Le rivelazioni di Wikileaks non faranno vacillare le relazioni tra USA e Italia

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Le rivelazioni di Wikileaks non faranno vacillare le relazioni tra USA e Italia

27 Novembre 2010

 

Wikileaks sta per pubblicare 2.7 milioni di documenti diplomatici statunitensi, puntanto così al cuore della proiezione internazionale degli Stati Uniti. Sottratti illegalmente (con l’aiuto di una persona già agli arresti secondo indiscrezioni) e trafugati dal Secret Internet Protocol Router Network, ovvero la rete di connessione integrata tra il Dipartimento di Stato USA e il Dipartimento della Difesa, la pubblicazione di questi documenti rischiano di trascinare il campo occidentale in una crisi internazionale maggiore. Dopo la messa in linea di documenti sensibili su Iraq e Afghanistan negli scorsi mesi, Wikileaks – il cui fondatore Julian Assange é ricercato dall’Interpol su mandato d’arresto delle autorità giudiziarie svedesi per molestie sessuali –  sta scatenando un putiferio internazionale.

Di questi dispacci molto si è parlato in questi giorni. Molti riguarderebbero paesi alleati degli USA quali l’Australia, il Canada, Israele, la Norvegia, la Germania, l’Inghilterra, la Francia, l’Arabia Saudita solo per citarne alcuni. Ma anche India e Cina. L’eventualità di una loro pubblicazione ha spinto il Dipartimento di Stato USA a formulare preventive scuse su possibili “imbarazzanti rivelazioni”. Imbarazzanti, è proprio il caso di dirlo. Come quelle anticipate da un articolo comparso sul quotidiano londinese al-hayat, nel quale si afferma che il governo turco di Erdogan, alleato NATO degli USA, avrebbe aiutato elementi prossimi ad al-Qaida, favorendone lo smercio di armi in Iraq. Una rivelazione a cui farebbe da contro altare il sostengo politico che Washington avrebbe fornito al PKK, il partito curdo da decenni in guerra con Ankara. Non solo. Trapelerebbero infatti indiscrezioni anche sul presidente russo Vladimir Putin, il premier Netanyahu e il presidente pachistano al-Zardari e quello afghano Karzai. 

Anche l’Italia sarebbe coinvolta. Ieri ministro Frattini ha dichiarato che, per quanto riguarda il nostro paese, secondo le informazioni fornitegli direttamente dal Dipartimento di Stato, quelli che trapelerebbero sarebbero solamente  dei “documenti di scenario”. Il ministro ha inoltre confermato che “gli USA non commenteranno i documenti, dato che classificati.”. Oggi il ministro della difesa La Russa ha voluto rasserenare quanti temono che la prossima pubblicazione possa avere delle conseguenze nei rapporti tra Washington e Roma: "Non credo che qualsiasi carteggio possa mettere a repentaglio la sicurezza dei nostri soldati nè mettere in discussione il nostro ruolo e la nostra amicizia con gli altri Stati della Nato e della missione internazionale in Afghanistan."  Gli faceva eco il sen. del PDL Quagliariello il quale, rifiutando i tentativi di bassa strumentalizzazione politica che da qualche ora si susseguono sulla faccenda, ha fatto presente che “qualora dovessero essere divulgati i documenti da parte di wikileaks, sarebbe quanto mai importante che essi vengano contestualizzati nell’ambito dei rapporti fra gli Stati e della correlata attività diplomatica fatta anche di scenari, di indiscrezioni, di ipotesi.”. Il senatore ha ricordato inoltre che "chiunque abbia messo piede in un archivio diplomatico sa che questo è l’unico metro di lettura possibile. Ed è quello che fin da ora bisogna impegnarsi ad adottare contro il rischio di un voyeurismo teso a destabilizzare il rapporto tra Italia e Stati Uniti, un punto fermo che nessuno potrà mai mettere in discussione.".  Nella fattispecie, il lasso temporale coperto dai dispacci diplomatici dovrebbe coprire il triennio 2006-2009. Si tratterebbe nel caso italiano dunque dell’ultimo governo Prodi e delle sue relazioni (spesso travagliate) con il presidente Bush da una parte, e le relazioni tra Berlusconi e il neo-presidente Obama dall’altra. 

Sul lato USA, all’ambasciata statunitense di Roma, le bocche sono cucite. Contattati ieri dall’Occidentale, membri della presidio diplomatico statunitense, hanno ‘cordialmente’ minimizzato l’enfasi con cui ieri alcuni giornali italiani hanno aperto certe prime pagine, negando di aver passato le scorse notti a chiamare politici e giornalisti per scusarsi preventivamente. “No, niente di tutto questo. In più eravamo sotto Thanksgiving!”, ha dichiarato sorridendo un membro dell’ambasciata. Il messaggio è stato: ‘abbiamo delle regole e il nostro compito è tenere chiuse le bocche’. Da Washington è infatti partito un ordine di “no comment”,  ante e post pubblicazione. 

Ma allora, se questi documenti non sono stati ancora pubblicati da wikileaks, come se ne conoscono, ancorché vagamente, i contenuti? A rispondere a questa domanda è un pezzo comparso sul Washington Post. Si ricorda che già in passato wikileaks abbia proposto ad alcune testate giornalistiche stralci dei documenti trafugati in cambio di un accordo di concordata pubblicazione dei documenti stessi e dei relativi pezzi a corredo. Non v’è dubbio che anche questa volta si sia verificato lo stesso basso mercanteggiamento al quale pare abbiano partecipato, a quanto se ne sa, tre “giornaloni” di fama internazionale: Der Spiegel, The Guardian e il New York Times. 

Quest’ultimo sarebbe reo, secondo Wikileaks, d’aver ‘rotto il patto’ e d’aver conferito un sommario del contenuto dei documenti trafugati (e forse anche di più)  alla Casa Bianca, tanto da mandare su tutte le furie wikileaks. Utilizzando twitter, la redazione di Wikileaks ha spedito un “cinguettio”, accusando il quotidiano di New York  “d’aver spiattellato tutti i dispacci d’ambasciata alla Casa Bianca, la quale a sua volta avrebbe spiattellato tutto a ogni dittatoruncolo di questo mondo prima della loro pubblicazione”. Ignoriamo le ragioni per le quali il NYTimes abbia ‘rotto’ l’accordo. Forse per non urtare la Casa Bianca? Chissà! 

Quello che è certo, è che l’immagine degli USA che emerge da questa “terza crisi" Wikileaks, rischia di portare con sé un costo alto in termini politico-diplomatici. Molti giornalisti d’oltreoceano, soprattutto in campo conservatore, si pongono la seguente domanda: ‘si tratterà solo di un doloroso “danneggiamento degli interessi nazionali statunitensi”, come ha previsto Philip Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato Usa, oppure solo di un vacuo (e disastroso) imbarazzo per il Dipartimento di Stato e il Dipartimento della Difesa?’ Tra poco, purtroppo, sapremo la risposta.