
Le toghe si autoassolvono, vietato criticare

10 Febbraio 2011
Il taccuino politico-mediatico-giudiziario del fine settimana ha tappe sottolineate con l’evidenziatore e un unico tema, il Rubygate nelle sue varie e contrapposte declinazioni: la manifestazione delle donne indignate che vanno in piazza per difendere la dignità delle donne, la manifestazione promossa da Ferrara per dire no alla morale in piazza e contro la repubblica dei puritani, il congresso futurista con annessa appendice di ‘contaminazione’ (culturale-politically correct) con le donne indignate, il presidio del Pdl lombardo davanti al Palagiustizia di Milano contro “l’aggressione dei pm politicizzati al premier”. Il prologo ieri, con le toghe che si ‘autoassolvono’: il Csm con Vietti, la Consulta con De Siervo.
“ Di bolscevichi qui non ce ne è nessuno” e dire il contrario “è denigratorio per la Corte Costituzionale e gravemente lesivo per ciascuno di noi”. Il presidente della Consulta Ugo De Siervo usa il guanto di velluto, ma il messaggio è diretto al premier e alla maggioranza. L’occasione è la conferenza stampa dedicata al bilancio annuale della Suprema Corte e in particolare le domande dei cronisti. Come quella delle critiche sull’imparzialità delle toghe dovuta anche alla loro appartenenza politica. De Siervo difende e ribadisce l’imparzialità da chi – e il riferimento indiretto è al premier – dice che la Corte è condizionata da una maggioranza di giudici vicini alla sinistra che hanno condizionato le decisioni ad esempio sul legittimo impedimento oppure bocciato (in tutto o in parte) leggi come il lodo Alfano.
Il presidente della Consulta ricorda che “i giudici costituzionali sono appositamente scelti dal organi diversi, fra i più rappresentativi delle nostre istituzioni (presidente della Repubblica, parlamento, supreme magistrature) ed entro categorie professionali particolarmente qualificate, in modo da garantire (per quanto possono le norme giuridiche) la loro più larga indipendenza di giudizio. Inoltre essi entrano in carica dopo aver giurato di osservare la Costituzione e le leggi”.
De Siervo è stato eletto alla Consulta il 24 aprile 2002 dal parlamento (viene dato in quota centrosinistra); sette anni dopo ne è diventato vicepresidente fino al dicembre scorso quando è stato ‘promosso’ alla guida della Suprema Corte, ma il suo mandato – come ormai da un po’ di tempo è prassi consolidata – scadrà a fine aprile. Insomma un presidente a tempo, come del resto molti altri suoi predecessori ed anche per questo appare poco credibile la difesa tout court di un alto organismo dello Stato che ogni tre mesi cambia vertice ed è composto in larga parte da magistrati a fine carriera. Cosa che non accade, ad esempio, negli Stati Uniti.
Si tiene lontano dalle domande più mirate sul Rubygate e sulla questione delle intercettazioni (ieri il Pdl ha smentito che nel vertice col Cav. si sia mai parlato di un decreto intercettazioni) ma nel caso in cui la Corte dovesse essere chiamata a pronunciarsi sul conflitto di attribuzione relativamente alla competenza, De Siervo si limita a dire che ci vorranno alcuni mesi ma sarebbe comunque un fatto eccezionale dal momento che la media è di un anno tra ammissibilità e poi decisione nel merito. Se misura le sue parole col bilancino al tempo stesso, il presidente della Consulta rileva che il contesto nel quale la Corte si trova ad operare rende il suo compito più faticoso perché subisce “la denigrazione dei giudici e attacchi selvaggi”.
Di qui l’invito esteso anche ai media a non esasperare i toni. E a chi gli chiede se si scandalizzerebbe nel caso in cui un suo sms fosse intercettato e poi divulgato. La risposta in una battuta: “Io risentito? Dipende da cosa c’è scritto…”. Poi precisa che i giudici costituzionali non possono essere messi sotto intercettazione perché tutelati dall’articolo 68 della Costituzione, quello sulle immunità. Gli attacchi selvaggi ai giudici che De Siervo stigmatizza sarebbero il motivo del clima surriscaldato che penalizza la leale collaborazione tra i poteri dello Stato. Ma Gaetano Quagliariello gli suggerisce la lettura del documento dell’ufficio di presidenza del Pdl nel quale “vi è un esplicito riferimento alla sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, qualificata come atto ‘che avrebbe potuto contribuire al ripristino di un equilibrio tra poteri dello Stato’”.
E’ comprensibile che il presidente della Corte non si sia espresso sulla scelta della procura di Milano di notificare l’invito a comparire al presidente Berlusconi neanche ventiquattrore dopo quella sentenza – è il ragionamento del vicepresidente dei senatori pidiellini – ma lo stesso riserbo non è stato dimostrato in altre valutazioni espresse nella conferenza stampa. Di qui l’invito alla riflessione sul principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato, al quale De Siervo ha più volte richiamato. In difesa delle toghe c’è anche la posizione del vicepresidente del Csm Michele Vietti (Udc) che tira le orecchie a chi critica la magistratura che “non coltiva finalità eversive” e ribadisce che “ai giudici e alla loro funzione si deve rispetto. La politica con la P maiuscola, quella capace di elaborare idee e visioni complessive dovrà pur un giorno tornare. Speriamo non tardi, perché la giustizia non può aspettare ancora a lungo”.
Dichiarazioni che il Guardasigilli Alfano bolla come solo parole contro il premier, ma Vietti rincara la dose quando dice che la magistratura è attraversata da un profondo malessere, “oggetto com’è di quotidiani attacchi anche da parte di chi, per ruolo istituzionale, dovrebbe preoccuparsi di evitare la reciproca delegittimazione”.
Posizione che Quagliariello contesta quando al vicepresidente del Csm ricorda che il Pdl sa che la stragrande maggioranza dei magistrati ogni giorno compie il proprio dovere senza clamori e con spirito di sacrificio e da questo punto di vista non c’è bisogno delle lezioni degli altri, dal momento che il centrodestra ha saputo fare squadra con le articolazioni dello Stato. Ma proprio per questo – è il punto di fondo – e anche in difesa di questa maggioranza silenziosa di magistrati, è un dovere morale con altrettanta schiettezza ribadire che esiste una minoranza rumorosa di toghe che dal ’94 tenta di sovvertire la sovranità popolare, calpestando la Costituzione e i diritti fondamentali di ogni cittadino.
Quanto al concetto di equilibrio costituzionale, il vicepresidente dei senatori Pdl chiosa ricordando a Vietti che dal ’93 quell’equilibrio non esiste più e a pagarne le conseguenze è l’Italia. Da diciassette anni. Il sigillo alla querelle lo mette il garante della privacy: non spetta a noi sindacare sull’attività dei pm.