Le “mancette (agli) statali” del Pd per salvare il salvabile
19 Gennaio 2018
Mance e mancette elettorali, si ricomincia. Mentre il presidente del Consiglio attacca chi fa troppe promesse elettorali (in prima fila, naturalmente, c’è Berlusconi, anche se Gentiloni ha l’accortezza di non nominarlo), lo stesso premier, visto che ancora, essendo al governo, dispone di una posizione privilegiata, passa al contrattacco e affretta il famoso aumento agli statali già promesso più volte. Oggi il Consiglio dei ministri ha dato l’ok definitivo all’accordo sul contratto di dipendenti pubblici, dopo l’intesa raggiunta a dicembre tra sindacati e Aran. Ironia dei numeri, la cifra che i lavoratori si ritroveranno in più nella busta paga è ancora una volta intorno agli ottanta euro, a parte gli arretrati. E quando scatterà l’aumento? Ma naturalmente a partire da marzo. Anzi, stando ai tempi previsti dalla trafila burocratico-istituzionale per rendere la pratica operativa, i soldini dovrebbero entrare nei conti correnti degli statali a cinque giorni dal voto. Come dire, noi non facciamo promesse, ma fatti, soldi veri: votateci!
Delle mance elettorali non si butta via nulla, e si possono sempre riciclare: questa è servita più volte, prima come annuncio, ora come realtà. Già quando si era in vista del referendum costituzionale, infatti, Renzi annunciava che “dobbiamo lavorare per sbloccare l’adeguamento salariale e i contratti del pubblico impiego, è una misura di equità”. Un messaggio nemmeno troppo velato rivolto soprattutto ai sindacati con i quali l’ex premier aveva bruscamente rotto i ponti dopo l’approvazione del Jobs Act. Peraltro scaricandoli in malo modo con la famosa frase: “Se ne faranno una ragione”. Un messaggio “di pace”, dunque, per cercare di ricucire e raccattare consensi per il Si alla consultazione referendaria. Il miliardo per il rinnovo del contratto agli statali inserito nella legge di bilancio andava proprio in questa direzione. E così il ministro Madia, a pochi giorni dal voto, poteva annunciare festante la convocazione dei segretari di Cgil, Cisl e Uil per firmare l’accordo per il rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici che sanciva l’aumento medio di 85 euro (Renzi è evidentemente affezionato a questa cifra, che la prima volta gli ha portato bene).
Ora, con lo stesso tempismo a orologeria, sempre la Madia ci informa che arretrati e aumenti finalmente arriveranno a breve. E così l’operazione iniziata da Renzi è stata portata a termine dal suo clone Gentiloni. Il tutto, ovviamente, a pochi giorni dalle elezioni politiche nella speranza di racimolare qualche consenso in più. Ma, stando a quanto accaduto il 4 dicembre 2016, non si può certo dire che l’operazione abbia portato buoni frutti. Gli elettori non sono “popolo bue” che si fa convincere da qualche elargizione renziana, così come non basta la propaganda a reti unificate della Rai. In compenso, gli sforzi della premiata coppia Renzi-Gentiloni fanno ben intuire il clima da “salvare il salvabile” che c’è ormai in casa Pd.