Le PMI hanno bisogno delle banche del territorio

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Le PMI hanno bisogno delle banche del territorio

Le PMI hanno bisogno delle banche del territorio

06 Settembre 2016

Se, fino ad un decennio fa, l’idea di “banca universale”, quella che fa tutto, sia attività tradizionale di raccolta e prestito di denaro a famiglie ed imprese, sia attività di trading e di affari (investment banking), era considerata il solo possibile modello di banca del futuro, al quale ogni istituto di credito avrebbe dovuto tendere per continuare ad operare in maniera efficace, per poter “stare sul mercato” e fare profitti, oggi, in tempo di crisi economica e finanziaria, al contrario, questo modello che ha messo in moto numerose e complesse operazioni di assorbimenti con la creazione di strutture di dimensioni imponenti mostra tutta la sua debolezza. Il sistema di “banca universale” non ha retto all’impatto della crisi, diventando elemento destabilizzante e messo profondamente in discussione.

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti ci può aiutare a capire. Quasi contemporaneamente, Goldman Sachs e Morgan Stanley, due dei gruppi più grandi e più importanti di WallStreet, viste le difficoltà incontrate nell’attività di trading e nell’investment banking, si stanno spostando, con una clamorosa svolta, verso l’attività di raccolta depositi e prestiti. I due colossi specializzati nella finanza che fino a prima della crisi economica registravano indici di redditività del capitale (return on equity) rispettivamente del 32,8% e del 23,6%, nel 2015 si sono dovuti accontentare del 7,4% e dell’8,5%.

Profitti troppo bassi che hanno spinto i due global player per eccellenza ad una clamorosa e imprevedibile virata verso la più classica attività bancaria – con il favore, non secondario, della Federal Riserve – puntando alla classe media americana in attesa dell’aumento dei tassi d’interesse.

Forse c’entra qualcosa con il tentativo in atto in Italia di cancellare il sistema delle banche medie e piccole? Forse sì. L’idea di cancellare le piccole e medie banche, forse, non è il frutto di una quanto mai tardiva e incomprensibile fedeltà al modello della “banca universale”, visto che questo è ormai superato. Al contrario, possiamo immaginare che essa sia una conseguenza del ritorno del protagonismo dell’attività bancaria pura, visti i danni prodotti dall’economia finanziaria a quella reale. Ecco allora spiegata la corsa ad acquisire fette di mercato già occupate da altri che anche durante la crisi e con risultati positivi, hanno svolto questa attività. L’andamento positivo proprio di realtà bancarie medie e piccole che sempre hanno fatto “banca” e non speculazione finanziaria, fa, oggi, gola a molti grandi gruppi.

Inevitabilmente, però, l’oligopolio, logica conseguenza di questi tentativi di scalate. Il regime oligopolistico, come si sa, non tutela certo gli interessi di clienti, risparmiatori, famiglie e piccoli e medi imprenditori, le categorie alle quali si è sempre riferito, fin dalla sua nascita, il sistema del credito popolare che, se lasciato operare, ha dimostrato, nel suo complesso, di saper funzionare e non può essere messo in discussione.

La crisi ha dimostrato, e non solo in Italia, come la Cooperazione bancaria sia stata fondamentale per mantenere vitale il tessuto produttivo ed imprenditoriale. Un ruolo, questo, che è stato svolto, come testimoniano i dati, con assiduità e dedizione dalla cooperazione bancaria. Il rilancio dell’economia reale e il ritorno a tassi di occupazione minimamente accettabili, non possono che richiedere un sistema bancario nel quale venga valorizzata la biodiversità dei soggetti creditizi. Il tentativo di cancellare la particolarità del sistema del credito popolare cancellando con esso le realtà più efficienti e produttive per poterne trarre indubbi vantaggi, non considera che le Banche Popolari, malgrado le fasi di particolare avversità economica di questi anni, sono state un elemento fondamentale perché le Piccole e Medie Imprese potessero continuare a svolgere la propria attività permettendo di mitigare ed attenuare i contraccolpi della crisi che, altrimenti, sarebbero stati ancora più duri e dolorosi. E questo proprio grazie ad un modo di “fare banca” tradizionale e fortemente legato al territorio, alle comunità, all’economia reale.

*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari