Le mosse del Cav. per rompere l’assedio. I pm: Tremonti non è indagato

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Le mosse del Cav. per rompere l’assedio. I pm: Tremonti non è indagato

13 Luglio 2011

Che succede dopo il varo della manovra in Parlamento? Quali saranno le mosse del Cav. per arginare gli speculatori internazionali e quelli (politici) interni che vorrebbero barattare la collaborazione bipartisan ‘per il bene dell’Italia’ con la testa del premier? Scenari futuribili, di cui si parla molto nei Palazzi della politica, anche alla luce del caso Milanese che lambisce Tremonti. Ieri la procura di Napoli ha smentito voci su un ipotetico coinvolgimento del ministro nell’inchiesta, ma il livello di fibrillazione nel centrodestra resta alto.

La data sulla quale punta l’opposizione è lunedì prossimo: se alla riapertura delle Borse i mercati mondiali confermeranno il giudizio negativo sull’Italia nonostante il varo della manovra economica si creerebbero le condizioni per aprire la strada a un governo alternativo. Bersani lo vede limitato nel tempo, quanto basta per cambiare la legge elettorale e tornare alle urne, mentre Casini insiste sul governo di responsabilità nazionale, magari con la prospettiva di arrivare fino al 2013. Rutelli cala la carta di un “governo del presidente”, mettendo tutto nelle mani di Napolitano molto attivo in questi giorni: sua la moral suasion per l’approvazione sprint con spirito bipartisan del pacchetto economico-finanziario.  

Ma pure nella maggioranza si guarda al dopo-manovra con una certa inquietudine o quanto meno con un senso di incertezza, palpabile ieri nei capannelli in Transatlantico. Ci si interroga sulla delicata fase politica e si fanno congetture, ipotesi, scenari su opzioni possibili. Tra i deputati che vedono nero c’è chi ritiene ormai non più rinviabile un “robusto cambio di marcia” nell’agenda dell’esecutivo e se non avverrà in tempi rapidi “occorrerà aprire un nuovo capitolo”.

Di cosa si tratta? I rumors di Palazzo ruotano attorno all’ipotesi di un Berlusconi-bis nel caso in cui dall’inchiesta su Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti, dovessero emergere novità tali da chiamare in causa lo stesso ministro. Ipotesi di fronte alla quale – è il ragionamento – il premier potrebbe pensare a un cambio del titolare di via XX Settembre ma dovrebbe farlo in tempi rapidi per non rischiare di esporre il paese nel contesto europeo e internazionale. E oltretutto con un nome di ‘peso’ in grado di garantire la stessa credibilità che Tremonti si è conquistato a Bruxelles. E però non è affatto automatico che l’eventuale uscita di Tremonti sia indolore per la stabilità dell’esecutivo. Nello stesso tempo, il premier dovrebbe riempire la casella che Alfano lascerà vuota (il Guardasigilli potrebbe dimettersi a fine settimana o a inizio della prossima) per la quale sono tornate a risalire le quotazioni di Frattini (il quale ieri ha smentito). Caso in cui, il premier dovrebbe pensare pure a sistemare la casella degli Esteri.

Insomma tre ministeri-chiave e non un semplice cambio di poltrone: ecco perché si ipotizza lo scenario non di un rimpasto, bensì di un nuovo esecutivo a guida Berlusconi. Ma nella ridda di boatos rientra pure l’idea di un passo indietro del Cav. a favore di Alfano per arrivare alla scadenza naturale della legislatura. E in quel caso, è la domanda, cosa farà Bossi? E sull’altro versante, cosa farà Casini?  

Spifferi di Palazzo sull’onda lunga delle fibrillazioni, certo, ma sufficienti a descrivere il clima che si respira in queste ore nella maggioranza. C’è poi da considerare i malumori di numerosi deputati pidiellini per una manovra che arriverà alla Camera blindata e, molto probabilmente, con tanto di fiducia. E le resistenze sull’abolizione degli ordini professionali che ieri hanno agitato il dibattito politico, sono lì a dimostrarlo.

