Le tasse non sarebbero così alte se tutti le pagassero

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Le tasse non sarebbero così alte se tutti le pagassero

19 Novembre 2008

Anche il diritto tributario soggiace alla nota differenza tra giustizia e diritto. Una delle prime nozioni che qualsiasi studente di giurisprudenza impara fin dai primi anni di facoltà è che i due concetti non sempre sono compatibili, anzi.

Nel diritto tributario, spesso, visti i vincoli di bilancio di cui la politica fiscale deve comunque tenere conto, questa differenza si sente ancora di più. Alcune norme palesemente ingiuste sopravvivono infatti per meri motivi di cassa. Ed anche quando viene magari sollevata eccezione di incostituzionalità, per violazione dei principi di giustizia, presenti, in via programmatica, nella nostra Costituzione, quali, per esempio, quello della capacità contributiva, di cui all’articolo 53, o quello di eguaglianza, di cui all’articolo 3, la Corte Costituzionale si inventa le tesi più originali, pur di salvare le entrate dell’Erario.

Il gioco sulle entrate tributarie, del resto, è ancora più “sporco” dall’altra parte della barricata, se è vero che, solo nel 2007, l’Agenzia delle Entrate ha incassato (non, contestato) quasi sette miliardi di Euro. Ciò che viene incassato è naturalmente solo una parte di ciò che viene accertato o contestato a seguito di ispezioni e verifiche e ciò che viene contestato è naturalmente solo una minima parte di ciò che viene evaso, non potendo certo l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza controllare a tappeto milioni e milioni di contribuenti.

Secondo i dati del Ministero infatti l’evasione fiscale ammonterebbe a circa 100 miliardi di Euro all’anno, con un’economia sommersa pari ad almeno il 20% del prodotto interno lordo, per circa 280 miliardi di Euro. A sentire questi numeri gira la testa. E soprattutto appare chiaro come qualsiasi analisi in ordine alle misure di contrasto da adottare per contenere la crisi in atto non possa prescindere da tali numeri; anche considerato che, plausibilmente (e comunque giustamente), chi ha bisogno oggi di essere aiutato è proprio chi non evade e non ha evaso.

Il “bello” dell’evasione fiscale infatti è che, in realtà, chi evade non lo fa contro lo Stato “padrone” o comunque troppo esoso, ma contro il vicino di casa, che, invece, quelle tasse le paga (o perché è onesto, o perché non può essere disonesto, come, per esempio, nel caso dei dipendenti, la cui trattenuta avviene direttamente in busta paga).

Appare evidente allora che, se è vero, come è vero, che lo Stato deve raggiungere quel pareggio di bilancio, comunque troverà il modo per raggiungerlo; magari anche in modo ingiusto o scorretto, ma lo farà e lo farà a carico di chi già prima non evadeva e pagava. E lo farà anche in modo legittimo, attraverso il diritto, attraverso cioè degli obblighi imposti dalle leggi, il cui adempimento non può certo essere lasciato alla discrezionalità del cittadino, altrimenti sarebbe l’anarchia e non ci sarebbe più neppure uno Stato di diritto.

Il contrasto all’evasione fiscale e l’ingiustizia della pressione fiscale troppo elevata, dunque, non vanno confusi. Sull’ingiustizia della pressione fiscale, infatti, la politica sarà chiamata a trovare rimedi (o meglio, dovrà trovare rimedi), anche sollecitata dalle legittime proteste di chi paga eccessive tasse (soprattutto in confronto ai servizi pubblici che ottiene in cambio). Sul contrasto all’evasione fiscale e soprattutto sulla condanna di chi la pratica, invece, non esiste e non può esistere alcuna legittima protesta.

L’evasione fiscale, infatti, non solo è ingiusta, perché, come detto, agisce contro gli altri cittadini, in un contesto da homo homini lupus, ma, soprattutto, al di là di giudizi morali o etici (che non interessano, né devono interessare al giurista), è illegale, cioè contro la legge, la base cioè della nostra comunità e del nostro vivere quotidiano.

Legittimare la possibilità o la giustificabilità dell’evasione fiscale, in caso contrario, legittimerebbe anche l’esproprio proletario, l’occupazione abusiva, gli scioperi selvaggi, etc. etc, e spero che questo non possa mai accadere.

L’evasione fiscale è un fenomeno complesso. Leggere tutti i libri che in questi ultimi tempi sono stati pubblicati  sull’argomento è limitativo, a volte solo “folcloristico” (come l’esempio dei materassi “gratuiti” allegati a riviste con un prezzo di copertina di duemila Euro solo per sfruttare il regime fiscale agevolato dell’editoria e pagare quindi l’IVA al 4% e non al 20%).

Ma la pratica operativa rivela un contesto molto più esteso ed anche molto più inquietante, spesso peraltro connesso alle attività ed agli interessi della criminalità organizzata. Si va infatti dall’evasione classica della contabilità in nero e dei ricavi non dichiarati, agli illeciti rimborsi, alle grandi frodi di rilevanza comunitaria, con operazioni inesistenti e società cartiere, alla più sottile elusione fiscale, spesso appannaggio dei grandi soggetti societari, a cui, per pagare centinaia di milioni di euro in mero del dovuto, senza “sporcarsi troppo le mani”, basta interpretare pro domo sua un comma di una legge, al transfer pricing, alle esterovestizioni nei paradisi fiscali etc etc (l’elenco potrebbe essere quasi infinito).

