Le speranze dell’Afghanistan in attesa di Obama
22 Novembre 2008
In Afghanistan la guerriglia talibana può essere sconfitta e la democratizzazione fare reali passi avanti, ma è necessario che la comunità internazionale dia un sostegno ben più ampio e consistente alle strutture dello Stato. È il messaggio lanciato da Rangeen Dadfar Spanta, ministro degli Esteri afgano, in un discorso pronunciato alla London School of Economics a margine degli incontri tra la delegazione guidata dal presidente Hamid Karzai e il governo britannico.
La necessità di un “comprehensive approach”
Secondo Spanta la grande maggioranza degli afgani è dalla parte del governo mentre il sostegno per i talebani e’ minimo: il problema è che le strutture statali non riescono a garantire la sicurezza e i servizi essenziali per la popolazione. “I talebani non sono forti, è lo stato afgano che è debole”, ha affermato Spanta. Di qui la necessità di un approccio a ampio spettro che miri a porre rimedio alla drammatica mancanza di istruzione e infrastrutture in Afghanistan, un paese che, quando erano al potere i talibani, non era, secondo Spanta, semplicemente uno stato fallito, ma “uno stato distrutto fino alle fondamenta”.
Questo approccio deve tradursi nell’impegno per lo sviluppo, condizione essenziale per affrontare problemi come il narcotraffico, ma anche puntare al coinvolgimento più ampio possibile delle forze politiche afgane, comprese quelle di opposizione. Barack Obama si è impegnato a incrementare di un miliardo di dollari gli aiuti non militari degli Stati Uniti all’Afghanistan, con l’obiettivo tra l’altro di sviluppare un’agricoltura alternativa a quella basata sul papavero e di sostenere la costruzione del sistema giudiziario. Spanta ha affermato di confidare che Obama aumenterà l’impegno in Afghanistan come leader degli Stati Uniti e del mondo democratico.
L’azione della Nato: addestramento e “surge”
Al tempo stesso, secondo Spanta l’azione militare rimane di importanza primaria. Che in Afghanistan lo sviluppo economico dipenda dalla sicurezza, e viceversa, è testimoniato dal fatto che la più grande e rischiosa operazione militare compiuta dalle truppe britanniche nel paese sia stato il trasporto delle turbine necessarie per costruire una centrale idroelettrica ad Helmand che una volta in funzione raddoppierebbe l’elettricità fornita alla provincia. I talebani hanno attaccato ripetutamente il contingente a guardia della diga per impedire un tale sviluppo della regione. L’operazione è stata un successo, ma una parte della stampa britannica ha lamentato il fatto che i ragazzi britannici “muoiano per difendere una diga afgana”.
La Gran Bretagna è l’unico paese europeo della Nato, insieme all’Olanda, con un contingente impegnato in massicci combattimenti contro i talebani. Ma per quanto ancora l’opinione pubblica sarà disposta ad accettare il sacrificio dei suoi militari in assenza di una ragionevole prospettiva di vittoria? È un problema che assilla anche altri membri della Nato, ed è ben presente al governo afgano. Non a caso nel suo discorso alla London School of Economics Spanta ha posto particolare enfasi sull’obiettivo di accelerare l’assunzione da parte di esercito e polizia afgani della responsabilità per la sicurezza del paese. Per raggiungere questo obiettivo il Ministro ha chiesto alla comunità internazionale un maggiore sforzo per l’equipaggiamento e l’addestramento delle forze di sicurezza afgane. Senza un consolidamento dell’esercito e della polizia nazionale un ritiro della Nato è difficilmente immaginabile.
Inoltre, il governo afgano ha chiesto un aumento delle truppe alleate per garantire lo svolgimento delle elezioni politiche nel 2009, in particolare nel sud e nell’est del paese. Obama si è impegnato a inviare altre due brigate americane entro la prossima primavera, e a chiedere agli alleati europei di aumentare la loro presenza militare. Il ministro degli Esteri britannico Miliband ha però ribadito che la Gran Bretagna, che ha già 8.100 soldati nel paese e ha subito 124 caduti dall’inizio della missione, non può mandare altre truppe e toccherà quindi agli altri alleati della Nato provvedere alla più equa ripartizione degli oneri e delle responsabilità chiesta insistentemente dagli americani.
