Le tre critiche alla nuova destra
10 Febbraio 2011
Cosa non convince delle recenti posizioni di Gianfranco Fini? L’eccesso di tatticismo, la personalizzazione del suo scontro con Silvio Berlusconi e la sua apparente rinuncia al progetto, sul quale s’era impegnato negli ultimi tre anni, teso a costruire un centrodestra alternativo a quello leghista-berlusconiano. Proviamo a ragionare su queste diverse questioni, che in realtà sono tra di loro strettamente intrecciate. La cosa peggiore che possa capitare ad un leader politico è dare l’impressione di non avere un’idea direttiva, una stella polare che orienta il suo cammino, insomma una visione strategica e di lungo periodo. Fini è stato a lungo accusato di essere un politico a suo agio soprattutto con le meccaniche del Palazzo.
È stato accusato di muoversi in funzione delle contingenze e delle convenienze. E questo è sempre stato considerato il suo più grande limite.
Da quando ha assunto la funzione di Presidente della Camera ha però inaugurato un nuovo corso – politico e personale. S’è buttato con coraggio e determinazione in una battaglia politico-intellettuale d’innovazione. Entro un quadro asfittico e tutto orientato al giorno per giorno, dominato dalle risse e dalle polemiche, ha scelto di ragionare sui grandi temi che oggi decidono la vita di una nazione: l’immigrazione, la bioetica, le regole della democrazia, l’etica pubblica, la legalità, la coesione sociale, lo sviluppo economico, il futuro dei giovani, l’innovazione tecnologica.
Su queste basi s’è costruito un’immagine pubblica, se non da statista, da politico che guarda al futuro, che non si limita a scrutare l’orizzonte, ma cerca di battere nuove strade. Pur venendo da una militanza politica storicamente nel segno della marginalità e dell’irrilevanza, ha dimostrato di saper interloquire con ogni settore della società, di essere un interlocutore politico credibile e affidabile anche per chi non condivideva le sue pregresse posizioni. Ha suscitato interesse e attenzioni crescenti in molti ambienti. Ha suscitato non poche attese e speranze.
Ciò che è accaduto negli ultimi tempi è stato però una sorta di ritorno alle origini. Le sue scelte ultime sono parse dettate da un sovrappiù di politicismo vecchia maniera. Il suo orizzonte è tornato ad essere quello politico tradizionale. Perché ciò è accaduto?
Molto ha contato la piega presa dal suo confronto con Berlusconi. Nei confronti di quest’ultimo, per mesi ha condotto una polemica senza sconti, che ha contribuito a mettere a nudo le contraddizioni del modello politico berlusconiano. Del Cavaliere ha criticato la concezione cesaristica e carismatica della democrazia, la mancanza di un autentico senso dello Stato, l’enfasi propagandistica, la propensione populistica, le inadempienze sul piano dell’azione di governo, la confusione tra interessi privati e b ene pubblico, la subordinazione alle parole d’ordine della Lega, la conduzione padronale del Pdl, gli attacchi reiterati alla magistratura, la logica da scontro frontale con gli avversari politici.
Berlusconi, colpito nel vivo da queste critiche, lo ha ripagato con l’espulsione di fatto dal Pdl e con una sequela di violenti attacchi personali, diretti e per interposta persona, culminati nella campagna di stampa sulla vicenda della casa di Montecarlo e nella richiesta di dimissioni dalla carica di Presidente della Camera. Ne è seguita, da parte di Fini, la decisione di dare vita ad un nuovo partito e di proporsi agli occhi degli italiani, in coerenza con le posizioni maturate negli ultimi due-tre anni, come l’alfiere di una destra nuova, diversa per stile e contenuti da quella berlusconiana.
Ma da politica e culturale la contesa, ad un certo punto, ha assunto una valenza personalistica Agli insulti e alle accuse del mondo berlusconiano, su tutte quella di “tradimento”, quello finiano ha preso a rispondere con lo stesso stile e spesso con le stesse argomentazioni, facendo venire meno la differenza tra le rispettive proposte politiche. Fini stesso ha dato l’impressione in più occasioni di voler chiudere con il Cavaliere una partita privata, a qualunque prezzo e con ogni mezzo. Alcuni dei suoi uomini hanno preso ad assecondare gli stereotipi dell’ antiberlusconismo più becero. S’è così prodotta una drammatizzazione che politicamente non ha prodotto nulla e che, soprattutto, ha fatto perdere strada facendo le ragioni autentiche che avevano portato alla separazione tra i due leader.
Ragioni riassumibili, come detto, nel progetto finiano teso alla nascita – nella prospettiva comunque ineluttabile del dopo-Berlusconi – di un nuovo e diverso centrodestra, più consentaneo con l’esperienza degli altri Paesi europei. Era questa la sua scelta strategica: una scommessa certamente impegnativa, ma proprio per questo da coltivare guardando al lungo periodo e non all’immediato. Una scelta necessaria per salvaguardare l’impianto bipolare della democrazia italiana e, al tempo stesso, per evitare la frantumazione e la dispersione del blocco sociale ed elettorale che in questi anni si è aggregato intorno alla leadership eccentrica e irripetibile di Berlusconi.
Ma quest’idea strategica -l’unica peraltro credibile considerata la storia personale di Fini e il suo storico elettorato di riferimento – ha finito per essere sacrificata, almeno all’apparenza, alla battaglia personale contro il Cavaliere e alla deriva tatticista che l’ha accompagnata. Da qui gli ondeggiamenti degli ultimi tempi: dapprima la scelta (in larga parte necessitata) di dare vita ad un Terzo Polo, subito dopo la disponibilità a dare vita ad una “grande alleanza” con la sinistra in funzione antiberluscomana. Ondeggiamenti che hanno confuso i seguaci della prima ora, indispettito in molti casi l’elettorato, creato sconcerto tra gli stessi osservatori e determinato la mancanza di tensione e la confusione programmatica che sembrano caratterizzare l’appuntamento del prossimo fine settimana, quando a Milano vedrà ufficialmente la luce Futuro e Libertà.
Appuntamento che a questo punto diventa decisivo per il futuro politico di Fini e della sua creatura politica. In quella sede dovrà infatti chiarire, una volta per tutte, se hanno ragione i suoi critici, quando lo definiscono un tattico pronto a cambiare idea ad ogni occasione; se la sua sferzante critica al berlusconismo nasconde solo uno spirito di vendetta personale o è animata da più serie ragioni politiche; se, infine, vuole accreditarsi come il leader potenziale del futuro centrodestra italiano o se ha deciso, cosa peraltro legittima se questa è la sua decisione, di dare vita all’ennesimo ircocervo politico.
(Tratto da Il Mattino)