Le virtù politiche necessarie allo sviluppo locale
08 Agosto 2007
Le èlites politiche locali si
trovano oggi ad operare in un contesto istituzionale profondamente mutato
rispetto al passato. Se questo è vero in termini assoluti, è vero anche che
spesso capita di incontrare amministratori locali, dirigenti e funzionari
comunali, che danno l’impressione che nulla sia cambiato, o quasi; per i quali,
quelle logiche burocratico-politiche che animavano uno scenario istituzionale
completamente diverso, continuano ad essere valide ed attuali anche oggi.
È mutato il disegno complessivo
dell’amministrazione italiana. Si è passati da un modello di government,
in cui prevaleva una logica di coordinamento ed integrazione di tipo top-down,
basata sull’imposizione di norme e su forti relazioni gerarchiche, ad
uno di governance<%2Fem> in cui, al contrario, risulta essenziale la capacità
di creare consenso, condivisione e convergenza di interesse sulle soluzioni
proposte.
Lo sviluppo economico di un
territorio, in un contesto di governance, tende sempre più ad essere il
risultato di una programmazione economica efficiente, tempestiva e coerente con
le esigenze dell’area geografica di rifermento, capace di conseguire gli
obiettivi strategico-politici assegnati attraverso un efficace coordinamento
dei diversi interventi pubblici.
I principali indicatori economici
del 2006 mostrano segnali di crescita incoraggianti per il nostro Paese e, per
il 2007, ci si attende un risultato altrettanto positivo grazie all’aumento
delle esportazioni e degli investimenti. È innegabile che tale risultato lo si
deve in gran parte alle imprese. Gli imprenditori sono tornati a credere nel
futuro, ad investire e a rischiare, ad innovare i propri prodotti, a ricercare
nuove strategie commerciali, in altri termini, a competere.
Se il mondo delle piccole e medie
imprese è tornato ad essere dinamico e creativo, riacquistando fiducia in se
stesso ed affrontando con nuovo spirito la competizione globale, lo stesso non
può dirsi della politica e delle istituzioni.
Pur essendo un fenomeno largamente
generalizzato, specie in alcune aree meridionali del Paese, gli enti locali
peccano di eccessivo immobilismo, scarsa creatività e ancor più scarsa
propensione al rischio, laddove per rischio deve intendersi la capacità degli
amministratori locali di esporre i propri programmi e di operare per la loro
realizzazione sottoponendone i risultati ai cittadini.
Gli enti locali, ed in particolar
modo i comuni, a differenza che in passato rivestono oggi un ruolo centrale
rispetto alle problematiche di sviluppo. Essi dispongono delle leve
fondamentali per la crescita economica e sociale di un sistema locale, hanno la
possibilità di prendere le decisioni che riguardano il territorio e il suo
utilizzo, ridefinendo le problematiche di sviluppo in funzione delle istanze
sociali e costruendo il consenso necessario intorno ai processi di
pianificazione, trasformazione e gestione delle aree che li riguardano.
La valorizzazione del territorio e
la ricerca del suo corretto sviluppo rappresentano quindi temi centrali sui cui la politica locale è
chiamata ad interrogarsi e su cui dovrebbe focalizzare la propria azione. Per
attivare il circolo virtuoso dello sviluppo economico di un territorio, gli
enti locali dovrebbero assumere il ruolo di snodo centrale per la raccolta
delle istanze sociali e per la programmazione e di soggetto trainante nei
rapporti con le imprese, le banche e gli attori istituzionali.
Pertanto, il compito delle èlites
politiche locali è quello di operare affinché gli enti locali divengano sempre
più “forti” e “autorevoli”, capaci di fare le scelte che gli competono
nell’interesse pubblico, valorizzando l’autogoverno e la concertazione, ed
interfacciandosi costruttivamente con gli altri attori dello sviluppo locale.
Ridisegnare il ruolo e le funzioni
degli enti locali in termini di soggetti regolatori del sistema economico
locale e, nel contempo, perseguire politiche di programmazione capaci di creare
sviluppo, in un quadro politico-istituzionale frammentato e asettico come il
nostro, non è privo di difficoltà e di costi di natura politica. Tali
politiche, infatti, passano per il definitivo abbandono di quella cultura
provinciale ed interventista che anima ancora gran parte delle classi dirigenti
locali; per l’adozione di metodi moderni di analisi delle priorità di sviluppo;
per una diffusa rappresentanza e partecipazione; per la promozione del merito e
della competenza; e soprattutto, per l’effettiva volontà politica di definire
in un tavolo comune le strategie di
sviluppo locale rimettendo ad esso poteri e prerogative di governo.
Si tratta di condizioni necessarie
e non negoziabili per assicurare la crescita e lo sviluppo economico dei
territori. Sono condizioni che richiedono un’èlites politica illuminata,
responsabile e capace di guardare al futuro e di innovare anche rischiando in
prima persona. È evidente però, che solo una classe dirigente in grado da un
lato, di porre al centro dei sistemi locali la concorrenza e la ricerca dell’efficienza
attraverso la competizione e, dall’altro, di assegnare alle istituzioni locali
il ruolo di arbitro, di garante, di regista del sistema e di stimolo alla
concorrenza, sarà in grado di offrire ai territori condizioni durevoli di
sviluppo e, ai cittadini-elettori, quel benessere spesso soltanto annunciato
nei programmi elettorali di destra e di sinistra.