Tutto questo è illegale. La confusione tra diritto e morale, però, continua a imperversare. E si continua ad impostare il problema dell’evasione fiscale, dandogli una valenza morale che non può e non deve avere (né a favore, né contro). Come abbiamo detto, semplicemente, chi evade le imposte viola la legge e per tale motivo deve essere punito. Se non si tiene presente e saldo tale concetto, anche il perseguimento di giusti obiettivi, quale appunto la lotta all’evasione fiscale, rischia di diventare sia ingiusto che illegale.

Il Comune di Napoli, per esempio, secondo quanto apparso recentemente su alcuni articoli di stampa e secondo quanto denunciato da associazioni di consumatori, con l’obiettivo di adottare una linea dura contro chi evade le tasse, ha negato la mensa scolastica ai figli dei presunti evasori. Ma che c’entrano i figli? Quale Stato di diritto può consentire che le colpe dei padri ricadano sui figli? Certo un’azione del genere potrebbe essere anche efficace (a Napoli i figli sono sempre piezz’e core), ma sa tanto di vendetta trasversale e soprattutto non è consentita dalla legge. La legge insomma resta il solo metro “umano” di giudizio sulla giustizia. E, laddove non la si condivida, il solo modo per evitarne le ingiuste conseguenze non è violarla, ma chiedere eventualmente alla politica, cioè a chi fa le leggi, che la stessa legge venga cambiata.

Una cosa è certa, in questo momento di crisi finanziaria ed economica possiamo pensare e citare tutte le teorie economiche del mondo ed apprestare tutti i rimedi del caso, a favore delle imprese, a favore delle famiglie, a favore di tutti. Ma senza una seria lotta all’evasione si va poco lontano. Basta pensare all’entità dei numeri sopra citati. Basta pensare che se anche si riuscisse ad incassare solo la metà dell’evasione stimata si potrebbe detassare tutte le tredicesime del mondo, consentire la detrazione integrale dell’Irap dall’imposta sul reddito (con perdita di gettito di “soli” 8,5 miliardi di euro), aumentare le pensioni, non aver più bisogno degli studi di settore, introdurre tranquillamente il quoziente familiare, etc. etc. etc. Perché rinunciare a tutto questo?

La lotta all’evasione fiscale, dunque, al di là dei tanti, spesso sterili, dibattiti accademici dei guru dell’economia mondiale e nazionale, resta il solo, immediato, tangibile e soprattutto realizzabile, strumento per abbassare la pressione fiscale. Le due cose non sono antitetiche, ma strettamente collegate. Perché il Signor Rossi possa continuare a mandare avanti la sua azienda, a contribuire allo sviluppo dell’economia italiana e a mantenere le famiglie dei propri dipendenti, senza dover versare al Fisco tutto ciò che guadagna dal suo sudato lavoro, con il rischio di chiusura della stessa impresa, necessariamente il Signor Bianchi, vicino di casa del Rossi ma (fiscalmente e fittiziamente) residente a Montecarlo, dovrà versare in Italia quanto dovuto in base alla sua capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). Perché la società “E io Pago” Srl, che, immaginiamo, produce stringhe per scarpe, possa continuare a resistere sul mercato, alla società “E io non pago” Srl, del gruppo “Chi se ne frega” SpA, la cui controllante (gestita dagli stessi soci della controllata) ha sede alle Cayman, non potrà più essere consentito, con il fine di dirottare alle Cayman i relativi utili di impresa, di acquistare i componenti delle stringhe dalla controllante estera al doppio del prezzo che invece paga la “E io pago Srl” (con dunque abbattimento del reddito imponibile). Sarebbe come far giocare una partita di calcio in 11 contro 22. Dov’è in questo caso la libera concorrenza? Perché la società “Tartassata” Srl, che, immaginiamo, vende articoli in oro al prezzo di 1000, non debba chiudere per mancanza di clienti, alla società “Furba” Srl, non potrà essere consentito di vendere i medesimi articoli a 800, perché magari li ha acquistati dalla società “Inesistente” Srl, mera cartiera, con rappresentante legale un barbone sotto un ponte e sede in uno scantinato di un condominio abbandonato e che tanto, non versando mai l’IVA (dato che il giorno dopo la vendita chiude e che, comunque, non c’è nessuno a cui andarla a chiedere) può fare anche un prezzo di vendita “scontato” del 20% (con effetti a catena sulle successive acquirenti e quindi sui clienti finali).

Laddove tutto ciò venga consentito (o comunque, in qualche modo, non condannato fermamente) su chi pensate che il Fisco si rivalga? Se poi le politiche fiscali, economiche e finanziarie si accompagneranno (e non si sostituiranno) alla lotta all’evasione fiscale, chissà, potremmo anche farcela a superare questa crisi.

Come è possibile infatti pensare di abbassare la pressione fiscale, di mantenere (ed anzi incrementare) la qualità dei servizi pubblici, di sostenere le grandi opere e infrastrutture, di incentivare le imprese con agevolazioni, senza poter contare su quei 100 miliardi di euro, illegittimamente sottratti alle casse dello Stato?