Le impronte (digitali) del multiculturalismo
03 Luglio 2008
di redazione
Qualche settimana fa Silvana Zanovello, sul ‘Secolo XIX’, ha ricordato la tragedia di tanti piccoli schiavi dell’entroterra ligure che nell’Ottocento, venivano venduti a Londra a biechi trafficanti che li sfruttavano spesso sia come mendicanti che come oggetti sessuali. Particolarmente straziante il caso di Anna Bacicalupo che, ceduta dal padre Giovanni per 8 franchi al mese a tal Giovanni Tiscornia, morì a soli 16 anni per una malattia venerea. Un ministro amico di John Stuart Mill,che avesse deciso di por fine a tale infame commercio sarebbe passato alla storia come un grande benefattore e salutato dalla sinistra come un ‘amico del genere umano’. I tempi cambiano. Oggi Maroni, per voler mettere mano allo sfruttamento dei bambini rom, viene accusato dalla sinistra di essere un razzista della peggiore specie. Prima di prendersela con ‘Repubblica’ e con i farneticanti articoli sul tema di Stefano Rodotà e Adriano Prosperi, occorre chiedersi, però, quanto a tale cambiamento abbia contribuito quel ‘multiculturalismo’ che, in qualche sua significativa espressione, altro non è se non il vecchio corvo oscurantista rivestito di penne rosse e verdi.
Dino Cofrancesco