Le tentazioni di Fini e i malesseri dei suoi svelano la vera natura  di Fli

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Le tentazioni di Fini e i malesseri dei suoi svelano la vera natura di Fli

19 Novembre 2010

La settimana che finisce ci consegna un Fli piegato, quasi angosciato, preda di un malessere difficilmente decifrabile. Soltanto quindici giorni fa aveva il piglio baldanzoso chi regge nelle proprie mani il destino del governo, della legislatura e mettiamoci pure del Paese. Corroborato da una stampa compiacente, il nuovo partito promosso e benedetto a Bastia Umbra dal presidente della Camera, sembrava sul punto di spezzare davvero le reni al presidente del Consiglio e riteneva, sfoggiando un ottimismo eccessivo, di averlo messo nelle condizioni di gettare la spugna.

Fini, insomma, era convinto di essersi assicurato un posto al sole nel dopo-Berlusconi, mai immaginando che la reazione si sarebbe fatta sentire in primo luogo con la forza della compattezza dei gruppi parlamentari del Pdl che i finiani immaginavano smottassero; ed in secondo luogo con la rinuncia di numerosi esponenti di Fli a radicalizzare lo scontro, realisticamente consapevoli che a nulla sarebbe valso se non ad affrettare lo scioglimento delle Camere restando vittime della loro stessa sfida inopinatamente lanciata alla maggioranza di cui facevano parte.

Da qui i più miti consigli a cui Fli sembra essersi acconciato, sulla spinta ed il lavorìo dei parlamentari più lungimiranti e meno inclini ad estremizzare un conflitto che più passa il tempo e più si rivela artificioso e politicamente immotivato. Beninteso, la discontinuità in una coalizione non sempre è un male, basta intendersi su come la si vuole declinare. Se per avventura qualcuno pensa, come è accaduto nella circostanza che ha portato alla scissione, che essa debba essere l’anticamera per far fallire un’esperienza politica voluta dagli elettori, è ovviamente inaccettabile. Se, al contrario, si sostanzia di proposte concrete tese a migliorare e a rendere più incisiva l’azione di governo, indiscutibilmente costituisce l’occasione per una ripartenza i cui risultati potrebbero essere altamente apprezzabili.

Purtroppo, l’improvvisazione non ha fatto nascere in Fli una linea coerente con le premesse. Si era partiti, come tutti ricordano, da una richiesta di maggiore discussione e si è finiti per incrociare la strada delle diversificazione politica che ha portato la pattuglia finiana all’opposizione della stessa maggioranza pur restando formalmente nel perimetro del centrodestra. Una contraddizione che è esplosa traumaticamente mettendo in discussione non soltanto la compattezza dei gruppi parlamentari, ma la stessa progettualità in vista di quello che sarà a gennaio il vero e proprio congresso di fondazione del partito. Come ci arriveranno i finiani all’appuntamento con la loro storia personale e con il loro futuro?

Da quel che si capisce dai manifesti elaborati, uno ideologico presentato a Milano e l’altro politico declamato a Bastia Umbra, sembra che ci siano distonie evidenti tra la tendenza ad imboccare un percorso ideale e la realtà effettuale sulla quale il nuovo soggetto dovrebbe muoversi. Al netto delle contraddizioni e delle contraffazioni ideologiche (nel senso che numerose affermazioni nulla hanno a che vedere con la destra, né la superano in nome di qualcos’altro, a meno di non voler assumere il radicalismo relativista come orientamento), è di tutta evidenza che il perimetro delle alleanze deve essere ancora disegnato. E nel momento in cui i finiani lo faranno, si renderanno conto della difficoltà di mettersi insieme, in un polo alternativo al centrodestra ed al centrosinistra, con l’Api di Rutelli, l’Udc di Casini, l’Mpa di Lombardo. Se li conosco bene, gli esponenti più autorevoli di Fli non potranno adeguarsi alle logiche e alla visione stessa della politica di ex-democristiani le cui scelte valoriali sono nette almeno quanto le tattiche di cui si servono per potersi ritagliare spazi di potere. Lo stesso può dirsi guardando l’alleanza dal punto di vista degli improbabili sodali del Fli.

Ma c’è di più. Un programma elettorale generico, con un po’ di buona volontà e qualche grammo di fantasia, si fa presto comunque a metterlo insieme. I dolori cominciano quando, più prosaicamente, si va alla conta dei candidati di questo e di quello da mettere in lista e garantire a questo e a quello l’elezione. Il giogo delle esclusioni e dei dolori e dei rancori e dei risentimenti deve essere necessariamente attraversato, con tutto ciò che comporta. E tanto è più difficile l’operazione quanto più è affrettata. Insomma, se Rutelli poco può pretendere, tra Fini e Casini inevitabilmente si aprirebbe un contenzioso piuttosto aspro. E la stessa leadership del “terzo polo” costituirebbe un problema di non facile soluzione.

Dipenderà anche da queste considerazioni se i finiani si mostrano piuttosto incerti ed ondivaghi tanto sul loro futuro che sulla loro libertà di movimento? Può darsi. Se la crisi dovesse risolversi nel senso di un atteggiamento collaborativo con il centrodestra ed il governo, non si potrebbe che concludere apprezzando la resipiscenza di un movimento che ha delle ambizioni e comincia a coltivarle con realismo e serietà all’interno di un quadro che è quello naturale di riferimento. Se, invece, perfino le recenti parole concilianti di Fini, che stridono con quelle pronunciate a Bastia Umbra, dovessero nascondere altre intenzioni, il Pdl ed il governo non si farebbero trovare impreparati in vista della sola via d’uscita dallo strano tunnel nel quale siamo finiti tutti: le elezioni anticipate.

Tuttavia, non soltanto rispetto a tale possibile evento, è necessario riprendere la riflessione sul partito, sulle sue strutture organizzative, sulla sua “ideologia” da resettare al più presto se non lo si vuole ritrovare tra i rottami della storia recente della politica italiana al termine della più amara stagione della Repubblica. Ma questo è un altro discorso che il Maldestro non mancherà di riproporre prossimamente.