Le metropoli nere e i sobborghi ricchi hanno eletto Obama
11 Novembre 2008
La vittoria dei Democratici e di Barack Obama in queste elezioni era certa già da tempo, sebbene allo stesso tempo sia stata sottostimata. Certa, perché un grande numero di americani è persuaso che il paese sia sul cammino sbagliato, e non approva l’operato di George W. Bush. Gli elettori preferiscono in maniera generica i Democratici ai Repubblicani con un vantaggio del 10 per cento, forse più. Tuttavia Obama ha battuto John McCain 52 a 46 per cento, con solo due punti di vantaggio rispetto a Bush nel 2004, e con un punto in meno rispetto a suo padre George H.W. Bush nel 1988. I Democratici non hanno raggiunto i 60 voti che necessitano per bloccare l’ostruzionismo (filibustering) in Senato, mentre alla Camera dei Rappresentanti hanno guadagnato meno seggi di quanto pronosticato nei principali sondaggi.
Certamente Obama ha condotto in maniera molto abile la propria campagna presidenziale. Proprio come era stato in grado di sfruttare la debolezza di Hillary Clinton nei caucuses di partito (Hillary conquistò più voti e delegati nelle primarie), Obama ha utilizzato la propria inedita abilità nel raccogliere fondi rimangiandosi la promessa di non utilizzare finanziamenti federali ed eliminando il sistema di verifica degli indirizzi che avrebbe altrimenti visto emergere numerosi contributi illegali versati attraverso le carte di credito.
Una condotta simile da parte di un Repubblicano, come ha evidenziato l’opinionista del "Washington Post" Howard Kurtz, sarebbe stata oggetto di una pioggia di polemiche da parte dei media. Per Obama non è stato così. La sua campagna ha superato ampiamente in numerosi stati quella di McCain in quanto a spese per la pubblicità e per l’organizzazione, il che ha spostato probabilmente l’1 o il 2 per cento degli elettori nei cinque stati chiave – Florida, North Carolina, Virginia, Ohio e Indiana. Il risultato è stato che Obama ha conquistato un numero impressionante di voti elettorali, pari a 364 rispetto alla stretta maggioranza di Bush che è di 278. Tutto ciò dimostra una certa mancanza di scrupoli. Ma la mancanza di scrupoli, si sa, è una qualità utile per un Presidente (si pensi a Franklin Roosevelt e a Ronald Reagan).
Obama e i Democratici possono affermare di avere un mandato popolare? Obama ha ottenuto un consenso più ampio di qualsiasi altro Democratico dal 1964 ad oggi, e le maggioranze al Congresso ricordano quelle dei primi due anni della Presidenza Clinton. Ma le loro proposte politiche basate sul protezionismo e l’aumento delle tasse per le fasce di reddito più alte sembrano inadatte per un paese che affronta la recessione (si pensi ad Herbert Hoover). Le finanze pubbliche non sembrano essere così laute da permettere il rimborso dei contributi sociali ai cittadini, concedere a tutti l’assistenza sanitaria o pagare la scuola per l’infanzia ad ogni bambino.
Quella metà degli elettori che non ricorda gli anni Settanta potrebbe anche essere aperta a un governo di dimensioni consistenti, un "big government", rispetto a coloro che hanno ben presente quel periodo. Tuttavia, essere "aperti" non significa "esigere". Il punto di non ritorno per l’opinione pubblica durante queste elezioni fu raggiunto quando la crisi finanziaria raggiunse il culmine: McCain affrontò la situazione come un pilota di caccia, attaccando Wall Street, sospendendo la propria campagna e minacciando di annullare il primo dibattito presidenziale. Obama si comportò come un professore di giurisprudenza, freddo e distaccato. Gli elettori hanno preferito il professore al pilota, ma questo denota il trionfo del temperamento, non della strategia politica.
Assisteremo ad una nuova fase politica? Certamente le premesse non mancano. Le presidenze di Reagan e Clinton seppero attrarre i giovani verso i rispettivi partiti, mentre G.W. Bush evidentemente non lo fece. Obama, prima ancora di cominciare a governare, ha ispirato fervente e quasi religiosa devozione tra i giovani, inducendo milioni di loro a votarlo.
A giudicare dai sondaggi e da un primo sguardo ai dati elettorali si nota che Obama ha saputo attrarre verso il proprio partito gli elettori più colti delle aree urbane, muovendosi a sud da Philadelphia a Charlotte, fino a Tampa, Florida, e ad ovest fino a Denver e al Pacifico. I Democratici hanno investito molto sulla classe media bianca, ma non sono riusciti a conquistare la maggioranza dei loro voti. Sono invece riusciti a creare quella che definirei una top-and-bottom coalition, ovvero una "coalizione in alto e in basso": i sobborghi ricchi e i neri nelle città principali.
I Democratici sono sempre stati il partito delle coalizioni improbabili, in grado di espandersi quando i loro leader hanno successo, che rischiano tuttavia di sfaldarsi nei momenti di esitazione. Ne sono esempio il rozzo John Murtha che aiuta Nancy Pelosi con i suoi abiti firmati a conquistare il potere; l’afroamericano quasi-accademico Obama che ispira milioni di persone provenienti dai quartieri più affluenti, ma anche dai più poveri. E, come ha graziosamente riconosciuto anche McCain, c’è qualcosa di davvero emozionante nello spettacolo dell’America che elegge un presidente nero.
Ma i presidenti sono in grado di costruire coalizioni solide solo attraverso i risultati (si pensi a G.W. Bush). Il Presidente Obama dovrà affrontare problemi enormi: come rimettere in piedi un sistema finanziario che nessuno comprende a fondo, come sconfiggere nemici terroristi nascosti in casa del nostro alleato putativo – il Pakistan -, come dimostrarsi all’altezza delle aspettative così evidenti dai visi giubilanti e rigati dalle lacrime a Berlino, Invesco Field e Grant Park. Tutto questo in seguito a una vittoria che è stata emozionante, certo, ma non esattamente quella che si aspettavano i Democratici.
Michael Barone è resident fellow presso l’American Enterprise Institute
Traduzione Alia K. Nardini