Le tre mosse del Cav. per chiudere l’intesa con Fini e i dossier del governo

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Le tre mosse del Cav. per chiudere l’intesa con Fini e i dossier del governo

22 Giugno 2010

Che l’asticella della tolleranza in nome del quieto vivere  si fosse abbassata lo si era capito da domenica, quando il Cav. aveva mandato un messaggio chiaro: basta divisioni, c’è da governare e occorre procedere uniti. Settantadue ore dopo, quelle parole sono la linea che Silvio Berlusconi ha dettato ai suoi nel vertice a Palazzo Grazioli. Strategia in tre mosse: chiudere l’accordo politico con Fini e ricreare nel partito il "modello Senato", apertura ad alcune modifiche ma solo quelle necessarie su intercettazioni e manovra, sondare le intenzioni del Quirinale una volta ricompattata la maggioranza.

Come a dire: ora basta, perché impantanarsi in una mediazione infinita sarebbe come certificare la paralisi del centrodestra. Un doppio messaggio, spiegano nel Pdl, nel primo caso rivolto a Fini per sollecitarlo a smettere con le provocazioni e i distinguo quotidiani,  nel secondo diretto al Colle, quasi una sorta di risposta indiretta all’auspicio di Napolitano sul fatto che la maggioranza dovrebbe dare unica priorità alla manovra economica posticipando l’iter parlamentare alla Camera sul dossier intercettazioni. Un modo per dimostrare che Berlusconi non intende più farsi condizionare nè da Fini, nè dal Colle.

Di qui l’accelerazione e la nuova road map: entro agosto manovra, intercettazioni e riforma dell’università (quest’ultima con almeno un passaggio in uno dei due rami del Parlamento).

L’accordo con Fini. Il premier vuole chiuderlo sul piano politico e, se possibile, anche su quello formale. E’ una sorta di passaggio obbligato per porre fine alle fibrillazioni interne alle quali non vuole più che la maggioranza sia  esposta ogni giorno, ma – è il ragionamento di fondo – senza concessioni a scatola chiusa o a senso unico (quello dei finiani). Se sulle intercettazioni il Pdl ha già dichiarato la disponibilità ad alcuni ritocchi senza tuttavia rimettere in discussione l’impianto complessivo del testo come pure sulla manovra ma a parità di saldi, la tregua coi finiani riguarda anche altri capitoli, più interni e correlati alla vita del partito.

Sul piatto, spiegano da via dell’Umiltà, c’è la questione del congresso nel 2012 e l’avvio nel frattempo di quelli per i coordinamenti comunali. Tema caro ai finiani e recepito dal partito, ma anche qui senza cedere troppo terreno alle rivendicazioni. Il Cav. ha dato mandato ai tre triumviri (Bondi, La Russa e Verdini) di portare avanti con una certa sollecitudine i negoziati con l’inquilino di Montecitorio per arrivare a un armistizio.

Passa da qui il riconoscimento se non formale, almeno politico, della componente di minoranza. Ma niente di più, perché la logica correntizia – ha ripetuto il premier  ai suoi – non ha diritto di cittadinanza in un partito nato ripudiandola come da statuto. Semmai, il tentativo, anche per evitare tentazioni sulla falsa riga dei finiani anche tra gli ex forzisti, è  riportare o ricreare nel Pdl il "modello Senato", impostato su una forte coesione pur nella vivacità della dialettica interna. Della serie: si discute, tutti hanno diritto di esprimere il proprio pensiero, di portare il proprio contributo, ma poi si decide arrivando a una sintesi alla quale tutti si devono attenere.

Insomma, non gruppi o gruppuscoli, bensì un’unica area composta da forzisti e aennini legittimisti dove confrontarsi e fare sintesi quando è il momento di passare dalle parole al voto e dunque alla linea da seguire. La cifra di un accordo di lungo periodo con il presidente della Camera è anche questa.

Anche se ieri non sono mancate le schermaglie tra i due co-fondatori del Pdl: Berlusconi nell’intervista al settimanale  Oggi dice che "per fare la pace prima ci deve essere una guerra e io non sono mai stato in guerra con nessuno”, poi la stoccata "in un grande partito si vota”, decidendo democraticamente a maggioranza. E dal momento che Fini ”non ha mai contestato questa regola” se la si rispetta ”senza strappi, senza inutili provocazioni quotidiane e senza uno stillicidio di polemiche continue, allora potremo portare a compimento” il progetto del Pdl. Parole che innescano la replica stizzita che la terza carica dello Stato affida al colloquio coi suoi più stretti collaboratori e che suona più o meno così: Berlusconi finge di non capire che non sono questioni personali, ma questioni politiche e che ogni giorno di più sono sotto gli occhi di tutti. Il clima resta teso tra i due, ma dietro le quinte si  continua a lavorare a un patto di non belligeranza.

Certo è che la temperatura ieri è salita anche nella maggioranza per il botta e riposta, durissimo, che da due giorni rimbalza sulle pagine dei giornali tra Fini e Bossi. Un nuovo fronte di polemica che stando alla lettura dei berluscones sarebbe stato aperto dai finiani che mal digeriscono l’asse di ferro con il Senatur. Diametralmente opposta la lettura degli uomini del presidente della Camera che, invece, imputano alla Lega di non aver mai abbandonato la logica secessionista.  Da parte sua Bossi,  non vuole che il braccio di ferro dentro il Pdl possa rallentare il cammino del federalismo e per questo alza i toni e manda messaggi agli alleati. 

Manovra economica. La parola d’ordine è "vagliare, selezionare". Una sorta di screening degli emendamenti già depositati che vede impegnati in prima linea i vertici del gruppo, Gasparri e Quagliariello in collaborazione con il ministro Tremonti e finalizzato a verificare dove è possibile aprire spazi a eventuali ritocchi, senza toccare il saldo finale dell’impianto. Un modo anche per evitare che l’esame degli oltre duemila emendamenti possa trasformarsi in un percorso a ostacoli durante l’iter parlamentare a Palazzo Madama.

Il primo risultato è il ritiro delle proposte sui nuovi condoni. Tra i temi in primo piano c’è quello del taglio ai finanziamenti per le Regioni, che oggi tornano a incontrare il titolare del Tesoro e i suoi colleghi Calderoli e Fitto. Anche perché la soluzione di premiare gli enti virtuosi, che non dispiacerebbe a Tremonti e che la Lega ha già tradotto in emendamenti, non convince tutti. Oggi, poi, scendono in piazza i sindaci che si sono dati appuntamento a Roma dove manifesteranno con le fasce tricolori listate a lutto.

Insomma il momento è delicato, ma il Cav. questa volta sembra deciso a giocare la partita fino in fondo. Ma a dettare le regole, assicurano i suoi, non saranno gli altri.