Le lezioni di politica in classe rendono i ragazzi meno liberi di pensare

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Le lezioni di politica in classe rendono i ragazzi meno liberi di pensare

29 Marzo 2011

In quarta elementare, di solito, si insegna a far di conto: si impartiscono lezioni di grammatica, di geografia, si introducono i primi elementi di conoscenza della storia nazionale, si parla dell’Unità d’Italia, ricorrendo i suoi 150 anni. E, ancora, si insegna ai bambini ad esprimersi correttamente, per preparare le giovani generazioni a dialogare con proprietà di linguaggio e con la giusta costruzione del pensiero. Ai giovani tutti, a quelli di quarta elementare compresi, non si deve mai insegnare, invece, a odiare qualcuno. Si tratti di Silvio Berlusconi o di chiunque altro, che sia il Presidente del Consiglio o il capo dell’opposizione, l’odio deve restare fuori, specialmente dalle classi.

Alle elementari la preparazione di base è molto importante. I giovani, con la stessa velocità con cui apprendono le nozioni, acquisiscono anche abitudini espressive scorrette e tali da non saper riportare con frasi chiare e finite i loro concetti. Le lacune poi restano e provocano non pochi imbarazzi quando si va avanti con gli studi, quando si assume una responsabilità di lavoro, quando ci si deve rapportare con gli altri.

Un insegnante deve avere, quindi, molta pazienza e nutrire molto amore per i bambini, sapendo rispettare la loro innocenza e non provando in alcun modo e per nessuna ragione a strumentalizzare il loro pensiero. Non si può, infatti, scambiare la libertà d’insegnamento con il subdolo indottrinamento di adolescenti, per di più impossibilitati, per la giovane età, a difendere il loro sacrosanto diritto a sviluppare nel tempo sia il proprio pensiero che un più articolato spirito critico.

Si sostiene che gli adolescenti di oggi saranno i testimoni futuri della nostra civiltà. Tanto più, pertanto, sarà data loro la possibilità di acquisire i principi della tolleranza, tanto più sarà possibile formare, per il domani, uomini saggi e predisposti al sapere. Solo il pluralismo dei punti di vista, che è il primo valore della democrazia, può stimolare nelle giovani generazioni la curiosità d’incamminarsi verso il bene della conoscenza, il cui percorso non è mai facile e rapido. E le diverse articolazioni delle idee aiutano a comprendere che la soluzione delle cose non è mai un piatto ben cotto e condito, già servito sulla tavola, come vorrebbe far pensare la maestra che trancia giudizi di merito e che indica ai bambini le sue scelte assolute.

La vita è sempre molto più difficile e complessa di quanto non appaia. Serve conoscere il più possibile di ciò che circonda l’uomo e il suo tempo per percorrere in modo più rapido il lungo tratto dell’impervio sentiero che porta al sapere: ma alla conoscenza ci si avvicina soltanto con la ragione, non utilizzando idee già preconfezionate, luoghi comuni, verità assolute e pregiudizi.

E’ capitato che il Dirigente responsabile dell’Ufficio Scolastico provinciale di Bari, Giovanni Lacoppola, abbia dovuto scrivere una lettera ai Dirigenti delle scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado delle province di Bari e Barletta-Andria-Trani avente per oggetto la questione “lezione di politica in classe”. Una lettera molto intelligente, saggia e civile con la quale il Dirigente si duole di non riuscire a “comprendere perché, alle volte, la scuola si trasformi facilmente ed improvvisamente in un luogo nel quale un docente possa impunemente tramutare una serena aula in un palco da comizio da cui scagliare focose invettive contro un leader politico”.

Gli insegnanti seri sono quelli capaci di educare una moltitudine di individui e, soprattutto, di formare quei giovani che, posti dinanzi alle scelte, invece di cercare le soluzioni nel proprio “bignami” ideologico, si impegnino nel cercare le soluzione possibili e che, per farlo, si adeguino anche a pensare. Accadeva già ai tempi di Socrate e Platone che i giovani fossero sollecitati a respingere il metodo del pregiudizio per coltivare invece il metodo della scelta critica, consapevole e razionale.

Le violenze sui minori non si esauriscono con gli atti tipici, come ad esempio con le percosse e le sevizie, o spegnendo il sorriso sui loro volti, o sottraendone l’innocente giovinezza, oppure ancora tenendoli segregati, impedendo loro di giocare con i loro coetanei, privandoli delle carezze dei genitori: è violenza anche impedire il libero formarsi del pensiero. E’ altrettanto violento quel modo di inculcare, con la forza autoritaria, con il condizionamento psicologico, con i mezzi e gli strumenti educativi, un pensiero unico. 

L’educazione dei bambini al pensiero unico è, non a caso, il metodo usato dalle dittature per formare i quadri di partito e i sudditi del regime. In democrazia, invece, la scuola deve avere la funzione di predisporre i giovani ad arricchire il bagaglio delle proprie idee. Il pluralismo, in una Nazione libera, è un valore prioritario che deve consentire a tutti, agli studenti a maggior ragione, di allargare il ventaglio della conoscenza alle ipotesi e alle idee più diverse, tali da consentire di compiere nella vita le scelte che l’elaborazione del proprio pensiero può ritenere più giuste.

Se i giovani, invece, sin dall’infanzia e nella scuola, vale a dire in uno dei tre pilastri del loro processo formativo (famiglia-scuola-società), non sono messi nelle condizioni di comprendere che nelle comunità si articolano diverse opinioni, se non si insegna loro che dal confronto delle diverse idee emerge il principio della democrazia, che è sempre scelta condivisa, gli stessi giovani non riusciranno mai a percepire le motivazioni che sono alla base dei loro diritti e dei loro doveri. Quando non si percepiscono le regole, però, accade che la civiltà regredisca a tutto vantaggio della barbarie.