Le quote rosa nelle Regioni non sono cultura liberale

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Le quote rosa nelle Regioni non sono cultura liberale

03 Febbraio 2016

La Camera dà via libera alle quote rosa nei consigli regionali. Favorevoli 334 deputati, 91 contrari, 21 gli astenuti. Lega, M5s e Ala votano contro. Conservatori e riformisti e Fratelli d’Italia si astengono. Secondo la legge, dalle prossime elezioni almeno il 40 per cento dei consiglieri regionali saranno donne. Le Regioni a statuto ordinario ora dovranno disciplinare con legge il sistema elettorale regionale e adottare specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.

 

Le modifiche introdotte vanno oltre la "promozione della parità tra uomini e donne" indicando specifiche misure sulla base dei diversi sistemi elettorali delle regioni, per le liste di preferenza, le liste ‘bloccate’, i collegi uninominali. Ieri l’approvazione della norma sulle quote rosa da parte della Camera è stata salutata come una grande conquista da parte dei governatori del Pd delle Regioni italiane, ma l’idea che per raggiungere una piena ed effettiva parità di genere sia necessario introdurre quote (rosa) di riserva in realtà è solo il riflesso di una cultura dirigistica, costruttivistica e statalista che opprime l’Italia e non solo il nostro Paese.

 

Da un punto di vista liberale, la parità fra uomini e donne è un valore quasi scontato, conseguenza automatica del valore della libertà della persona. Lo Stato al massimo ha il compito di rimuovere gli ostacoli normativi che impediscono alle donne di svolgere liberamente la propria personalità all’interno della vita sociale, politica, economica e culturale del Paese. L’introduzione di artificiose quote rosa rischia solo di essere umiliante per le donne, non fa avanzare una vera parita di genere e lede i diritti di libertà di alcuni fra noi.