Le prediche del prof. Sartori e l’Italia che cambia
04 Marzo 2008
Il nostro
Paese è caratterizzato, nella sua storia, dall’alternarsi di fasi di lento
scorrere degli eventi (sino a dare l’impressione dell’immobilità) e fasi di
improvvisa accelerazione, che producono forti discontinuità. La vicenda
dell’unificazione è, in questo senso, emblematica: un processo in ritardo di
tre secoli si è compiuto, contro ogni previsione, in due anni (sostanzialmente,
dal 1859 al 1861). Lunghe persistenze, dunque, si alternano a improvvise
fratture, grazie alle quali si producono nuovi scenari.
Noi oggi ci
troviamo in una fase di frattura – o di ‘rupture’, come direbbero i francesi –
la cui portata non è stata ancora compresa appieno. Cerchiamo allora di mettere
a fuoco le principali novità.
Prima novità: il declino del Sartorium. Per quindici anni si è
pensato che la strada per fare di questo Paese una democrazia “normale” fosse
l’ingegneria istituzionale (sistema elettorale e assetto costituzionale).
Secondo questa idea, che ha trovato la sua massima espressione negli editoriali
di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera, esiste una soluzione “tecnico-istituzionale” ai problemi politici e lo scienziato politico, come il
Sieyès del Direttorio, ne conosce il “segreto”. In realtà, le cose non stanno
così. I sistemi elettorali e gli assetti istituzionali sono ovviamente cose
importantissime: ma aiutano i
processi politici, non li determinano.
A determinare i processi politici è la volontà politica, come dimostra il fatto
che oggi noi andiamo alle elezioni in un quadro politico semplificato non dalle
regole del sistema elettorale, che è rimasto invariato, ma dalla volontà dei
due principali attori del sistema. La diminuzione del numero dei partiti e la
loro aggregazione, che con le regole del maggioritario era stata solo di
facciata (matrimonio d’interesse prima delle elezioni, liti e separazioni in
casa subito dopo), è avvenuta quando i leaders dei due maggiori partiti, con
una decisione politica gravida di opportunità
e di rischi, hanno deciso di assumere
una vocazione maggioritaria e di sottrarsi al condizionamento dei partiti
minori.
Seconda novità: scomparsa o marginalizzazione del partito socalista e
di quello cattolico. Queste elezioni potrebbero certificare una novità
storica per il nostro sistema politico: la scomparsa del partito socialista
dalle aule parlamentari e la presenza
(minoritaria) del partito che si richiama alla tradizione democratico-cristiana
in una sola camera. Non bisogna dimenticare che i primi partiti di massa del
nostro Paese sono stati i socialisti e i cattolici. E’ un ciclo della storia
politica italiana che si chiude. Per quanto riguarda il partito socialista,
dalla fondazione sino alla svolta riformista di Craxi, è stato il portatore di
uno dei più pericolosi virus della politica italiana: il massimalismo. E’ alla
grande madre del socialismo massimalista che dobbiamo la nascita, nel nostro
Paese, del fascismo e di quello che sarebbe divenuto il più grande partito
comunista dell’Occidente. Quando si sono liberati dal massimalismo i socialisti
hanno prodotto significative innovazioni, ma si sono rivelati sin troppo
permeabili al realismo (se non al cinismo), con le note conseguenze in termini
etici. Per quanto riguarda i cattolici, la loro presenza nella vita politica
italiana, soprattutto dopo il crollo delle grandi ideologie (ossia, delle
religioni secolarizzate) è tanto più indispensabile, perché il variegato mondo
cattolico possiede grandi risorse in tema di valori, di spirito partecipativo,
di sensibilità ai temi dell’educazione e del bene comune. Ma questa presenza
passa non per un annacquamento della loro identità, bensì attraverso un suo
rafforzamento. Quel che serve al nostro Paese non è quindi un’altra (e più
piccola) Dc, ma un’attiva presenza dei cattolici nel dibattito pubblico e nella
vita politica. Presenza che appare assai meno agevole all’interno del Pd, vista
la presenza dei radicali al suo interno e le pulsioni laiciste di parte non
indifferente del suo ceto intellettuale e del suo elettorato. Come in tutta
Europa, la maggior parte dei cattolici si sentirà più a suo agio in un partito
che si ispira al popolarismo (a patto che questa ispirazione sia autentica e
non strumentale).
Terza novità: la fine del paradigma anti-. Gli italiani hanno
sempre avuto problemi a gestire il “conflitto”, che assume forme radicali o si
tramuta in accordi poco limpidi (i cosiddetti inciuci). Di qui gli spiriti
fortementi “anti-qualcosa” o “anti-qualcuno” che hanno pervaso la nostra vita
democratica, prima e dopo il fascismo. Nell’Italia repubblicana il paradigma “anti-” ha trovato la sua ultima incarnazione nell’anti-berlusconismo. Con la
leadership di Veltroni il Partito Democratico si è finalmente liberato di
questo riflesso condizionato di ascendenza leninista (la demonizzazione
dell’avversario) e ha riconosciuto legittimità all’avversario politico.
Analogamente, il leader del Popolo della Libertà ha dismesso il vocabolario
dell’anticomunismo. Il confronto non è più tra forze politiche che si accusano
reciprocamente di essere pericolose per la democrazia, ma tra forze che, pur
avversandosi sul piano politico-elettorale, si riconoscono reciproca
legittimità. Si tratta di una novità di enorme rilievo: i “professionisti
dell’anti-” non sono scomparsi, ma sono ormai circoscritti in ristretti recinti
mediatico-politici e, soprattutto, sembrano
non condizionare più la leadership del principale partito del centro-sinistra.
Quarta novità: la semplicazione del quadro politico. Alla vigilia
delle elezioni di aprile il sistema politico italiano si presenta articolato in
cinque formazioni, di cui due (il Pd e il Pdl) si annunciano come largamente
maggioritarie (potrebbero ottenere il 70% dei voti), mentre le altre (Sinistra
arcobaleno, Centro di ispirazione cristiana e Destra) sono ciò che resta di
grandi tradizioni politiche del passato. Questa scomposizione, scomposizione e
riaggregazione del sistema politico è avvenuta per volontà dei principali
leaders. Sta ai due partiti principali consolidarlo: se sapranno realizzare
quel mix efficacia, realismo e ispirazione ideale che rende credibile una forza
politica, prosciugheranno in gran parte il ‘terreno’ sul quale si riproducono
ancora le piante di antico seme. Le riforme del sistema elettorale e
istituzionale e dei regolamenti parlamentari potranno aiutare questo processo,
ma soltanto se esso sarà già in atto per volontà politico e, soprattutto, se
gli elettori lo premieranno. La democrazia matura sta prima nei costumi
politici e soltanto infine nelle leggi e nei regolamenti. Pretendere di fare il
percorso inverso è una tipica illusione da intellettuali.