L’editoriale di Minzolini ha precedenti eccellenti
07 Ottobre 2009
di Mario Valeri
Non è certo un direttore super partes, non ama evidentemente ostentare un terzismo di facciata, non finge di essere capitato alla guida del Tg1 esclusivamente per le sue capacità professionali, peraltro generalmente riconosciute. Augusto Minzolini sabato sera ha ritenuto opportuno intervenire in prima persona per dire la sua sulla manifestazione a difesa della libertà di stampa e per criticarla senza mezzi termini.
Un editoriale scomodo, il suo. Non che mancassero i precedenti, dagli sfoghi esagitati di Gad Lerner ai sermoni pungenti, anche se conditi da un sorriso bonario, di Sandro Curzi ai tempi del suo Tg3.
Tutti i direttori che hanno preceduto Minzolini, scelti sempre dal governo in carica con il criterio dello spoils system per avere un uomo di fiducia in una posizione ritenuta strategica, avrebbero probabilmente scelto altre strade per raggiungere lo stesso risultato. Se il suo intento era quello di sminuire la portata della manifestazione, avrebbe potuto far confezionare un servizio ad hoc, magari insistendo sulle tante bandiere di partito sventolate nella piazza o circoscrivendo il numero di partecipanti in base alle sole cifre fornite dalla questura, e avrebbe potuto farlo seguire da un’intervista a un autorevole rappresentante del Pdl, pienamente titolato a esprimere gli stessi concetti senza che nessuno potesse muovere obiezioni. Clemente Mimun probabilmente avrebbe fatto così. Minzolini no: ci ha messo la faccia, come già aveva fatto mesi fa per spiegare le ragioni dello scarso spazio concesso alla vicenda Noemi.
Sapeva, Minzolini, i problemi che questo intervento avrebbe comportato. Sapeva di soffiare sul fuoco dando nuovi argomenti proprio a chi era sceso in piazza, sapeva di sfidare il suo comitato di redazione, il presidente Rai Garimberti (ex Repubblica) e il presidente della Vigilanza Zavoli (Pd).
Il fatto che non abbia rinunciato a intervenire può essere considerato un sintomo di estrema e quasi sfacciata libertà di espressione e di opinione, la stessa invocata da Michele Santoro. In ogni caso, la sua esternazione si inserisce in un momento in cui i toni tendono generalmente ad alzarsi e in cui quasi tutti i programmi di approfondimento, di inchiesta e di satira che propone il servizio pubblico continuano a essere antiberlusconiani.
Il premier, è vero, oltre agli spazi dei suoi canali Mediaset, può godere di una certa benevolenza nel salotto di Porta a Porta, ma non è certo Vespa l’avvocato difensore in grado di replicare ai processi celebrati a cadenza settimanale da Santoro ad Annozero. Se il contesto non fosse stato questo, forse Minzolini avrebbe usato maggiore prudenza.
Ma anche gli attriti con il Cdr non sono una novità assoluta: lo stesso Mimun, accusato di avere inventato la formula del “panino” per dare più spazio al governo, aveva rapporti tempestosi con i rappresentanti sindacali della sua redazione. Eppure, il tg di Minzolini, in fondo, non è poi così diverso da quello che dirigeva Riotta, non fosse altro per il fatto che il gruppo di lavoro è sempre lo stesso, fatta eccezione forse per la tendenza, un po’ come faceva Carlo Rossella con la sua passione per il gossip, a mandare in onda anche servizi di alleggerimento, ricchi di facezie e futilità.
Una discutibile abitudine, svillaneggiata peraltro ieri sera nel programma di Serena Dandini. Tanto per chiarire che, anche nelle mura della stessa azienda (pubblica), il pensiero unico ancora non c’è.