Le toghe non trattano sul chi sbaglia paga, vale per tutti non per loro

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Le toghe non trattano sul chi sbaglia paga, vale per tutti non per loro

Le toghe non trattano sul chi sbaglia paga, vale per tutti non per loro

08 Febbraio 2012

 

Prima l’avvertimento: il governo tolga di mezzo quella norma. Poi la conferma: sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, le toghe non trattano. L’Anm è pronta al muro contro muro e nemmeno il faccia a faccia con Palazzo Chigi è servito a smussare la linea oltranzista. Ma sulla giustizia c’è un altro nodo da sciogliere: il governo blinda con la fiducia il decreto ‘svuotacarceri’ e a Montecitorio scoppia la bagarre.

 Monti e Severino sono alle prese con due grane non da poco. Da un lato l’out-out dell’Anm che sulla norma approvata a larga maggioranza dalla Camera e ora all’esame del Senato, non vuole sentire mediazioni e neppure impegnarsi a farle: quel provvedimento va tolto, punto. Non importa se un ramo del Parlamento si è già espresso e un altro non si è ancora pronunciato; no l’Anm ha già deciso per tutti, per il governo e per la politica. Nel faccia a faccia con Palamara e Cascini, il premier e il Guardasigilli hanno assicurato l’impegno del governo affinchè al Senato si arrivi a una correzione del provvedimento attraverso “un dialogo con le forze parlamentari per raggiungere il massimo dell’intesa su una modifica”. L’Anm prende atto dell’apertura ma non digerisce modifiche che non siano in linea con le richieste della categoria. Questa la sostanza, mentre la forma sta nelle parole di Palamara che afferma: “Il giudice che sbaglia paga. C’è una legge del 1988 che trova un equilibrio tra la responsabilità del giudice e quella dello Stato. Come avviene nelle principali democrazie europee”. Aggiunge che nel nostro paese “c’è la possibilità di agire direttamente nei confronti del giudice ma ci sono mezzi specifici tramite i quali si può giudicare il giudice. L’impegno del governo nell’adoperarsi per la modifica della norma è un grande traguardo. E’ importante però non mettere in discussione l’autorità dello Stato”. Peccato che la norma vigente contenga in sé una clausola di salvaguardia molto ampia con livelli altrettanto ampi di interpretazione sul piano del diritto e dell’oggettività dei fatti che nella maggior parte dei casi non portano alla rivalsa dello Stato sul singolo magistrato che sbaglia. E il fatto che in ventitré anni ci siano state solo quattro condanne a carico di magistrati, dimostra che qualcosa non funziona. Se a questo si aggiunge il fatto che l’Italia è sotto processo a Strasburgo per le reiterate violazioni delle disposizioni europee, il quadro è abbastanza chiaro per far comprendere come sia necessario rivedere l’attuale norma. Si può ragionare sul fatto che sia sufficiente o meno (e probabilmente non lo è) un emendamento o se invece (come sarebbe auspicabile) serva una nuova legge ad hoc. Quello che si comprende a fatica è l’atteggiamento barricadero del sindacato dei magistrati ogni volta che il Parlamento (ruolo e funzioni sono sancite dalla Costituzione) si pronuncia in materia di giustizia. E la politica? Se Anna Finocchiaro (Pd) sollecita una correzione dell’emendamento varato da Montecitorio, nelle file del Pdl si ribadisce, come fanno Alfano e Gasparri, che c’è disponibilità al confronto ma difendendo il principio introdotto da quel provvedimento con un consenso parlamentare ampio e trasversale.

Sul fronte giustizia scoppia un’altra grana. Si chiama decreto ‘svuotacarceri’ che il governo blinda con la fiducia (oggi il voto alla Camera). Fuori e dentro Montecitorio scoppia la bagarre: ostruzionismo della Lega, no dell’Idv, malumori nel Pdl. Si tratta delle misure varate dal Consiglio dei ministri per contrastare il sovraffollamento delle carceri e tra queste l’ampliamento della possibilità di detenzione domiciliare, consentendo l’uscita progressiva dal carcere di circa 3.500 detenuti e innalzando fino a 18 mesi la pena residua da scontare ai domiciliari. Una mossa, quella sulla fiducia, decisa dal governo per “una questione di tempi” spiega il Guardasigilli dal momento che i deputati leghisti hanno presentato più di cinquecento emendamenti.

Di Pietro annuncia che voterà contro per il ricorso dell’esecutivo alla fiducia eccessivo “con la stessa media del governo Berlusconi ma con la differenza che questo governo non è politico e quindi deve essere quanto mai attento alle esigenze del Parlamento e dei deputati”. Non mancano critiche neppure nelle file pidielline dove Alfredo Mantovano, osserva: “Vi sono state fin dall’inizio motivate riserve da parte di sindacati, partiti, rappresentanti delle istituzioni, singoli parlamentari: tutte puntualmente ignorate dal Governo. Ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha censurato come costituzionalmente illegittimo un articolo del testo (la cosiddetta ‘norma Lusi’, della quale lo stesso governo non è stato in grado di indicare gli effetti) e la commissione Bilancio ha censurato una serie di passaggi del provvedimento, dalla copertura oscura o discutibile”.

Per l’ex sottosegretario all’Interno “è veramente singolare che, a fronte di tali censure, puntualmente motivate e frutto di una discussione condivisa al di là delle appartenenze politiche, il Governo abbia posto la fiducia su un testo che le ignora del tutto. Il ministro della Giustizia giustifica la fiducia ‘per ragioni di tempo’: in realtà ci sono ancora 15 giorni prima della scadenza dei 60 per la conversione, durante i quali era possibile, e quindi doveroso, rispettare il lavoro del Parlamento ed evitare di imporre un pasticcio che finora ha provocato solo danni”.

Due questioni, un dossier giustizia ancora lungo da chiudere col timbro “fatto”.