Il problema delle vittime civili e il ruolo del Pakistan
Altri due temi delicati sono al centro del triangolo Kabul-Londra-Washington: le vittime civili delle azioni Nato, e i raid contro le basi dei talebani in Pakistan. Sul primo punto, Karzai già nel congratularsi con Obama per la sua vittoria aveva chiesto un immediato impegno per la riduzione delle vittime civili dei bombardamenti Nato. A Londra Spanta ha annunciato che si stanno negoziando “accordi tecnici” con la Nato e le altre forze della coalizione internazionale per ridurre il numero delle vittime civili, ma ha anche onestamente ammesso che “azzerarlo, in una guerra, è impossibile”.
Sul secondo punto, aveva destato scalpore la promessa di Obama di colpire unilateralmente gli affiliati ad Al-Quaeda in territorio pachistano se le forze di Islamabad non saranno capaci di farlo. Spanta ha usato toni decisamente concilianti e ottimistici verso i vicini pachistani, sottolineando che i due paesi sono spinti a cooperare dalla forte interdipendenza economica e politica e dalla comune minaccia del terrorismo. Secondo Spanta, il governo civile di Islamabad sta lentamente acquisendo maggiore controllo sulle forze armate del paese. Il problema del Pakistan è reso ancora più acuto dal fatto che la maggior parte delle forniture alle forze Nato e al governo afgano – mezzi, carburante, materiali – arriva attraverso il Pakistan passando per il Khyber Pass, dove gli agguati talebani ai convogli sono molto frequenti.
“La democrazia in Afghanistan è possibile”
Un altro tema su cui Spanta ha insistito è che è possibile costruire uno stato funzionante e democratico in Afghanistan. Dal 2001, ha sottolineato, sono stati fatti importanti progressi: la tradizionale struttura tribale del potere è meno forte che in passato e gli sforzi per sostituire le regole tribali con regole giuridiche e politiche incontrano un ampio consenso; si sono tenute le prime elezioni pacifiche e democratiche della storia afgana per eleggere presidente e parlamento; la società civile è più forte, con più di 400 giornali indipendenti, un’attiva partecipazione delle donne specie nelle città; grandi miglioramenti si sono avuti nel campo dell’istruzione, come mostra il notevole aumento del numero di studenti; differenti orientamenti politici emergono tra le forze moderate, segno che si sta consolidando un effettivo pluralismo.
A Spanta è stato però obiettato che in Afghanistan si può essere ancora condannati a 20 anni di reclusione per reati di opinione, come accaduto recentemente a Parwez Kambakhsh, un giovane giornalista accusato di blasfemia. Il ministro ha ammesso che l’Afghanistan deve affrontare seri problemi sul terreno dei diritti umani. Proprio per questo, ha affermato, c’è bisogno del sostegno della comunità internazionale contro coloro che rifiutano lo stato di diritto e il pluralismo. E si è detto “sicuro” che alla fine dell’iter giudiziario Kambakhsh sarà liberato, aggiungendo che Karzai sostiene la sua posizione perché “questa è una battaglia tra le forze del passato e quelle del progresso, una battaglia che combatteremo”. Una riprova che, sebbene importanti passi avanti siano stati fatti, l’Afghanistan è una società in transizione o, per dir meglio, ancora in bilico tra una situazione caratterizzata dal predominio delle milizie e delle tribù e il difficile tentativo di introdurre alcuni principi fondamentali dello stato di diritto. È una trasformazione che sarà possibile solo se i paesi impegnati nella missione internazionale riusciranno nei prossimi mesi a mettere a punto una strategia che, accanto allo sforzo militare, preveda una più robusta e ampia azione per il rafforzamento degli organi di governo e la ricostruzione delle infrastrutture.