Le ragioni e i modi dell’alleanza tra Stati Uniti ed Europa
20 Settembre 2008
Un tempo, Benjamin Franklin ci mise in guardia: “Dobbiamo restare tutti uniti, o con ogni probabilità ci impiccheranno tutti separatamente”. La stessa cosa potrebbe essere detta di Stati Uniti ed Europa oggi. Malgrado le ben note differenze, le due parti dell’alleanza transatlantica hanno interessi vitali in comune. Il mantenimento di un ordine internazionale basato sulla democrazia liberale, il libero scambio e l’autodeterminazione favoriscono la pace e la qualità della vita. Nelle questioni odierne, ciò significa impiegare tutti i mezzi a nostra disposizione per combattere la minaccia terroristica, e promuovere la democrazia al fine di intervenire su quelle condizioni di base che consentono alle ideologie terroriste violente di diffondersi. Significa agire preventivamente per impedire agli Stati canaglia, con le loro intenzioni ostili, di entrare in possesso delle armi più letali. Significa far capire alle potenze in ascesa, le cui intenzioni sono poco chiare, che i costi di un’aggressione saranno per loro altissimi, e che se necessario seguiranno azioni risolutive nei loro confronti. Significa fare pressione sui regimi dai peggiori primati in materia di diritti umani – quei regimi che respingono aiuti alimentari essenziali perché accettarne l’ingresso minerebbe il loro controllo totalitario sulla popolazione, o che arbitrariamente uccidono o imprigionano gli oppositori politici. E significa farlo insieme.
Questa condivisione di interessi unisce Stati Uniti ed Europa. Tuttavia, troppo spesso ci siamo trovati d’accordo sul “perché” e in disaccordo sul “come”. Mentre secondo alcuni osservatori la frattura tra le due sponde dell’Atlantico non può essere ricomposta, l’avvento negli ultimi anni di governi con obiettivi simili a Berlino, Parigi, Roma e anche a Londra, ha reso le prospettive di collaborazione le più promettenti da quando la Guerra Fredda è terminata.
La discussione di oggi riguarderà quattro sfide comuni. In primo luogo, qual è lo stato delle relazioni transatlantiche e in che modo l’alleanza risentirà dell’elezione di un nuovo presidente degli Stati Uniti? L’opinione pubblica in Europa, e lo stesso vale per la classe politica, può anche preferire un’amministrazione Obama; ma sarà davvero soddisfatta se il suo desiderio si dovesse realizzare? La coincidenza degli interessi e il profondo divario nelle capacità tra USA ed Europa spesso comportano che debba essere l’America a fare il “lavoro sporco” per l’Europa. La concezione che Barack Obama ha di una vera partnership transatlantica senza dubbio richiederà all’Europa di devolvere maggiori risorse alla sicurezza nazionale. Se invece sarà eletto John McCain, i governo europei – compresi quelli di centro-destra – sapranno restare al fianco degli Stati Uniti? Oppure lo strappo sarà inevitabile?
Secondo, prenderemo in esame le politiche per il Medio Oriente. Sebbene le condizioni amministrative e di sicurezza in Iraq siano migliorate, gli eventi vanno nella direzione di una crisi decisiva per quel che concerne il programma nucleare iraniano e il coinvolgimento di Hezbollah nella vita politica libanese. In agosto, l’Iran ha annunciato l’installazione di 4 mila centrifughe nella centrale nucleare di Natanz, insieme ad un progetto per installarne altre 3 mila. Cosa può fare l’Occidente -se può realmente fare qualcosa- per fermare l’incessante marcia iraniana verso l’arma nucleare? In Libano, Hezbollah ha oggi un ruolo dominante nel governo di Beirut. Tradizionalmente, il Libano ha dovuto combattere per respingere le forze straniere; adesso quelle stesse forze stanno usando le istituzioni libanesi contro il Libano. Cosa implica l’ascesa di Hezbollah per Israele, per la Siria, e per l’Occidente?
Il terzo momento di discussione verterà sulle capacità comuni nella lotta al terrorismo. In Europa si sono verificati più attacchi terroristici che negli Stati Uniti: porosità dei confini, strutture sociali tra loro differenti e comunità mussulmane irrequiete e in costante crescita pongono l’Europa in prima linea in questa battaglia per gli anni a venire. La cooperazione contro il terrorismo è efficace? Potremmo fare di più? E cosa possiamo fare per imparare l’uno dall’altro, sia nel combattere l’estremismo islamico che nel diffondere la democrazia capace di sradicare le ideologie virulente?
In ultimo, esamineremo le carenze del nostro attuale sistema di governance globale. Negli ultimi anni, le Nazioni Unite hanno combattuto per portare a compimento la loro missione: ma ciò non è bastato ad impedire che la Russia invadesse la Georgia, una chiara violazione del diritto internazionale. Non è servito a fermare l’Iran nel fare passi avanti verso lo sviluppo dell’arma nucleare. Ha fallito nel proteggere la democrazia, consentendo a Robert Mugabe di riprendere il controllo dello Zimbabwe mentre sopprimeva brutalmente l’opposizione politica. E mentre la Corte Penale Internazionale prepara il processo contro Omar al-Bashir, il presidente del Sudan, il genocidio nel Darfur continua. Sia politicamente che nella difesa dei diritti umani, le Nazioni Unite hanno ceduto il passo. Qual è il futuro delle istituzioni incaricate della governance globale? Le Nazioni Unite sono inevitabilmente compromesse o possono essere riabilitate? E la Lega delle Democrazie proposta da John McCain può rappresentare la soluzione?
Il successo nell’affrontare queste sfide comuni dipende in gran parte dal grado di cooperazione tra Stati Uniti ed Europa. Oggi speriamo di approfondire la nostra conoscenza, valutare nuove idee e comprendere meglio gli eventi politici dell’anno che sta per arrivare. Benvenuti a Washington!
Danielle Pletka è vice presidente dell’American Enterprise Institute (AEI) di Washington.