Le nove vite del mullah Omar

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Le nove vite del mullah Omar

26 Maggio 2011

Negli anni Novanta, dopo che Bill Clinton aveva ordinato di lanciare qualche missile in Sudan per uccidere Bin Laden, un agente dell’intelligence americana venne raggiunto da una telefonata proveniente dall’Afghanistan. Un uomo dalla voce imbestialita chiese all’agente "Che diritto avete di uccidere i nostri fratelli musulmani in Sudan?". Poi disse che Bin Laden era un eroe dell’islam e lanciò delle minacce contro il presidente Clinton. L’uomo dall’altra parte della cornetta era, ed è rimasto, il vero fantasma della guerra al terrorismo. Il mullah Omar.

Amir al-Muminin, "Miramolino", il Guerriero della Fede. Il califfo dell’Emirato Talebano dell’Afghanistan degli anni Novanta, dove le donne non avevano il diritto di studiare, radio e televisioni erano bandite, si tagliavano le mani ai ladri e sparivano i comunisti. Un occhio solo, il mantello del Profeta sulle spalle, di Omar si sa davvero poco; qualche foto, false secondo molti analisti, ma soprattutto le leggende che sono fiorite sul suo conto, trasformandolo in un eroe della fede, anche se con le mani sporche di sangue dell’11 Settembre. Come quando, agli ordini di Nek Wazir, imbevuto delle teorie deobandi propagate dal seminario della Darul Uloom Haqqania – "l’università della Jihad" -, sconfisse i sovietici nell’Arghandab, e poi a Jalalabad. Odiava i russi ma odia ancor di più l’Occidente, barbaro, incivile, dove le "prostitute ebree" girano in minigonna nelle grandi metropoli del vizio. 

Dicono gli agiografi che diede i natali ai Talebani radunando una cinquantina di studenti coranici ai tempi della ritirata sovietica, e che una volta si recò di persona in un villaggio con i suoi studenti armati fino ai denti, per salvare una coppia di giovani afghani presa prigioniera da uno dei "Signori della guerra" locali, gli stessi che negli anni Novanta, uno dopo l’altro, sarebbero strisciati ai suoi piedi rendendogli omaggio. A lui si sono sottomessi i fieri combattenti del clan Haqqani, il gruppo piiù forte e meglio organizzato dell’insorgenza islamica nelle Federally Administered Tribal Areas pakistane (la direttrice che dal "Giardino dei frutti", la città di Qetta, porta all’impervio Sud-Waziristan, dove solo qualche infiltrato della CIA, correndo enormi rischi, riesce a raccogliere delle informazioni).

Nei giorni scorsi si è diffusa la voce che il Mullah Omar fosse morto. La notizia è stata diffusa dalla piccola Tolo Tv, ma si è subito capito che le fonti erano incerte. Dopo il 2001, Omar è già stato dato per spacciato parecchie volte. L’intelligence americana sa di trovarsi davanti un guerriero esperto e sopravvissuto ad almeno due guerre. A differenza di Bin Laden, il mullah Omar non ha mai fatto grandi campagne mediatiche, essendo uomo pio, solitario e dalla vita monacale: durante il suo Emirato non si allontanò quasi mai da Kandahar, raggiungendo solo un paio di volte Kabul. Dicono che durante tutta la sua vita abbia incontrato soltanto pochi non-musulmani. Verificare la notizia della sua morte, dunque, in mancanza di un cadavere, è praticamente impossibile. Sapere con certezza se i miti che circolano intorno al suo conto sono artefatti o il frutto delle santerie imbastite dagli ambienti deviati dell’ISI, il potente servizio segreto pakistano, è altrettanto difficile.

E’ possibile che siano stati gli americani, d’accordo con i loro alleati a Islamabad, a buttarla in caciara, per indurre Omar a mettere il turbante fuori dalla tana e magari fare un passo falso. E’ anche probabile che sia stato lui a diffondere le voci sulla sua morte, magari per rendere ancora più invisibile la  latitanza, ora che il raid di Abbottabad ha mostrato che i nemici dell’America non sono al sicuro. In un caso o nell’altro, la ‘scomparsa’ di Omar può influenzare la guerra in Afghanistan e avere delle ripercussioni sulle alte gerarchie talebane. I Talebani fino ad oggi sono stati una cosa sola grazie a lui. Ma ormai da qualche anno i vari gruppi, le bande, le sigle religiose, claniche e tribali dell’insorgenza si sono polverizzate. La ‘scomparsa’ di Omar sarebbe senza dubbio un vantaggio per le forze Usa e dell’Alleanza (i Talebani perderebbero quell’elemento centrifugo capace di catalizzarli), ma nei bassi ranghi e nei quadri intermedi delle strutture di comando talebane c’è molta meno coesione di una volta, i dirigenti locali degli studenti coranici hanno già iniziato a negoziare col Grande Satana, e senza Omar questo processo si allargherebbe.

Il problema è che il presidente Obama ha fretta di lasciare l’Afghanistan mentre ai Talebani non conviene negoziare con un nemico che vuole andarsene. Molto meglio colpirlo per fare prima. Quando è stato ucciso, Bin Laden era circondato da pochi uomini, molte donne e bambini. Il mullah Omar, ovunque sia, può contare quasi certamente su una guardia personale specializzata, su un ampia rete di connivenze (i Ghilzai sono il terzo gruppo tribale pashtun, il più coraggioso nelle credenze popolari), e sulla sua proverbiale scaltrezza. In Pakistan c’è gente, potente, che in passato, tra gli altri favori, gli ha permesso di avere una delicata operazione chirurgica. Potrebbe essere che gli ambienti reazionari dell’ISI pakistano, preoccupati dall’intransigenza degli Usa (ricordiamo la sfuriata del vicepresidente Biden a Islamabad dopo la morte di Bin Laden, una serie di aperte minacce al governo pakistano), abbiano deciso di togliersi dai piedi il mullah Omar? Spingendolo verso l’Afghanistan? E quale sarebbe l’effetto di questa mossa sulla guerriglia afghana? Lo prenderemo più facilmente o lui continuerà a combattere?