Le tende, il primato della politica e la rincorsa alle non-emergenze

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Le tende, il primato della politica e la rincorsa alle non-emergenze

Le tende, il primato della politica e la rincorsa alle non-emergenze

12 Maggio 2023

Tende sì o tende no? Airbnb sì o Airbnb no? Figli sì o figli no? Mozzarelle di bufala sì o mozzarelle di bufala no? E si potrebbe continuare. Ma di cosa si tratta? L’eterna rincorsa all’emergenza della politica che, persino sulle golose mozzarelle di bufala, ha trovato un tesoretto, termine ormai inquietante per chi ha a cuore la finanza pubblica. La politica ha perso il suo primato. Anziché dettare l’agenda pubblica, subisce l’immediatezza dei social che impongono nel dibattito una serie infinita di problemi.

La locuzione “primato della politica” è entrata nel gergo comune, ma è spesso citata a sproposito. Fu Gramsci a introdurre questo concetto. “L’elemento popolare ‘sente’, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale ‘sa’, ma non sempre comprende e specialmente ‘sente'”, spiegò l’intellettuale comunista. Diventa quindi centrale evitare i due estremi: “la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra”. Gramsci, poi, si concentra sul ruolo della classe dirigente. “L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato.” Gramsci ha una certezza: “l’intellettuale può essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo”.

Non serve essere di sinistra, né tantomeno comunisti, per apprezzare l’attualità queste poche righe dei “Quaderni dal carcere”. I social network permettono ai cittadini di portare in primo piano le proprie istanze come mai è potuto accadere. Si tratta di un fatto positivo, ma rischioso. Gli intellettuali, o più ampiamente i membri della più ampia classe dirigente, indiscutibilmente ‘sentono’ grazie alla disintermediazione dei social. Tuttavia, sembra non essere in grado di sapere abbastanza per accompagnare i cittadini nella risoluzione dei problemi.

Che significa in concreto? Prendiamo il caso degli studenti in tenda davanti alle università che denunciano l’aumento dei prezzi degli affitti. Il problema c’è. Si sente. Alla fine il governo ha sbloccato 660 milioni per nuovi alloggi. Bene, ottimo. Due giorni in tenda hanno partorito più di mezzo miliardo di spesa aggiuntiva. Nel nostro Paese la spesa pubblica è il 56,8% del Pil ed è destinata ad un aumento perenne. Parlare di ricalibrarla sembra un’eresia, eppure non funziona mai nulla.

Perché se la politica rinuncia a governare processi che sono inevitabilmente di lungo periodo, ogni volta si trova nella posizione di dover adottare provvedimenti più o meno discutibili che sviliscono le cause stesse e le rispediscono in soffitto fino alla protesta successiva. Gli intellettuali, in senso ampio considerato che sono in un’apparente e ineluttabile estinzione, soffiano sul fuoco per perorare della cause puramente ideologiche, così si torna a spolverare il vecchio armamentario dell’esproprio proletario degli appartamenti sfitti oppure ad accusare i giovani di essere sfaticati. Di piani seri per governare il fenomeno non si vede nemmeno l’ombra.

Ebbene, il caso di specie non deve offuscare la vista. Vivere eterne emergenze, che tali non sono perché si tratta di situazioni consolidate e, banalmente, ignorate, impedisce a qualsiasi governo di svolere il proprio ruolo di guida, che diventa, inevitabilmente, un ruolo dirigista che soddisfa i cittadini nel breve periodo, ma non risolve nessun problema. Senza primato della politica, quindi senza una classe dirigente adeguata, nessuna politica pubblica può essere veramente efficace e la democrazia rischia di essere sempre più fragile. E non possiamo permettercelo.