Resta il fatto che su maggioranza e governo pesa l’inchiesta che tocca Milanese (pure il rinvio a giudizio coatto per il ministro Romano) e lo spettro di nuovi affondi da parte dei pm. Di certo però, c’è la nota della procura di Napoli in cui si smentisce seccamente qualsiasi ipotesi che possa vedere Tremonti iscritto nel registro degli indagati, tantomeno la possibilità che possa essere nuovamente sentito dai pm. Un punto a favore del ministro che commenta: “Prendo atto con molta soddisfazione di quanto comunicato dal capo della Procura di Napoli. La notizia è per me molto positiva, tanto sul piano personale che sul piano istituzionale”.

Un riferimento indiretto alla tenuta del governo e all’ipotesi pubblicata da alcuni quotidiani  – anch’essa smentita – di sue dimissioni dopo il varo della manovra. Certo, se alla fine Tremonti decidesse di lasciare – è il ragionamento nei corridoi di Montecitorio – le ipotesi in campo ruotano attorno ai nomi di Domenico Siniscalco (già ministro del governo Berlusconi)  o quello di Vittorio Grilli, direttore generale del dicastero, con un buon standing a livello europeo e già dato tra i ‘papabili’ per la poltrona di Draghi a Bankitalia.

E il Cav.? Il momento richiede massima prudenza. E’ per questo che fino a venerdì dall’entourage di Palazzo Grazioli trapela l’intenzione di ridurre al massimo incontri pubblici, come la conferenza stampa di ieri con il ministro Brambilla. Ma è chiaro che il premier sta studiando il da farsi. L’ipotesi di un rimpasto non lo appassiona, e questo “da sempre anche se poi in varie fasi dei suoi governi ha dovuto ricorrervi” rivela un berlusconiano che lo conosce bene. E ciò per due motivi: uno di metodo, l’altro più strategico.

Berlusconi ha sempre sostenuto che un ministro impiega almeno sei mesi per prendere dimestichezza con la macchina del dicastero e altrettanti per prendere cognizione delle cose da fare; ragion per cui cambiarlo in corsa non è un’opzione che lo entusiasma. L’aspetto strategico è collegato al timore (legittimo) per cui toccare qualche pedina possa turbare equilibri interni consolidati. E se dopo la nomina di un governo “ci sono contenti e scontenti, è quasi matematico che a ogni cambio, diminuiscono i contenti e aumentano gli scontenti”, fa osservare il deputato berlusconiano . C’è infine da considerare che se il rimpasto avvenisse oggi , potrebbe essere letto come un segno di debolezza (anche rispetto alle richieste dell’opposizione) e non un cambiamento legato a una nuova ripartenza. Se questo è, lo scenario più plausibile potrebbe essere rinviare tutto a dopo l’estate. Un prendere tempo, insomma, per stabilizzare la situazione – interna ed internazionale – col varo della manovra e poi stare a vedere cosa succede.

E tuttavia, rimettere mano alla compagine di governo sarà un’operazione necessaria e non procrastinabile dal momento che, nel caso della Giustizia, il premier non può assumere l’interim. Con in più il fatto che da oltre sei mesi è vacante la poltrona delle Politiche Comunitarie. Resta da capire se alla fine, il Cav. opterà solo per il trasferimento di alcuni ministri da un dicastero all’altro o se, invece, metterà mano a un’operazione più robusta.

Ma c’è un’altra lettura da tenere in considerazione: il Cav. è uno che non molla facilmente e finora lo ha dimostrato. Cedere il passo adesso, anche nell’ipotesi di un governo guidato da un altro esponente della maggioranza, significherebbe ammettere una battuta d’arresto, una sorta di ‘commissariamento’. Men che meno sarebbe disposto a indietreggiare di fronte alle manovre di palazzo che – non da ora – tentano di farlo fuori per piazzare a Palazzo Chigi un governo tecnico. E’ questa la convinzione di molti deputati pidiellini che rifiutano l’idea per la quale la solidarietà nazionale dimostrata in Parlamento dopo i buoni uffici del Colle, possa o debba aprire la strada a nuovi scenari.  

E’ altrettanto vero, però, che il governo non può permettersi di ‘tirare a campare’ ancora a lungo. A manovra approvata, c’è da stabilizzare l’economia del sistema-Italia, fare riforme strutturali e rassicurare i mercati europei, scongiurando nuovi assalti degli speculatori. Un fronte interno ed uno esterno col quale il Cav., il governo e la maggioranza si dovranno misurare a mente fredda. Soprattutto per il futuro – prossimo – del Paese.