L’economia romana cresce. Nonostante Veltroni

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L’economia romana cresce. Nonostante Veltroni

L’economia romana cresce. Nonostante Veltroni

20 Luglio 2007

Si può dire che tutto nasca da qui, dalla scoperta di questo asset mediatico. Da quando Walter Veltroni si è reso conto che Roma cresce più dell’Italia non fa altro che ripetere: Modello Roma! Modello Roma! Le statistiche sembrano dargli ragione: la Capitale cresce più velocemente del resto del Paese. Ma in realtà su questo dato, oggettivamente valido, si possono svolgere una serie di considerazioni, fatte le quali si può concludere che Roma non può essere affatto un modello esportabile a livello nazionale, soprattutto nello sviluppo economico. L’attuale buona salute dell’economia romana ha radici più lontane e, come abbiamo avuto modo di dimostrare in molti altri campi, è frutto di investimenti e riforme avvenute negli anni Novanta. Ma il successo di questi anni, se non supportato da interventi strutturali, potrebbe trasformarsi in una brusca frenata, della quale pagherà le conseguenze il successore di Veltroni. Cerchiamo di capire perché.

Ciò che Veltroni non ama dire, non volendo stabilire un confronto con il suo predecessore Francesco Rutelli, è che Roma già cresceva di più dell’Italia da diversi anni. Nel quinquennio 1996-2001 Roma il valore aggiunto è cresciuto a Roma del 10,3% contro un 8,5% a livello nazionale.

Andamento del valore aggiunto a prezzi correnti a Roma. Valori in milioni di euro

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Fonte: Prometeia

Tutto ciò avveniva in un momento di congiuntura economica molto favorevole. E’ stato un periodo di crescita eccezionale per tutto il mondo occidentale, durante il quale tutti i governi europei hanno proceduto a ristrutturare le loro economie, mentre i governi del centrosinistra non hanno saputo fare altrettanto in Italia. In quella fase Roma ha subito significativi cambiamenti. Nel 1991 i dipendenti delle pubbliche amministrazioni a Roma erano 191mila oggi sono cinquantamila di meno. La contrazione è avvenuta soprattutto nel decennio 91-01. Ciò ha esposto l’economia romana a un rischio, ma ha avviato una mobilità occupazionale della quale il sistema produttivo si è giovato, soprattutto nel quinquennio successivo, quello veltroniano. Ma fatichiamo a capire quali possano essere i meriti del Sindaco. Tra il 1995 e il 2001 sono nate a Roma ben 61.000 nuove imprese, per un totale di 400.005, con una crescita soprattutto delle società di capitale e di persone come la tabella dimostra.

Composizione delle imprese attive per forma giuridica

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Fonte: Infocamere

Dal 2002 questa tendenza positiva si è interrotta e solo nel 2005, si è quasi tornati al livello raggiunto nel 2001, con 398.744 imprese. Inoltre il rapporto tra ditte individuali e società di capitale e di persone è rimasto sostanzialmente invariato, prova del fatto che dopo essersi irrobustito il sistema produttivo si è stabilizzato, mettendo a frutto il cambiamento avvenuto negli anni precedenti.

Lo “sfoltimento” degli occupati nella pubblica amministrazione, avvenuto come già detto negli anni Novanta, ha reso l’area romana più aperta a fattori di rischio che hanno prodotto risultati evidenti nella capacità di impresa, sviluppando attività economiche che hanno prodotto ricchezza. Il settore che ha avuto maggiori margini di crescita è stato quello dei servizi del terziario avanzato, settore nel quale Roma è da vari lustri più avanti del resto del Paese. Tra il 1991 e 2001 il numero di imprese che operano nel terziario avanzato è cresciuto del 221,9%, passando dalle 17.580 del 1991 alle 56.584 del 2001. Quarantamila nuove imprese sulle sessantunomila nate nel decennio: il che vuol dire che su tre imprese nuove due operano nel terziario avanzato. La tendenza a un’espansione dei servizi innovativi nell’economia della città – favorita dall’esistenza in loco di una serie di fattori che illustreremo fra breve – colloca la Capitale in una situazione di vantaggio competitivo rispetto ad altre realtà territoriali italiane.

