Le tasse sono troppe per scoraggiare l’evasione

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Le tasse sono troppe per scoraggiare l’evasione

Le tasse sono troppe per scoraggiare l’evasione

04 Dicembre 2007

Questi giorni, com’è naturale in periodo di Finanziaria, si fa un gran
parlare degli accorgimenti tecnici che ridisegneranno l’imposizione sui redditi
a partire dall’anno prossimo.

A sfogliare le pagine dei quotidiani economici, è chiara l’insistenza
sul versante dei redditi societari. Tutti – giornalisti, politici, tecnici,
associazioni di categoria e chi più ne ha più ne metta – sono alle prese con
l’IRES e i suoi mille volti, azzardando previsioni sugli effetti di una misura
piuttosto che di un’altra.

A chi scrive, però, sembra che in tutte queste
discussioni si tralasci il versante dell’imposizione progressiva, quella che
interessa le persone fisiche, dove rimane tanto da fare: non ci vorrete far
credere che basti un pugno di agevolazioni – e poco più – a rendere compiuta la
riforma?

Dimenticare l’imposizione progressiva sarebbe un
errore piuttosto grave. E questo soprattutto se, come nel caso di Visco, si è
fatto della lotta all’evasione una bandiera. Perché, se è vero che l’evasione
nelle società, e, più in generale, nelle persone giuridiche esiste, è anche
vero che il fenomeno non è meno grave tra le persone fisiche.

Visco, come noto, ha le sue idee – una versione
contemporanea della cara vecchia lotta di classe: da una parte, l’Italia che
paga le imposte, dall’altra il popolo delle partite IVA, che di mestiere
sottrae soldi all’Erario.

Ma per fortuna c’è anche chi crede che l’evasione
possa, invece che con atteggiamenti manichei, essere spiegata con
argomentazioni razionali, partendo da due fattori principali:

1. Il guadagno che si realizza evadendo;

2. L’efficienza
della Pubblica Amministrazione.

Si sarà spinti a evadere quanto
maggiore è l’utile che si spera di realizzare evadendo, e quante
minori probabilità si ha di essere scoperti.

Tralascio il tema dell’efficienza della Pubblica
Amministrazione: il punto che mi preme trattare è il “peso”
dell’imposizione progressiva, che interessa i cittadini più da vicino, e che
per troppo tempo è stata trattata come un vero e proprio totem.

Solo dagli anni ’80 del secolo scorso, diversi
studiosi hanno giustamente iniziato a metterne in discussione la bontà: secondo
i pronostici di Einaudi e di Nitti, si constatò, con l’inflazione galoppante,
il drammatico fenomeno del fiscal drag.

Senza parlare poi della sistematica violazione del
principio dell’eguale retribuzione per eguali sforzi, apertamente denunciato in
una serie di conferenze del CIDAS di Torino (www.cidas.it)
dei primi anni ’90.

In che cosa consiste questa violazione? Prendiamo
il caso di due avvocati. Fanno entrambi lo stesso lavoro, ma uno è più bravo e
guadagna 100, l’altro solo 10. Con l’imposta progressiva, entrambi gli avvocati
pagheranno un euro d’imposta sulla prima causa vinta, ma alla seconda causa
l’avvocato che guadagna di più pagherà due euro, e poi tre, quattro e avanti così,
fino ad arrivare all’ultima causa in cui praticamente versa al Fisco tutto
quello che guadagna. E’ vero che unità aggiuntive di ricchezza soddisfano
bisogni meno urgenti e dunque possono sopportare prelievi più gravi, ma è vero
anche che per ottenere unità aggiuntive di ricchezza è necessario fare sforzi
maggiori.

Vengo al dunque. La forte progressività delle
aliquote dell’imposta personale alimenta l’evasione: più elevato è il guadagno
sperato, e più si è incentivati a non pagare le tasse!

In questa prospettiva ben poco rosea, contano non
solo le aliquote assolute, ma anche e soprattutto le aliquote marginali.
Un’imposta progressiva può essere penalizzante non soltanto perché è alta
l’ultima aliquota, ma soprattutto perché sono fitti i gradini che si fanno per
“salire”.

Tutti fanno i conti con l’aliquota marginale e
cioè si chiedono: io ho un certo qual reddito, se guadagno ancora 10.000 euro
dove vado a finire? Pagherò più tasse?

Ecco perché è indispensabile, portando avanti una
delle prime intuizioni di Tremonti, ridurre allo stretto indispensabile il
numero di aliquote marginali, ampliando gli scaglioni per fare in mdo che al
loro interno ci si possa muovere con libertà, senza che per ogni piccolo nuovo
guadagno scatti una più alta aliquota marginale.