“Le mani sulla sanità di Vendola e Tedesco”. Così spartivano i posti

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“Le mani sulla sanità di Vendola e Tedesco”. Così spartivano i posti

“Le mani sulla sanità di Vendola e Tedesco”. Così spartivano i posti

21 Dicembre 2011

C’è un interrogatorio dirom­pente per l’immagine di Nichi Vendola e della sua giunta. Un verbale che i magistrati di Bari hanno in gran parte riempito di omissis, e che è finito a Lecce perché si parla anche di alcune toghe interessate a vario titolo alle inchieste collegate a Gianpi Tarantini. A rivelare la mala gestione della cosa pubblica pugliese è Lea Cosentino, un tempo fedelissima del leader di Sel, già potente manager della Asl di Bari coinvolta nelle inchieste sulla sanità che hanno travolto la giunta re­gionale, a cominciare dall’allora assessore alla sanità, oggi senato­re del Pd, Alberto Tedesco (sulla cui testa da ieri pende nuovamen­te una richiesta di arresto a Palaz­zo Madama da parte del tribunale del Riesame di Bari).

La Cosentino che sembra aver pagato molto più di altri per le magagne "politiche" della sanità re­gionale, viene ascoltata l’8 aprile 2011 dai pm Digeronimo, Bretone e Quercia. Dopo essersi soffermata sulle pressioni ricevute da Tedesco per la nomina del professore Antonio Acquaviva a primario di oculistica, la manager vuota il sacco sull’applicazione, da parte di Vendola & Co, dei favori ai compa­gni in camice bianco. Prima veni­va il partito, poi la professionalità. «Il manuale Cencelli si applicava fin dal 2005 in questo modo: quan­do una Asl andava in quota Ds con il direttore generale, poi il diretto­re amministrativo e il direttore sa­nitario dovevano essere di area o della Margherita o socialista o di Rifondazione, e viceversa. Vendola e Tedesco ci chiamavano e ci di­cevano chi nominare: noi direttori generali non conoscevamo le per­sone che nominavano né la loro professionalità (…). Dal 2007 è di­ventato più stringente il sistema di accontentare i partiti della maggioranza poiché con la ristrutturazio­ne delle Asl i posti erano stati dimi­nuiti: quindi furono costituiti dei posti di sub-commissario per ac­contentare le varie correnti: su ogni Asl che era stata accorpata nominarono un sub-commissario in modo da aumentare i posti». E via con gli esempi: «Il sub commissa­rio di Altamura, Capozzolo, era in quota al professor Fiore (successo­re di Tedesco alla Sanità, ndr), il sub-commissario Rocco Canosa era in quota Rifondazione, il dot­tor Pansini ex Ba5 in quota Tede­sco e ai Ds, Rosato in quota Intro­na (ex presidente consiglio regio­nale, assessore ai lavori pubblici, Sel, ndr) (…). Questo avveniva anche nelle altre Asl». Quanto ai poli­tici che avrebbero influenzato le scelte sulle nomine del manage­ment arrivando a determinare l’espulsione di questo o quel Dg non allineato, la manager non si sottrae:«Su Bari Tedesco, Minervini (all’epoca assessore al personale, oggi ai Trasporti, Pd) e Loizzo (all’epoca ai Trasporti, Pd), per Lecce Frisullo (ex Ds, già vicepresidente del Consiglio regionale, ar­restato nell’inchiesta Tarantini, ndr), per Taranto Pelillo (Pd), per Brindisi Saponaro, per Foggia l’assessore Gentile (Pd). Anche l’onorevole Grassi, parlamentare della Margherita (Gero Grassi, deputa­to Pd) interloquiva per le nomi­ne». Ed è anche a conoscenza de­gli imprenditori a cui erano lega­ti?, chiede il pm. «Alberto Intini (dalemiano, il suo nome spunta in varie inchieste anche legate a Ta­rantini) è collegato a Loizzo, Partipilio e Columella a Tedesco, per le forniture sanitarie la Draghera Tedesco così come le società di pro­prietà dei figli; Grassi a Pierino In­glese (…)». La Cosentino va oltre: «Ebbi timore a espletare gare di ap­palto, infatti ne ho fatte pochissi­me, avendo percepito proprio che scontentare un imprenditore sponsorizzato dal politico di tur­no avrebbe determinato un dise­quilibrio negli assetti di giunta e dei politici sul territorio nonché avrebbe prodotto ritorsioni nei miei confronti. Per questi motivi preferivo prorogare i contratti (…). Sulle nomine era assoluta­mente implicito che se non avessi obbedito sarei stata fatta fuori».

Ma dove il verbale diventa esplosivo è al capitolo delle«fughe di notizie» in procura. «Il 26 giugno 2009 vengo perquisita alle sei del mattino dalla Gdf, al termine chiamai l’assessore Fiore per informarlo,ma rimasi turbata perché mi dis­se che era stato informato di tutto e mi chiese di raggiungerlo in asses­sorato». Chi lo aveva informato? E come faceva ad esser stato edotto «di tutto» ? Vediamo. «In assessorato dove mi disse di esser stato informato alle 7.30 dalla Gdf e che poi era andato in procura e aveva avu­to contezza della vicenda. Poi ho scoperto successivamente, leg­gendo le carte, che Fiore era stato sentito quella stessa mattina tra le 9 e le 10 ed era stato edotto dell’in­tercettazione ambientale dell’in­contro all’hotel De Russie» fra lei, Tarantini e Intini, l’imprenditore vicino a D’Alema. Una scelta ano­mala, sia perché l’assessore non c’entra con quel summit e poi per­ché Fiore viene incredibilmente messo a conoscenza di atti secretati dal pm Scelsi. Ma c’è di più. Il 30 giugno Vendola dice alla Cosenti­no d’aver letto le intercettazioni (secretate?) e dunque, le fa capire che sarebbero utili le sue dimissio­ni. Nemmeno un mese dopo il pm Scelsi nel chiedere l’archiviazione del procedimento rivelato a Fiore finisce per mettere a disposizione della Regione, che nel frattempo si è costituita parte offesa, la visione di tutti gli atti d’indagine che riguardano la Regione stessa. Un bel boomerang, visto che poi l’in­dagine riprende quota. A proposi­to di toghe baresi, la Cosentino fa presente che «le sue paure venivano valorizzate dalla particolare durezza della misura cautelare a me applicata da parte del gip Giulia Romanazzi (…)da me conosciuta in occasione di due cene con il Ta­rantini, ospite alla mia festa di compleanno a cui avevano parte­cipato anche l’assessore Tedesco e Tarantini». E chi vuole capire, ca­pisca.

(tratto da Il Giornale)