Le manifestazioni negli Usa, la libertà di parola e quei neonazisti convertiti all’Islam
20 Agosto 2017
Leggere come i giornaloni USA raccontano le manifestazioni trumpiste come quella di Boston, in difesa della libertà di parola, mette semplicemente i brividi. Paffuti ragazzotti con il cappellino rosso “Make America Great Again“, lo slogan della campagna elettorale del Don, vengono dipinti come pericolosi “razzisti” e “suprematisti bianchi”, mentre un raduno di conservatori, repubblicani, militanti della alt-right, la destra alternativa e trumpista, viene ridotto ancora una volta a un covo di neonazisti pronti dio solo sa a fare cosa. Chi ha un briciolo di coscienza liberale dovrebbe indignarsi a guardare le enormi fotografie pubblicate dal New York Times, in cui migliaia di persone sempre a Boston hanno marciato per impedire che si tenesse il “rally” sulla libertà di parola. L’effetto è spaesante, grandi giornali che esaltano chi cerca di tappare la bocca agli altri (il raduno si è concluso prima del previsto).
Ora, a parte notare che quando c’è uno schieramento di polizia come si deve non accadono fatti, gravi e sanguinosi, come quelli di Charlottesville, e sapendo anche che tutto questo (i ragazzotti col cappellino rosso insultati per strada, le migliaia di contromanifestanti che impediscono un raduno sulla libertà di parola, i grandi media che dipingono i primi come nipotini di Hitler e i secondi come eroi della libertà ma non quella di parola) rientra nel dominio oppressivo del politicamente corretto che sta corrodendo dall’interno i valori occidentali, un’altra considerazione va fatta su chi sono i neonazisti oggi. Nei giorni scorsi un diciottenne americano con simpatie di estrema destra si è convertito all’islam e quando i suoi coinquilini hanno avuto qualcosa da ridire lui ha aperto il fuoco, per dirne una, la più recente.
Negli anni Sessanta, David Myatt creava il gruppo neonazista “Combat 18”, futuro servizio d’ordine del Fronte nazionale (18 indica le iniziali di Adolf Hitler). Prima dell’11 Settembre 2001, Myatt scriveva libri del tipo “Guida pratica alla Rivoluzione ariana”, predicando l’odio contro ebrei e gay e reclutando giovani bombaroli che seminassero il panico per Londra. Ma il nazista era in crisi di coscienza. “Non ci sarà né rivolta, né rivoluzione, in nessun paese occidentale, da parte di nazionalisti o nazionalsocialisti, perché difettano del desiderio, della motivazione e dell’ethos per farlo, perché capiscono di non avere il sostegno della maggioranza della propria gente”, ammetteva Myatt rivolgendosi ai suoi camerati. Così alla fine degli anni Novanta, Myatt si converte all’islam e diventa Abdul Aziz. “Il Jihad è la vera religione marziale“, teorizza continuando a negare l’Olocausto.
Del resto, come ha ben ricostruito Giulio Meotti, è davvero numeroso il numero dei criminali di guerra nazisti, colpevoli in molti casi dello sterminio di migliaia di persone, che dopo la Seconda Guerra mondiale finirono a corte dei vari Assad in Siria e di tanti altri regimi del Medio Oriente. Ecco, il modo migliore per rovesciare le false certezze e l’ipocrisia che si nasconde dietro il pensiero dominante, è di cominciare a raccontare chi sono i nazisti di oggi, perché sempre più spesso si convertono all’islam e perché invece di preoccuparci di chi versa sangue in Spagna, Francia e Gran Bretagna, ce la prendiamo con i ragazzotti di Boston colpevoli di indossare il cappellino rosso del presidente Trump ma ancora di più di manifestare per la libertà di parola.