Le tracce sugli Occhionero non portano in Russia
12 Gennaio 2017
Spiavano i potenti gli Occhionero, fratello e sorella arrestati nel caso di cyber-spionaggio “Eye-Pyramid”, che adesso negano ogni accusa. Politici, banchieri, uomini di fede. E non è un cetto la qualunque il dottor Giulio, ingegnere, una vita tra Roma e Londra, immaginiamo relazioni importanti, cerchie più o meno ristrette; insomma un nome presentabile nella buona società, non qualche sperduto hacker nerdoso chiuso nel suo garage. Se gli Occhionero non erano due sprovveduti, visto che, secondo le accuse, la storia dei virus e dei “malware” andava avanti da anni, allora non ci si può neppure accontentare del grande complotto massonico che subito ha riempito giornali, Internet e i social network, come spiegazione privilegiata e la quintessenza della verità sul caso, essendo il dottor Giulio, tra le altre cose, collegato al Grande Oriente.
Tanto che ieri qualcuno si è spinto a ipotizzare trame oscure, segreti d’Italia irrisolti, piste mafiose o criminali. Ma siccome le indagini sono solo all’inizio, e servirà tempo per decrittare il “forziere” informatico dei presunti spioni, una considerazione non estemporanea vogliamo farla. Da mesi ormai va avanti la letteratura sugli hacker russi, e i servizi del Cremlino di qua, e la sventurata Hillary di là, non c’è stato giorno nelle ultime settimane in cui il presidente uscente Obama abbia cercato di mettere i bastoni tra le ruote a quello entrante Trump, facendo passare il Cremlino per la centrale internazionale della cyber-war, una minaccia senza precedenti.
Non c’è dubbio che Russia e Cina facciano i loro giochi e che con gli hacker in futuro dovremo farci i conti, come con Assange e WikiLeaks, ma per adesso, se stiamo al caso italiano, le tracce che gli Occhionero si sono lasciati dietro non portano a Mosca, a Pechino, o nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, bensì nei cari vecchi Stati Uniti d’America. Negli Usa di Obama che spiava, per sua stessa ammissione, persino nel telefonino della cancelliera Merkel. E’ lì, sui server americani, che poggia una parte del “tesoretto” di informazioni che gli Occhionero avrebbero raccolto. Ieri l’ingegner Giulio si è rifiutato di dare agli inquirenti le chiavi della cassaforte di famiglia, accampando ragioni di privacy (“Non vi darò le password di accesso al server Usa, voglio rispettare la mia privacy, la soluzione dovete trovarla voi”, avrebbe detto Occhionero ai pm).
Ecco, che c’è nei server americani? Visto che Roberto Saviano ha tirato in ballo Renzi, dicendo che forse l’ex premier sapeva delle indagini in corso e che per questo potrebbe aver deciso di mettere il fidato Carrai alla cyersicurezza (ma poi non l’ha fatto); visto che il sempre informato Bisignani, chiamato anche lui in causa da più parti, ha ventilato non meglio specificati “apparati internazionali ben attrezzati” forse collegati agli Assange de noantri; e visto che questi ultimi potrebbero aver messo in piedi la riffa per conto terzi, speriamo che il presidente Obama, nei preziosi giorni di tempo che gli rimangono, dia una mano al governo clone del suo caro amico Renzi. Le autorità Usa aiuteranno le nostre a fare chiarezza sui server americani, o sono troppo impegnate a inseguire gli ineffabili hacker russi per dirci qualcosa sugli Occhionero?