Le sanzioni forse non bastano ma sono un segnale chiaro all’Iran

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Le sanzioni forse non bastano ma sono un segnale chiaro all’Iran

24 Maggio 2010

Sanzioni sì, sanzioni no. In questi giorni la stampa americana si interroga sull’efficacia della bozza di sanzioni siglata dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dovrebbe colpire l’Iran. La possibilità di ispezionare le navi sospette dirette verso la Persia, lo stop alla vendita di materiale bellico pesante, la possibilità di punire le banche collegate al piano nucleare iraniano. Sul Wall Street Journal sono apparsi due editoriali, il primo a firma di Charles Krauthammer, il secondo di Gerald F. Seib, che analizzano pro e contro delle sanzioni, i loro punti di forza e di debolezza.

Per Krauthammer c’è poco da fare: le sanzioni proposte da Obama sono un segno della debolezza americana. Come ha detto il ministro degli esteri francesi Kouchner, non sarà certo l’accordo fra Turchia, Brasile e Iran a fermare il programma nucleare di Teheran (in cambio della consegna su territorio turco di 1.200 dei 1.500 kg di uranio arricchito al 3,5 per cento in mano, Teheran riceverebbe nel corso dell’anno 120 kg di combustibile arricchito per il suo programma civile). Le sanzioni, a loro volta, secondo Krauthammer non colpirebbero la banca centrale iraniana, né servirebbero a indebolirne l’industria petrolifera e del gas, così come non permetterebbero delle ispezioni decise in maniera unilaterale sulle navi sospette. Il fatto che Turchia e Brasile abbiano già annunciato che non voteranno per le sanzioni, poi, spingerebbe anche la Cina a rivedere al ribasso la sua posizione (Pechino per ora ha annunciato di essere pronta a votare la bozza presentata dagli Usa).

La questione del nucleare iraniano rischia quasi di passare in secondo piano rispetto a quello che sta accadendo da un punto di vista internazionale: con la sua politica del dialogo a tutti i costi, il Presidente Obama ha finito per far avvicinare a Teheran due alleati strategici degli Usa, la potenza leader del Sud America, il Brasile, e il partner della Nato, la Turchia. Ieri i giornali brasiliani hanno complicato ancora di più le cose comunicando l’esistenza di una lettera inviata all’inizio del mese dalla Casa Bianca a Lula, in cui si dava un implicito via libera all’intesa Iran-Brasile-Turchia: "Obama ormai dice una cosa e poi ne fa un’altra, in genere tramite il segretario di stato Clinton," ha scritto ieri un quotidiano di San Paolo, "non è più un Presidente aperto al dialogo con l’America Latina".

Per Krauthammer quel che è accaduto con Lula ed Erdogan è solo la cima di un iceberg – con la sua acquiescenza Obama ha ottenuto lo stesso effetto con l’Europa Orientale (Ucraina, Repubblica Ceca, Polonia, Georgia, temono sempre di più il “resettaggio” dei rapporti diplomatici fra Usa e Russia), l’America Latina (dove il blocco dell’Alba continua a guadagnare consensi, rafforzando la posizione del Venezuela di Chavez, un altro di quei Paesi che ha incrementato i suoi rapporti economici e politici con Iran e Russia), e il Medio Oriente (la ricerca di un appeasement con la Siria – l’agente del dialogo di Teheran – ha rinsaldato ancora una volta l’asse fra Hamas ed Hezbollah). “Non si tratta più semplicemente di una America in declino ma di una America che si ritira, accettando, ratificando e dichiarando il suo declino, e invitando le potenze in ascesa a riempire il vuoto di potere”.

Meno pessimista l’altro editoriale del WSJ, firmato da Gerald F. Seib, che ha definito le sanzioni “imperfette” ma “significative”. Nonostante i limiti evidenziati da Krauthammer, il dato da evidenziare è che finalmente l’annuncio delle sanzioni c’è stato, dopo tanti tentennamenti. Ancora più rilevante è che l’Iran non potrà più contare sull’appoggio diretto o indiretto di Cina e Russia fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. L’accordo con turchi e brasiliani non basta a bilanciare la eventuale perdita di protezione di Mosca e Pechino “Tutto ciò suggerisce che le lunghe trattative con Medvedev e Hu Jintao stanno pagando un buon dividendo”, scrive Seib.

L’alternativa alla situazione attuale sarebbe stata molto peggiore: se Cina e Russia avessero detto no alle sanzioni il risultato sarebbe stato quello di accettare il decollo nucleare iraniano – e l’Occidente a quel punto non avrebbe potuto farci niente. Le ispezioni sulle navi e la penalizzazione delle compagnie straniere che fanno affari con Teheran complicheranno la vita ai mullah. La rincorsa nucleare probabilmente non si fermerà ma potrebbe essere rallentata. In questo modo l’Iran sarebbe costretto a riprendere delle trattative diplomatiche più serie di quelle che ha portato avanti fino ad ora. America ed Europa, a quel punto, dovrebbero tornare a puntare sui movimenti di protesta interni alla Repubblica Islamica: “Dopo tutto – conclude Seib – la vera minaccia non viene tanto dalla prospettiva che l’Iran riesca a dotarsi di armi atomiche, quanto dal fatto che è il regime attualmente al potere in Persia a volersi dotare di tali armamenti”. Ieri, il leader dell’opposizione iraniana Mousavi è riapparso sulla scena per criticare le sanzioni, addossandone la responsabilità alla scriteriata politica estera del governo Ahmadinejad.

L’Iran continuerà a giocarsi la carta turco-brasiliana? Erdogan ha già scritto a Obama invitandolo a non rifiutare a priori l’accordo sulla scambio di materiale radioattivo con Teheran, spiegando che se dovesse passare la bozza delle sanzioni “la tensione salirebbe a livelli senza precedenti”. Sabato scorso, il premier turco ha poi scritto ai leader di 26 Paesi, membri permanenti e non del Consiglio di Sicurezza, per "spingere" sull’accordo raggiunto fra Ankara e Teheran. Oggi esponenti del governo iraniano hanno consegnatoalla AIEA i dettagli del piano ma fino a ieri sera i responsabili dell’agenzia per il nucleare di Teheran smentivano qualsiasi notizia in merito. E mentre “Mister Pesc” a nome dell’Europa lascia aperta la porta al dialogo (“L’Iran sarebbe pronto a riprendere i colloqui con il 5+1”), il segretario generale delle Nazioni Unite auspica che l’iniziativa congiunta fra Iran, Brasile e Turchia  “possa portare a una soluzione negoziata della crisi”. 

Non è ancora chiaro, quindi, quale sarà l’efficacia delle sanzioni. L’Iran potrebbe anche accettare lo scambio proposto dai turchi ma si riserva di continuare il suo percorso di arricchimento dell’uranio al 20 per cento ed entro il 2011 dovrebbe dotarsi di un nuovo impianto per l’occorrenza, il secondo dopo il sito di Natanz. Mosca, pur appoggiando la bozza Usa, dice di non voler rinunciare alla vendita di sistemi missilistici già concordati con Teheran. L’ambasciatore cinese a Roma, infine, ha fatto sapere che “la bozza con le sanzioni non deve avere un impatto negativo sulla Regione”. Insomma, pur volendo ragionare in modo ottimistico la situazione internazionale nasconde non poche incognite e punti interrogativi.