determinato esito in caso di elezioni nazionali. Emmanuel Macron è ormai indubbiamente il punto di caduta di ogni voto moderato nel Paese e i consensi del suo En Marche! hanno drenato gli altri partiti di centro rendendoli, come visto, ininfluenti. Il 22.3% strappato dall’ex allievo dell’ENA è in effetti un ottimo risultato, sotto certi versi addirittura inaspettato dopo due anni passati all’Eliseo e pieni di momenti difficili, come quello dei gilet gialli (politicamente non pervenuti, come da molti sospettato). Il centro francese, guidato da Macron,regge quindi all’assalto del Rassemblement National di Marine Le Pen, che nonostante il suo 23.5% non riesce a sfondare. Come il suo predecessore, il Front National, anche il nuovo partito di Le Pen si conferma primo, ma con uno scarto così minimo rispetto al suo alter-ego liberale da far sembrare anche questa una vittoria di Pirro. Un altro motivo per le due forze maggioritarie di rallegrarsi ben poco del risultato ottenuto è l’inaspettata “onda verde” che ha travolto anche la Francia, così come la Germania, consegnando un ottimo 14%, fatto di elettori giovanissimi stregati da Greta Thunberg, al carismatico e consumato leader ecologista Yannick Jadot. L’offerta politica dei verdi potrebbe essere il segnale di una rinascita della sinistra che, analogamente a quanto avvenuto al centro, punta su nuove realtà, nuovi programmi (vicino agli studenti e lontani dai lavoratori) e nuovi volti per contendere lo spazio ai liberali e ai sovranisti. Insomma, se effettivamente domani si dovesse andare al voto, come auspicato da Marine Le Pen, il risultato ad oggi sembra più che mai incerto, e la divisione radicale dell’elettorato in Francia (così come nel resto d’Europa) riflette visioni del mondo opposte, nessuna delle quali sembra ancora in grado di prevalere.