L’Ecofin rinvia gli aiuti alla Grecia in attesa di un altro piano da 90 mld.
20 Giugno 2011
I tentativi di salvataggio della Grecia dal rischio default (e collasso) di queste ore sono di fatto uno stress test della governance economica europea. Dopo la presa di tempo da parte dell’Ecofin europeo di ieri nella corresponsione delle quinta tranche del prestito ponte del 2010, l’apertura delle borse europee ha fatto segnare un forte calo: Milano perde il 2,2%, Parigi ha aperto con un -1,4% mentre Londra ha lanciato le transazioni segnando un – 0,8%. La gestione del debito ellenico continua insomma a far tribolare i mercati e mettere nell’angolo tutti quei paesi che in Europa sono chiamati a correre in suo aiuto, Germania in testa, oltre a quelli che potrebbero essere i prossimi sulla lista.
Di fatto si tratta di un braccio di ferro politico tra cancellerie europee – colte nel timore che il collasso greco possa ingenerare un effetto domino su tutti quegli stati che si trovano in difficoltà non troppo dissimili da quelle greche. L’Europa chiede ad Atene di tenere fede agli impegni assunti lo scorso anno al margine dell’ok al piano di salvataggio FMI-UE, a cui il governo greco di Papandreou sembra incapace in questi giorni di tener fede a causa della forte instabilità politica interna al paese.
Il rischio default – ovvero la dichiarazione di insolvenza sui titoli di debito pubblico da parte del governo di Atene – è considerato ancora il male peggiore in Europa (e dentro il G7), il pericolo da scongiurare. Come noto le banche tedesche e francesi sono molto esposte sul debito greco (la cifra comunemente accettata è di circa 90 miliardi di euro). Una cifra, si badi bene, non dissimile dall’ammontare del prestito ponte da 110 miliardi di euro garantito dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Unione Europea lo scorso anno.
La querelle nata attorno alla corresponsione della quinta tranche da 12 miliardi di euro, nasce anche dalla consapevolezza che corrispondere degli aiuti al governo greco, senza che esso si impegni fino in fondo al risanamento delle sue finanze, al piano di privatizzazioni e a tutte le altre condizioni previste dal piano FMI-UE, non avrebbe molto senso. Se il default sembra il rischio peggiore da scongiurare, dunque, nessuno in Europa se la sente di escludere la possibilità che si finisca proprio su quella china.
Un prestito ponte che non sembra peraltro neanche più sufficiente. In queste ore si discute, infatti, in sede europea di un ulteriore prestito compreso tra i 90 mld. e i 120 mld. di euro. Di questa mattina le dichiarazione del ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, riferite da Bloomberg in merito al secondo piano di salvataggio greco. Il titolare delle finanze tedesco ha dichiarato la sua convinzione sul fatto che sia “necessario parlare con le istituzioni (bancarie) coinvolte”, ovvero quegli istituti bancari europei detentori di bond greci. “Tale intervento”, ha continuato Schaeuble, “deve essere volontario perché altrimenti ci sarebbero conseguenze, e dall’altra deve dare risultati”.
Nel frattempo Lorenzo Bini Smaghi, l’attuale membro del board della BCE, ha affermato che un eventuale default della Grecia “rischierebbe di avere gli stessi effetti sul sistema finanziario globale simili a quelli che ebbe il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers sul sistema economico internazionale nel 2008”.
Qualora la Grecia non dovesse farcela comunque ovvero i piani di salvataggio pro – Atene non dovessero funzionare e venisse annunciato ai mercati l’insolvenza dei titoli di stato greci, secondo quanto riportato oggi da Luigi Offeddu sul Corriere della Sera, a livello europeo si pensa già a qualche forma di cordone finanziario – sanitario sulla Grecia per evitare il contagio al resto dell’Europa. Quello che si chiama un contingency plan. Per il bene dell’Europa, speriamo resti nel cassetto.