Le troppe domande ancora senza una risposta

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Le troppe domande ancora senza una risposta

Le troppe domande ancora senza una risposta

16 Maggio 2008

 

Oggi la bioetica sta acquistando uno spazio sempre maggiore nella discussione pubblica. Questioni per alcuni aspetti marginali della vita dei cittadini costituiscono alla lunga elementi decisivi per definire quale società intendiamo costruire per il futuro delle nuove generazioni. Ad alcuni possono sembrare questioni di lana caprina, ma stabilire qual è il numero massimo di embrioni da impiantare ad una donna che si sottopone all’inseminazione artificiale nasconde una riflessione molto più generale sulla vita, perché ci obbliga a riflettere e a decidere qual è il momento in cui essa si definisce, quale importanza siamo in grado di dare alla dimensione umana. Nei prossimi mesi avremo a che fare, come mai accaduto prima d’ora, con questioni bioetiche, che sempre più diventano biopolitiche perché interessano la sfera pubblica e non più solo quella individuale: riparleremo in maniera ancor più chiara e approfondita di quanto sia stato fatto finora di aborto, testamento biologico, eutanasia, ma anche si rianimazione neonatale, cellule staminali, embrioni, eugenetica.

 

Perché nel nostro paese questi temi si propongono prepotentemente sulla scena solo di recente è chiaro. Per la dimensione di forza che ha acquistato la scienza, e coloro che hanno fatto della scienza una nuova religione; per la risposta che ne ha dato la Chiesa, nella volontà di difendere e rispettare una certa concezione di vita umana dalla nascita alla morte; e forse anche perché accade in altri paesi, nel convincimento tutto italiano che si tratti di un modello a cui approdare al termine di un processo per molti aspetti irreversibile. Ma è davvero così? Siamo davvero di fronte ad un bivio costituito da una parte dalla via del progresso e della ricerca scientifica senza limiti e dall’altra dalle barricate a tutti i costi erette per impedire la deriva scientista?

 

Forse no. Forse esiste una terza via, dichiaratamente liberale e conservatrice, in nome della quale non si può fare della ragione e del progresso la propria fede, ma neanche del messaggio cristiano un dogma. Secondo questa via, che è fatta di compromessi tra le due visioni del mondo, è possibile che alla scienza vengano posti dei limiti compatibili con la sua sana evoluzione e alla religione si chieda di capire le ragioni della modernità.

 

Per questo, vorremmo aprire sull’Occidentale un dibattito  che su varie questioni della biopolitica diano risposte di compromesso, magari, ma chiare. Che non rischino di cadere nella trappola relativista ma neanche in quella dogmatica e che costituiscano uno spunto per coloro che saranno chiamati a fare delle scelte politiche su questi temi.

 

Cominciamo con  la prima questione su cui tra breve si discuterà: la donazione del sangue del cordone ombelicale. La sorte del sangue cordonale magari animerà la scena di un piccolo pubblico interessato a questi temi ma siamo sicuri che la definizione chiara della destinazione del sangue del cordone potrebbe avere ripercussioni più ampie. È bastato discuterne nel nostro piccolo per rendercene conto, per capire che tra persone anche molto affini nel modo di pensare e agire le idee erano poche e confuse.

Lo spunto è derivato da un’ordinanza – ultimi strascichi della passata legislatura – dell’ex ministro Turco che prevede la conservazione autologa del cordone ombelicale. In poche parole, chi decide di donare il sangue del cordone ombelicale del proprio bambino, che come si sa è ricco di cellule staminali, può conservarne una parte per sé e per le proprie ipotetiche necessità future anche in biobanche private (attualmente non consentite nel nostro paese). Letto così nessuno avrebbe nulla da ridire, se non fosse che dietro alla conservazione autologa si nasconde tutta un’altra serie di questioni. Chi si incarica di prelevarlo? Che possibilità ci sono che le staminali raccolte e conservate siano effettivamente utili in futuro al donatore? Chi deve preoccuparsi di conservare il sangue cordonale? Sono sufficienti delle banche pubbliche di raccolta o, come ha stabilito la Turco, sono necessarie anche banche private? E in questo secondo caso chi ci difende dal rischio di creare un contesto affaristico attorno alla donazione del sangue, magari anche aprendo la strada alla raccolta di staminali embrionali? Partiamo da qui, da queste questioni aperte, nella speranza di poterne chiudere ad un certo punto qualcuna.