Le presidenziali USA viste da Wolfie

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Le presidenziali USA viste da Wolfie

18 Aprile 2007

Alberto Simoni fa parte della nuova generazione di americanisti, come Christian Rocca e Stefano Pistolini, che raccontano in modo fresco e mai banale il pianeta Stati Uniti. Curatore del blog “Il mondo di Wolfie”, giornalista del quotidiano cattolico Avvenire (motivo in più per rendercelo simpatico), ha scritto G.W.Bush e i falchi della democrazia, libro che ho letto e vi consiglio vivamente. La sua ultima fatica è Cambio di rotta, volume che sta presentando in giro per l’Italia. Nonostante i suoi impegni, Alberto ha trovato il tempo per questa intervista, che fa il punto sulle presidenziali americane ad un trimestre dall’inizio della corsa verso Pennsylvania Avenue.

Quali impressioni hai di questo primo scorcio di quella che si annuncia come la più lunga e costosa campagna presidenziale nella storia americana?

“La campagna elettorale è scattata con almeno 6 mesi di anticipo rispetto al solito e i nomi dei big sono noti ormai da 3 mesi. Questo anziché facilitare la comprensione e la lettura politica di quanto accade, complica lo scenario. La corsa da parte dei candidati ad accaparrarsi sostegni, finanziamenti e appoggi, sia dalle lobby sia dai politici in ogni angolo dell’Unione, non conosce pause ed è partita prestissimo. E lo scenario, con i saliscendi dei singoli candidati, i loro punti di forza e di debolezza, muta con una rapidità impressionante. Inoltre mai l’America negli ultimi cinque decenni ha vissuto con così tanta passione, curiosità, speranza e timore un’elezione presidenziale. E il fatto che al novembre 2008 manchino quasi due anni anziché diluire le attese ha quasi un effetto contrario. Ecco, direi che dal clima che si respira, sembra quasi che le primarie (e in genere l’intera campagna elettorale) siano dietro l’angolo, fra pochi mesi e non nel gennaio 2008. In un contesto simile fare previsioni è alquanto difficile. I sondaggi sono delle istantanee, ma perdono valore nel medio e lungo periodo. Eppure mi sembra che ci sia già un’ansia  legata ai numeri che quasi quotidianamente vengono pubblicati”.

Al di là della chance di vittoria, il grande protagonista, anche mediatico, di queste elezioni è per il momento l’outsider Barack Obama. Cosa ti colpisce del senatore afroamericano dell’Illinois?

“Il fatto che Obama sia la star dei media è quasi una condanna alla sconfitta. Generalmente i candidati preferiti dalla stampa escono malconci. Certo non è sempre così. Basti pensare a JFK. Ma i media americani, e quelli che hanno sede o grandi uffici di corrispondenza a Washington, come il New York Times o il Los Angeles Times, tendono a sostenere candidati liberal. Lo stesso Ari Fleischer, primo portavoce di Bush, lo ha spiegato molto bene nel suo libro Taking Heat. Quindi quando si legge qualcosa su Obama su un giornale, meglio poi sfogliarne un altro per fare il confronto. Detto questo, il personaggio è sicuramente interessante. Ma più che per la fulminea carriera politica, vorrei sottolineare la sua profonda competenza come giurista. Diresse infatti la rivista di legge di Harvard, tempio della giurisprudenza Usa. Sarà anche per questo che Obama è un raffinato oratore. Sa usare le figure retoriche al meglio e riesce a emozionare la gente. Mi ricorda un po’ il primo Clinton, ma anche il JFK che umiliò Nixon in diretta tv. Da qui però a pensarlo come buon candidato ne passa. La sua agenda mi sembra troppo liberal per i gusti della maggioranza degli americani”.

Nel campo repubblicano il “conservatore anomalo” Rudy Giuliani sembra non avere rivali. Cosa può ostacolare la sua corsa alla nomination?

“Giuliani ha il vantaggio di non dover lottare per conquistare visibilità. Lo conoscono tutti come il sindaco d’America. Ma questo aspetto ha anche dei risvolti negativi: le sue “esibizioni” in tacchi a spillo, la convivenza con una coppia gay, i tre matrimoni. La sua vita è stata sbattuta più e più volte sulle prime pagine dei rotocalchi Usa. E quando sarà il momento di andare ai seggi per le primarie, gli evangelici e i social conservatives non dimenticheranno queste cose. C’è poi la questione dell’aborto che potrebbe “affondarlo” soprattutto negli Stati del Midwest e nel Sud. Recentemente ha dichiarato che se “la gente non mi vota per le mie posizioni sull’aborto, allora faccia pure”. E’ un gesto di sfida forte, forse anche calcolato – Giuliani sa che i conservatori in California e a New York, nel New Jersey e nel New England sono più moderati – ma potrebbe alla fine risultare un azzardo”.

Cosa pensi di Fred Thompson. L’attore ed ex senatore repubblicano ha le qualità per proporsi come il nuovo Reagan?

“Ha un curriculum di tutto rispetto: avvocato prima, senatore poi. Se poi guardiamo le percentuali con cui ha vinto nel 2000 in Tennessee, gli altri candidati dovrebbero preoccuparsi. Reagan ebbe la forza di mettere insieme tutte le anime della galassia conservatrice, quella moderata, i libertari, i neoconservatori e l’ala più isolazionista. Oggi Thompson pare poter ripercorrere quelle orme. Anche lo stato di salute del GOP non è dissimile da quello del 1980. Ai tempi il braccio di ferro era fra i realisti-moderati (l’ala di Ford, Rumsfeld e Kissinger e Bush senior per intederci) e i conservatori (Reagan, Goldwater, Bill Bennett); oggi lo schema è, pur con attori diversi, simile. Da una parte premono coloro che vogliono riportare il GOP alle origini: contenimento della spesa pubblica, riduzione del ruolo dello Stato federale, tagli alle tasse, centralità della politica di sicurezza nazionale e una politica estera strettamente connessa agli interessi nazionali. Dall’altra invece c’è chi ritiene che la guerra al terrorismo debba restare la stella polare dell’America e che ogni altra voce debba inchinarsi a questa. Thompson potrebbe riassumere queste due voci. Ma credo anche John McCain abbia le carte in regola per fare ciò. Tralascio le questioni sui valori, i moral issues. Un tema che potrebbe far saltare il banco”.

Ad oggi, quale candidato ti sembra abbia utilizzato al meglio le potenzialità dei new media?

“Due mesi fa avrei detto Edwards. Ma all’ex running mate di Kerry nel 2004 non ne è andata bene una. A partire dall’annuncio della candidatura “rubato” dal server a lanciato con un po’ di anticipo. E poi i problemi con lo staff del Web. Direi che Hillary Clinton ha fatto un capolavoro annunciando sul Web la sua candidatura. Un video lucido, pulito, incisivo, rassicurante e ad alta definizione. Messo su Internet, non concesso alla CNN. Significa considerare il Web il medium per eccellenza”.