Legge anti-omofobia: la Camera dice no e il Pd processa la Binetti

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Legge anti-omofobia: la Camera dice no e il Pd processa la Binetti

13 Ottobre 2009

Il no di Montecitorio alla legge anti-omofobia sul piano politico mette in luce tre aspetti: il caso teodem che riesplode nel Pd come già accaduto al Senato; i distinguo dei parlamentari di fede finiana nel Pdl con in più le fibrillazioni per la scelta del vicepresidente Italo Bocchino che con altri otto deputati vota col Pd; la convergenza tra maggioranza e Udc. C’è anche questo – e non è poco – nella convulsa giornata alla Camera dove il testo della piddì Paola Concia e del leader Idv Antonio Di Pietro interrompe definitivamente il suo cammino, affossato dalle pregiudiziali di incostituzionalità presentate dall’Udc con la richiesta di voto segreto, poi approvate da Pdl, Lega e centristi (285 sì, 222 no tra Pd e Idv, 13 astensioni).

Strada bloccata, dunque, senza ripassare dalla commissione Giustizia per i necessari correttivi, così come avrebbe dovuto essere in base a un’intesa tra maggioranza e opposizione raggiunta nel comitato ristretto dei nove in commissione.  La maggioranza accusa la sinistra di aver violato quel patto subordinando il sì al rinvio del provvedimento in commissione alla sua tassativa ricalendarizzazione in Aula entro novembre, pretesa prima del voto sulle pregiuidiziali. Versione diametralmente opposta nelle file democrat. E in Transatlantico infuriano le polemiche. 

Caos nel Pd. La scelta di Paola Binetti unica parlamentare a votare con Pdl e Udc innesca l’ennesima mina ma a fare da detonatore sono anche le strategie precongressuali che avvelenano il clima. Franceschini e Bersani parlano di “problema grave” puntando l’indice contro la pasionaria teodem; Ignazio Marino ne approfitta per scagliarsi contro il segretario uscente al quale ricorda le precedenti defezioni nella componente cattolica più ortodossa additandone la causa ad una gestione debole e insufficiente del partito. "Problema grave": la stessa definizione usata dal leader democrat nei confronti di Dorina Bianchi, la senatrice teodem che pochi giorni fa a Palazzo Madama ha osato votare a favore dell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva (la RU486).  Un voto costato caro alla parlamentare che nel giro di poche ore ha rischiato il “licenziamento” dal partito come peraltro in un primo momento auspicavano in molti ai piani alti di Largo del Nazareno.

La stessa trafila che adesso potrebbe toccare alla cattolica di ferro Binetti, già finita nell’elenco dei sei parlamentari che hanno ricevuto una lettera di richiamo dal capogruppo Soro per aver disertato il voto finale sullo scudo fiscale.  Alla sconfitta democrat in Aula segue la riunione del gruppo dove da un lato si cerca di placare l’ira della Concia (relatrice del testo poi bocciato) che punta l’indice contro il cambio di rotta del Pd che così non ha salvato il provvedimento, garantendo l’impegno a ripresentare in tempi brevi una nuova proposta di legge; dall’altro si discute del caso Binetti. "Valuteremo" dicono laconicamente dalla presidenza del gruppo, del resto "ha parlato il segretario ed è stato piuttosto chiaro". E a tarda sera il segretario rincara la dose sentenziando che per la Binetti si “pone un serio problema di permanenza nel partito perché la posizione assunta è contraria ai principi del Pd”.

La deputata teodem non si scompone e rilancia: "Io un problema? Lo vedremo". Non ci sta a finire sul banco degli imputati e difende la sua posizione: "Quel testo era ambiguo. Io sono contraria a ogni forma di violenza, in questo caso alla violenza contro gli omosessuali. Ma la formulazione della legge lasciava aperta la strada a successive interpretazioni che mi lasciavano perplessa. Ho votato in coerenza con la posizione che ho espresso due anni fa in Senato". 

Tensioni nel Pdl. Tra i banchi della maggioranza serpeggia il malumore nei confronti di alcuni deputati finiani. Con l’opposizione votano in nove e tra questi Briguglio, Urso, Perina, Della Vedova ma soprattutto il vicecapogruppo Bocchino. Ed è su quest’ultimo voto che si concentrano le critiche, anche perchè nella dichiarazione di voto fatta a nome dell’intero gruppo, Bocchino si era espresso per il sì alle pregiudiziali di incostituzionalità, salvo poi schiacciare il tasto rosso e allinearsi alla posizione di Pd e Idv. Passi se lo fa qualche deputato ma la questione assume tutt’altro rilievo e significato se a farlo è il vicepresidente, si fa notare nei capannelli dei deputati in Transatlantico.