Secondo uno studio della Fita-Confindustria (Federazione italiana terziario avanzato), la performance di Roma è spiegata dall’alta concentrazione di centri di ricerca, congiuntamente alla forte presenza dell’industria di sistemi elettronici, del software e dei grandi gruppi di telefonia, ma anche dai processi di riorganizzazione e di outsourcing della Pubblica amministrazione. La presenza di un importante polo universitario e di un’offerta formativa diversificata e accreditata, ha favorito inoltre la diffusione di elevati livelli di formazione e un’offerta di lavoro molto qualificata. Anche il peso relativo del terziario avanzato sulla totalità delle imprese si è incrementato: nel 1991 le imprese del settore pesavano per il 13,3% mentre nel 2001 quasi il doppio (26%); nel 1991 era impiegato nel terziario avanzato il 10,9% degli occupati romani, dieci anni dopo il 18,4%.

Tutto ciò, mostra con chiarezza lo spiccato dinamismo del terziario avanzato nell’ambito della struttura produttiva romana e la sua maggior capacità di generare occupazione. Tuttavia come tutto questo possa essere merito di Veltroni e del presunto “Modello Roma” ci pare difficile capirlo. Semmai, l’unico elemento di criticità nell’attività delle imprese del terziario avanzato – espresso dagli imprenditori del settore nelle risposte ai questionari distribuiti durante lo studio compiuto dalla Fita – è la scarsa dotazione del sistema infrastrutturale e dei servizi (vie di accesso, sistema di trasporto, sicurezza, igiene urbana, ecc): la quasi totalità delle imprese giudica l’organizzazione della città non adeguata alle esigenze aziendali. La mancanza di parcheggi, il traffico, il sistema dei trasporti caotico e inaffidabile sono indicati quali principali punti di debolezza del territorio nel quale le imprese operano.

Un altro settore in grande espansione, quasi non citato nelle trionfalistiche statistiche esibite dai sostenitori del “Modello Roma”, è quello edilizio. A proposito del nuovo Piano Regolatore Generale approvato l’anno scorso Veltroni parla di “svolta storica”, di “modello per l’intero Paese” (sic!… è proprio un disco incantato) e si vanta del verde pubblico previsto, non specificando però che in quella quota sono comprese marane, dirupi, e zone in totale abbandono, che vengono conteggiate come fossero i prati di Villa Borghese. Ma Veltroni si guarda bene dal citare uno dei motori principali dell’economia romama, che ha contribuito in maniera decisiva alla crescita di questi anni: l’espansione del cemento. Un mese prima che venisse approvato il Prg nel marzo dello scorso anno Legambiente Lazio lanciò l’allarme sull’esplosione della cubatura prevista. Se il Piano delle Certezze di rutelliana memoria prevedeva la soglia di 64 milioni di metri cubi nel territorio del Comune di Roma, il Piano veltroniano prevede 66.748.040 metri cubi, quasi tre milioni di metri cubi in più. Una politica totalmente dissennata e non certo a favore dell’ambiente, al quale il Sindaco candidato Segretario del Partito democratico dice di tenere tanto.

Nel 2001 a Roma c’erano 1.234.00012 abitazioni, le famiglie erano 1.034.598, con un surplus di abitazioni sulle famiglie di 199 mila; nel 2005 le abitazioni sono diventate 1.314.000, mentre le famiglie 1.065.100, con un differenziale in aumento, pari a 249 mila. Il tasso medio annuo di crescita dello stock edilizio a Roma è stato dell’1,4%, a Milano dello 0,7%, a Torino dello 0,6%, a Napoli dell’1%, a Palermo dello 0,5%. L’ulteriore beffa è che la crescita consistente delle nuove costruzioni non ha contribuito a ridurre il disagio abitativo.

