Le indagini di Maigret partono quasi sempre da una buona mangiata
11 Ottobre 2009
Con la sua sconfinata produzione letteraria, Georges Simenon non solo ha cercato di indagare i complicati meccanismi del vivere umano (sforzandosi di comprendere i motivi e le ragioni che determinano ogni singola azione), non solo ha creato figure immortali di piccoli grandi uomini, ma ha anche realizzato un autentico monumento alla cucina francese.
Nei suoi innumerevoli romanzi, infatti, molto spesso vengono descritte le pietanze più tradizionali, dal semplice piatto fatto in casa, alla più raffinata cena parigina, nel rispetto delle origini e nella esaltazione delle rispettive qualità. D’altronde anche in questo campo Simenon fu condizionato dalle esperienze maturate nella sua lunga e straordinaria vita. Nato da padre vallone e da madre fiamminga, con qualche ascendenza tedesca, era stato abituato fin dall’infanzia ad apprezzare le qualità e le caratteristiche di entrambe le cucine.
Quella del padre consisteva soprattutto nella preparazione di bistecche tagliate sottili e molto cotte, accompagnate da un contorno di piselli e patate fritte; la madre – invece – prediligeva stufati con molta pancetta e verdure, carote, cipolle, porri. Lei amava i sughi cotti a lungo, a fuoco lento. Quando il padre dello scrittore, di professione assicuratore, tornava a pranzo dall’ufficio, la moglie ed il figlio avevano già finito di mangiare; egli scopriva come la sua minestra, messa sul fuoco fin dalle sette del mattino, cotta a fuoco basso, e appena riscaldata, si rivelasse ancora gustosissima. In casa Simenon prevaleva, tuttavia, la cucina belga, con abbondanza di cozze e patate fritte: queste ultime comparivano nel menù familiare almeno tre volte la settimana.
Elencando i piatti preferiti della sua infanzia, Simenon usava citare, tra gli altri, i maccheroni gratinati al formaggio ed il flan (“Mia madre ci preparava il flan quando eravamo a letto ammalati”). Lo stesso scrittore racconta come, verso gli otto anni prediligesse le cozze e la torta di riso. Il piccolo Georges coltivava una vera passione per questo dolce tipicamente belga, ben conosciuto, però, sia dai valloni che dai fiamminghi. Di questa leccornìa sarà ghiotto anche Maigret, che lo scoprirà nel 1932 (Chez les Flamands). Il più celebre dei personaggi usciti dalla penna del romanziere belga, infatti, è un raffinato buongustaio. Egli ama cibi semplici e tradizionali, gustosi, invariabilmente legati alle loro origini, preferibilmente preparati in casa o in vecchie locande e bistrot tradizionali.
Al cibo, infatti, il Commissario, come fa con ogni sua azione, associa collaudati rituali, attribuisce significati del tutto particolari e personali, conferisce un ruolo determinante nel regolare il ritmo della vita quotidiana. Secondo il suo umore, decisamente variabile, egli decide, appena sveglio, se consumare la prima colazione in casa o nella vicina brasserie; si predispone a sorseggiare un semplice caffè ovvero a gustare fragranti croissant, uova soda e prosciutto, concedendosi finanche (davanti ad increduli presenti, quali il fedele Lognon: Maigret et le fantôme) il primo bicchiere di vino bianco della giornata; si appresta, insomma, a gestire, in modo ogni volta diverso, gli impegni quotidiani sempre onerosi. “Cosa c’è per colazione?” chiede con invincibile curiosità ad uno sconosciuto barista (Maigret et l’Indicateur).
Anche nel corso del giornata, scandita da ritmi collaudati, ma mai monotoni, Maigret decide quando, dove e cosa mangiare, in virtù del singolo momento. A pranzo, nonostante la moglie ogni giorno regolarmente prepari con scrupolosa attenzione piatti particolarmente gustosi, ed apparecchi con amorevole cura la tavola, Maigret finisce spesso per fermarsi in ufficio. Qui consuma, solo raramente con i propri collaboratori, grossi sandwich al prosciutto o al formaggio, bevendo birra da giganteschi boccali. Mangia lentamente, guarda la Senna, pensa all’indagine in corso, cerca di elaborare una strategia investigativa, si predispone all’accensione della stufa e della pipa e, quasi in estasi, si prepara ad immergersi nell’inchiesta che lo occupa.
A volte, invece, è proprio l’inchiesta in corso che gli impedisce di tornare in ufficio; Maigret (non senza una sottile soddisfazione) è “costretto” a recarsi a mangiare presso la adorata Brasserie Dauphine, dove il proprietario, divenuto ormai suo amico, gli offre le sue pietanze preferite. “Che minestra hai fatto?”, chiede con ansia, sedendosi su uno sgabello; “Di pomodori” gli risponde con aria soddisfatta l’oste (Maigret). Ogni sera Maigret, salendo le scale che lo portano al proprio appartamento in Boulevard Richard-Renoir, la cui porta viene aperta dalla moglie appena sente avvicinarsi il suo pesante passo, cerca di indovinare quale delizia culinaria la stessa gli abbia preparato. Non era raro che la sera precedente egli avesse accompagnato l’amata Louise ad acquistare del fegato lardellato: si preparava, pertanto, a gustare fegato di maiale farcito.
A lui non piacciono piatti sofisticati! Ad un vecchio amico, che arricchendosi era divenuto “snob”, e che lo aveva invitato a cena, si era deciso a dire senza mezzi termini: “… Il menù era di grande qualità, ma i piatti non avevano sapore, non sapevano di nulla!” (L’ami d’enfance de Maigret). Come la madre per il piccolo Georges, anche per Maigret, allorquando l’influenza lo costringe a letto, l’amorevole moglie prepara pietanze speciali: uova al latte e crema al limone o crème caramel.
Il Commissario è diffidente, non ama consumare cibi che non conosce, disdegna recarsi a mangiare in posti non congeniali. Quando ne era costretto (La colère de Maigret), quasi rispettando un rito scaramantico chiedeva sempre: “Si può mangiare da voi?”, ricevendo l’ovvia risposta “E’ naturale che si può mangiare”. Quindi, seguendo la tecnica “progressiva” degli interrogatori, proseguiva l’indagine: “Cosa preparate?”. Si tranquillizza solo apprendendo che nel menù sia compresa qualche pietanza a lui gradita (fricandò, arrosto di maiale con lenticchie, un buon patè di campagna).
Il Commissario è un animale abitudinario: i ritmi della sua vita prevedono sempre una cena settimanale (il giovedì) con i coniugi Pardon. A settimane alterne i Maigret si recano presso l’abitazione degli amici, ovvero li ricevono in Boulevard Richard-Renoir. Con l’amica Madame Pardon (moglie del medico Pardon) Louise Maigret scambia ricette che si aggiungono al patrimonio culinario della casa degli ospiti. Quelle svelate dalla moglie del Commissario sono spesso ricette che provengono dall’Alsazia, suo paese di origine.
I segreti appresi, invece, vengono da lei trascritti con cura su un quaderno acquistato dal marito in una cartoleria di Montmartre dov’era andato a chiedere informazioni, per una delle sue prime inchieste. In quell’occasione Maigret era stato costretto a comperare due quaderni, per rabbonire la vecchia cartolaia che si era innervosita, diventando scostante e sospettosa. Li aveva entrambi regalati alla moglie; nell’altro quaderno Madame Maigret usava incollare i ritagli di giornale che parlavano di suo marito. Era quest’ultimo quello che le stava più a cuore!