E non mancano sottolineature di vario segno su quanto accaduto, come quella che arriva a sospettare lo "zampino" dei piani alti di Montecitorio, altrimenti – è la tesi – non si comprende perchè Bocchino dichiari in un modo e voti in un altro considerato che l’indicazione del capogruppo Cicchitto era di votare a favore. A meno che, insistono alcuni esponenti pidiellini, il vicepresidente del gruppo contasse sul voto segreto che poi Casini, a sorpresa, ha sfilato dalla partita. C’è perfino chi ipotizza una sorta di rivincita degli ex aenne nei confronti di Bocchino promotore dell’ormai famosa lettera-appello al Cav. che ha scatenato non poche tensioni nell’ex partito di via della Scrofa. In questo senso viene letto il voto a favore delle pregiudiziali di incostituzionalità da parte di alcuni parlamentari considerati vicini al presidente della Camera.

E ancora. Sono in molti a osservare maliziosamente che alla prova dei fatti (e del voto) "l’esercito" di Fini si traduce in un manipolo di fedelissimi largamente minoritario alla Camera e nel partito. Infine c’è chi giustifica la scelta di Bocchino come la volontà di spianare la strada al ministro Carfagna che lunedì aveva chiesto il ritorno in commissione del testo Concia-Di Pietro per le opportune modifiche e che oggi evidenziando l’errore commesso dal Pd annuncia un disegno di legge che "preveda aggravanti per tutti i fattori discriminanti previsti dal Trattato di Lisbona, compresi quelli dell’età, della disabilità, dell’omosessualità e della transessualità". Del resto, poco prima in Aula lo stesso Bocchino aveva sollecitato il governo a presentare rapidamente un testo adeguato a quanto prescritto dal Trattato nel caso in cui la proposta di legge fosse saltata.

C’è poi da registrare la posizione di otto parlamentari che in mattinata avevano diffuso una nota per dire no al provvedimento che prevede di inserire nell’ordinamento una aggravante per i reati commessi per discriminazione sull’orientamento sessuale. Capofila del documento è il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e alla dichiarazione di intenti hanno aderito il vicepresidente della Camera Lupi,  Bianconi, Bertolini, Saltamartini, Vignali, Pagano e Farina, tutti concordi nel ritenere che quel testo è "pericoloso, in sè e per gli effetti che può determinare, sottolineando che c’è ancora lavoro da fare per "superare e rimuovere le discriminazioni, a condizione però che le si individui nella loro esatta realtà e consistenza, contrastando norme, come quelle della proposta Concia-Di Pietro che, con l’intenzione di combatterle, rischiano di introdurne altre e più pesanti".

Il punto che sollevano è chiaro: attribuire una specifica tutela penale all’orientamento sessuale della persona offesa dal reato – osservano i parlamentari – significa "attribuire all’orientamento omosessuale, l’unico che lamenta discriminazioni, non un valore in sè positivo ma un valore maggiormente positivo rispetto ad altri motivi discriminatori". Un esempio per capire: provocare una lesione a una persona perchè donna secondo quanto previsto dal testo (poi bocciato), verrebbe sanzionato meno gravemente del provocarla a chi manifesta un orientamento omosessuale, obiettano gli otto parlamentari per i quali questa legge appare come una "implicita premessa di altri e ben più importanti passaggi: riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, adozione di bambini da parte di coppie del medesimo sesso, ricorso alla fecondazione artificiale".

Convergenza PdlUdc. Pierferdinando Casini non esita a rimarcare che il Parlamento "non può legiferare male per seguire furori ideologici, producendo leggi confuse che non eliminano le discriminazioni, ma anzi accentuano nuove divaricazioni". Non a caso il leader centrista cita categorie di persone come quella degli anziani o delle persone non autosufficienti che "sarebbero state discriminate se avessimo approvato una legge così". Prove tecniche di intesa col Pdl? Difficile fare previsioni ma è agli atti che su certe questioni, i due partiti ragionano all’unisono. Al punto che il divorzio tra Casini e il Cav. sembra non essere mai avvenuto.