Le sanzioni all’Iran sono inutili se non vengono applicate

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Le sanzioni all’Iran sono inutili se non vengono applicate

01 Ottobre 2007

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sta portando a termine la sua 62esima sessione, e gli Stati Uniti premono affinché si approvi la terza risoluzione del Consiglio di Sicurezza che dovrebbe inasprire le sanzioni sull’Iran. Alcuni membri del Consiglio non vedono l’ora di richiamare all’ordine il governo di Teheran (Francia e Inghilterra), mentre altri (Russia e Cina) non hanno alcuna intenzione di cambiare la loro posizione. Nonostante questo, l’amministrazione userà comunque tutta la sua influenza per rafforzare le pressioni internazionali.

Giusto, d’accordo, ma nel frattempo Washington ha fatto ben poco affinché fossero implementate le prime due risoluzioni, faticosamente approvate. La risoluzione 1737 del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite (dicembre 2006) e la 1747 (del marzo 2007) prevedono delle misure restrittive volte ad impedire il progresso dell’Iran nel suo programma di produzione e utilizzo di armi nucleari, nonché un giro di vite per tutti coloro che risultano coinvolti in qualsiasi modo con questo paese.

Entrambe le risoluzioni segnalano un numero preciso di persone fisiche e giuridiche e chiedono agli stati membri, tra le altre cose, di congelare i patrimoni posseduti o controllati dai nomi della lista o da “persone fisiche o giuridiche che operano per loro conto o a loro favore”. In tutto, tra persone fisiche e giuridiche, vengono elencati 50 nominativi.

Stranamente, comunque, gli Stati Uniti hanno ad oggi congelato i patrimoni e bloccato gli spostamenti di solo 17 dei 50 nominativi elencati (14 persone giuridiche e 3 persone fisiche). Tra coloro che sfuggono al controllo degli Stati Uniti c’è Seyed Jaber Safdari, manager della “Natanz Enrichment Facilities” e una lunga lista di ufficiali della IRGC (il “Corpo delle Guardie Islamiche della Rivoluzione” – conosciuti anche come “Pasdaran” – una vera e propria forza militare parallela a quella delle Forze Armate nazionali). Questo fallimento nella procedura di controllo è ancora più strano se si pensa al processo che ha portato a stilare la lista: era stata creata un’ampia rete d’azione, e tutte le parti già sospettavano – a ragione – che l’Iran avrebbe fatto il possibile per sottrarsi alle sanzioni imposte.

Lentamente, comunque, l’elenco dei “segnalati” è stato ridotto, mentre i membri del Consiglio di Sicurezza hanno respinto le posizioni più incerte.

Alla fine, la lista è stata limitata a quegli individui e quelle società su cui gli Stati Uniti e i suoi alleati avevano chiare e precise informazioni – reperibili pubblicamente o tramite i servizi segreti – circa un collegamento con i programmi di sviluppo e produzione di armi di distruzione di massa.

Il New York Times ha recentemente pubblicato una nuova storia sul fallimento degli Stati Uniti nell’implementare queste sanzioni.

I funzionari americani danno la colpa agli europei, dicendo che i dettagli necessari per implementare le sanzioni non erano disponibili.

L’allusione al fatto che siano stati gli europei a suggerire tutti i nominativi (cosa in realtà non vera) o che in qualche modo sia compito dell’Europa riuscire a reperire i dati personali dei segnalati, proprio non convince.

La verità a quanto pare non sta né dalla parte dell’Europa né da quella dell’America.

Ad aprile, dopo le lamentele dell’America relativamente al ritardo nell’applicazione delle misure previste, l’Unione Europea ha vietato l’ingresso nel suo territorio alle persone fisiche incluse nella lista (applicazione molto più rigida rispetto a quanto richiesto dalla risoluzione delle Nazioni Unite), ha congelato i loro conti e ha persino incluso altri nominativi. Gli stati membri dell’Unione Europea, ostentando l’applicazione alla lettera della legge, chiariscono che non sono necessari i riferimenti bancari, gli estremi del passaporto o la data di nascita di questi individui, per applicare le sanzioni.

E aggiungono che, quando hanno avuto tali informazioni a disposizione – necessarie in America per bloccare i conti e vietare la libera circolazione – le hanno tempestivamente comunicate agli Stati Uniti.

Tutto questo è ammirevole, certo, ma c’è da domandarsi come abbia fatto l’Europa a mettere in atto queste sanzioni senza avere alcun riferimento personale di questi soggetti (passaporto, ecc..). La risposta, sconvolgente, come confessano i funzionari europei, è che non si è a conoscenza di nessun individuo cui è stato negato il diritto di libera circolazione, né di alcun conto bancario bloccato.

I funzionari americani sostengono che mettere in atto le sanzioni senza avere la certezza che queste colpiscano chi di dovere non abbia senso. Vero.

E’ anche vero, però, che non tutti i 27 paesi europei sono così entusiasti di implementare le sanzioni. La Germania, che continua a guadagnare miliardi in vivaci scambi commerciali con l’Iran, ha dichiarato la sua reticenza a condividere le informazioni riguardo i 50 appartenenti alla lista. E Cina e Russia stanno sfacciatamente ignorando le sanzioni.

Ma l’amministrazione Bush deve indubbiamente alcune spiegazioni per i 33 nominativi della lista a cui non sono ancora state applicate le misure restrittive di divieto di mobilità e blocco dei conti economici. Come può essere che i servizi segreti americani conoscano i nomi e le attività illecite di queste persone fisiche e giuridiche, ma non sappia assolutamente niente delle banche dove questi individui e queste società fanno affari e gestiscono conti?

Mettendo insieme i pezzi, è difficile non avere l’impressione che l’America si sia dimostrata incapace, o perlomeno approssimativa.

Gli Stati Uniti non sono secondi a nessuno, in termini di ampiezza di sanzioni all’Iran. Molte di quelle sanzioni hanno fatto scattare l’allarme, in precedenza, e forse hanno prevenuto un più rapido sviluppo del programma di armi nucleari iraniano.

Tutto questo spiega perché ignorare ciò che l’America tenta maldestramente di dire sarebbe un tremendo, pericoloso errore se vogliamo raggiungere l’obiettivo prefissato, ovvero ottenere una politica che ostacoli il programma iraniano di prolificazione delle armi nucleari.

La settimana scorsa, il presidente francese Sarkozy ha dato voce all’ovvio: “Tra arrendersi e farsi la guerra esistono molte soluzioni intermedie, tra cui rafforzare le sanzioni che potrebbero avere un effetto positivo”. Se le sanzioni devono risparmiarci lo scontro, devono essere ampie ed efficaci. Ma se ci sarà una guerra, sarà combattuta dagli americani.

Pensando a questo, forse sarebbe opportuno iniziare ad essere un po’ più attenti nel mettere in pratica ciò che teorizziamo.