Le riforme che vuole la Marcegaglia non può farle di certo la sinistra
24 Ottobre 2011
A Capri, concludendo il convegno dei Giovani industriali, Emma Marcegaglia ha parlato praticamente a braccio. Sarebbe quindi scorretto attaccarsi a qualche parola pronunciata in quella sede per impostare delle polemiche ingiustificate, tanto più che, a proposito dell’Europa e dell’euro, la presidente di Confindustria è stata molto chiara, richiamando l’Italia al suo ruolo di Paese fondatore dell’Unione e sottolineando la scelta irreversibile della moneta unica.
Tutto ciò premesso, non ci è piaciuta un’affermazione di quel discorso, peraltro serio ed appassionato, che è rimbalzata sui titoli dei giornali di domenica: "Qui rischiamo che l’Europa ci imponga delle scelte, noi siamo un grande Paese, non possiamo farci commissariare continuamente dall’Europa o da altri Paesi". Poi Emma Marcegaglia ha aggiunto talune considerazioni sui maggiori costi che saremmo costretti ad affrontare nel caso in cui, stante la nostra inerzia, fossimo chiamati a seguire le direttive di Bruxelles.
Il senso di tali valutazioni può essere spiegato come un pressante invito a ‘fare’, in proprio, in anticipo ed in autonomia, prima che ci venga indicata la via da percorrere, magari dopo che la situazione sia peggiorata. Ma sono presenti, nel discorso della presidente, alcune parole che in queste settimane, nel dibattito politico, sono risuonate con un significato ben preciso. E critico. Cominciamo dal ‘commissariamento’ da parte della Ue. Se ne è parlato a proposito della lettera della Bce, soprattutto dopo che era stata resa nota (che errore quello del Governo di attribuire al documento un carattere confidenziale !) sulle pagine del Corriere della Sera.
E’ stata soprattutto la sinistra ad accusare il Governo di aver varato il decreto correttivo di agosto in condizione di commissariamento. Con il seguito di una retorica d’accatto – che poi è diventata la vulgata degli “indignati de noantri” – sulle burocrazie europee che prevaricano i poteri democratici degli Stati nazionali. La questione, allora, diventa di sostanza. Non a caso i contenuti della lettera del 3 agosto, a firma di Trichet e di Draghi, sono divenuti il simbolo delle politiche neoliberiste (ecco i sacrifici) da cui hanno preso le distanze anche alcuni settori del Pd e dei sindacati.
E’ la prima volta che il Partito democratico si mostra tanto insofferente nei confronti di una presa di posizione della Banca centrale, del tutto coerente con le scelte compiute in sede politica (dal momento che la decisione di arrivare al pareggio dei bilanci entro i 2014 è stata assunta dai capi di Stato e di governo). Il che proietta un quadro di maggiori incertezze sul futuro politico dell’Italia, se, nella prossima legislatura, dovesse prevalere una coalizione tra le attuali opposizioni, tenuta insieme da una logica antiberlusconiana.
Pd, Sel, Idv (se si aggiungesse l’Udc, sarebbe ancora peggio) sarebbero divisi non soltanto su alcune scelte particolari (le pensioni, il mercato del lavoro, ecc.) come lo furono le forze dell’Unione di Romano Prodi (con lui la storia sarà più generosa della cronaca); ma si troverebbero in profondo dissenso su quella che ha rappresentato la strategia portante della politica italiana da decenni, portata avanti in modo bipartisan da tutti governi succedutisi nel frattempo (anzi, con maggior rigore da parte degli esecutivi di centro sinistra che da quelli di centro destra): l’allineamento e la solidarietà con l’Europa.
Tanto più che, oggi, contro la politica dell’Unione europea è schierato (e condiziona le opposizioni di sinistra) un movimento di piazza, il quale, nella sua lucida follia, ha capito che è inutile prendersela con i governi nazionali quando innestano il pilota automatico delle direttive europee; e che il ‘nemico’ (a parte Silvio Berlusconi) non è più a Roma, ma a Bruxelles e a Francoforte. Non so se gli ‘indignati’ se ne siano resi conto: ma le loro rivendicazioni porterebbero, se prese in considerazione, direttamente al default.
Questo movimento non prende la Grecia come esempio da non seguire quando si è trattato di fare debito e di truccare i conti. No. Per gli ‘indignati’ la Grecia è l’emblema di ciò che si deve evitare quando si intraprende la strada dei sacrifici e del risanamento. Così, i nostri si sono messi alla ricerca di un mondo nuovo terribilmente uguale a quello vecchio.