Insomma cresce il numero delle case, ma aumenta anche il disagio abitativo. Un paradosso? No, perché il ciclo espansivo del mercato immobiliare non incrocia il disagio abitativo, anzi, in buona misura ne è la causa. Le spiegazioni sono di varia natura, ma una ha a che fare direttamente con la mutazione radicale intervenuta negli ultimi sei anni nel mercato immobiliare, le cui conseguenze non sono state ancora oggetto di valutazione approfondita: la finanziarizzazione del patrimonio immobiliare. Quest’evoluzione del mercato immobiliare non sarebbe di per sé negativa, se fosse governata dalla politica. Ma lasciata in balìa di figure come Coppola o Ricucci non esprime certamente un modello imprenditoriale per l’Italia.

Veltroni, al contrario di quanto sostiene nei suoi discorsi, durante i sei anni di governo capitolino, non ha assolutamente perseguito un politica di housing sociale, limitandosi a dare sponda a fenomeni come Action, l’associazione che occupa le case animata dal suo ex consulente Nunzio D’Erme, per tenersi buona la parte “antagonista” della sua maggioranza. Contemporaneamente ha dato pieno avallo alle politiche di espansione edilizia, dalle quali la città non ha certamente tratto vantaggio , casomai i signori dell’Acer, l’associazione dei costruttori romani, portatori di un modello economico superato e, oltretutto, pericoloso per i già compromessi equilibri del territorio romano. In altre realtà locali (prima fra tutte Milano dove è stato istituito il Fondo Immobiliare Etico della Fondazione Housing sociale al quale partecipano banche, istituzioni e la Telecom) si sono sperimentati nuovi strumenti di politica sulla casa e si sono poste solide basi per la soluzione del disagio abitativo. Disagio che colpisce non tanto le persone meno abbienti, comunque coinvolte nelle tradizionali politiche sociali per la casa, ma la classe di giovani altamente qualificati, naturali agenti di sviluppo per la città. Un dato emblematico di quanto Roma non sia una città che attrae questa classe sociale così preziosa è la contrazione di abitanti tra 25 e i 34 anni, diminuiti negli ultimi quindici anni del 25%, a fronte di una popolazione sostanzialmente stabile. Uno delle principali cause di questa diminuzione è l’alto costo degli affitti. Non si tratta di rinverdire l’equo canone o di porre limitazioni al libero mercato, ma di favorire e incentivare la creazione di fondi immobiliari di iniziativa privata, a vantaggio di quelle classi della società mobili, preziose per l’economia ma non abbastanza stabilizzate da potersi permettere affitti sempre più cari.

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L’insoddisfazione dei giovani e degli abitanti ad alta specializzazione intellettuale sul mercato immobiliare a Roma emerge anche da una ricerca della società Gallup Europe. Alla domanda su quale sia la città dove trovare più facilmente casa a prezzi ragionevoli, Roma risulta raccogliere un misero 2, Berlino 36, Barcellona 19, Madrid 7 e Londra, città notoriamente cara, 5.

In conclusione si può dire che la vivacità economica di Roma è riconducibile a fattori di medio periodo e non è iniziata con l’avvento di Walter Veltroni. Il sistema economico romano, inoltre, ha peculiarità tali da non poter essere in alcun modo modello per il resto del Paese. Peraltro, come è visto, le deficienze di trasporti, viabilità, traffico e igiene urbana sono oggettivi freni allo sviluppo della città e in questi campi la resposanbilità di chi è a capo della macchina ammnistrativa comunale, cioè del Sindaco, sono evidenti. L’unico settore nel quale si può dar atto al sindaco di aver contribuito allo sviluppo è il turismo. Ma come si è già scritto in una precedente puntata della nostra inchiesta, non è tutto oro quel che luce. Se all’incremento delle presenze di turisti non corrisponderà un adeguamento delle strutture, quel che oggi sembra un elemento di crescita per Roma si trasformerà nel suo contrario e i pellegrini diverranno i nuovi lanzichenecchi.