Legge elettorale e primarie: la sfida del Pdl di Alfano (anche al Cav.)
13 Novembre 2012
Da un lato l’anomalia tutta italiana di una coalizione che potrebbe vincere e quindi governare col 35 per cento dei voti. Dall’altro il dossier primarie: l’idea di un modello partecipativo aperto, made in Usa e l’armamentario di chi continua a remare contro. Il Pdl di Alfano si concentra su due temi-chiave dell’agenda politica e del futuro del centrodestra. Una sfida anche al Cav.
La riforma del sistema di voto per lungo tempo come la tela di Penelope, adesso sembra tornata in cima ai pensieri dei partiti, compreso il Pd favorito al voto dal mantenimento del Porcellum ma col macigno di una responsabilità politica da dover giustificare agli elettori se, alla fine, la legge elettorale restasse quella attuale. Con in più il fatto di non poter rischiare che la corda dell’accordo si spezzi sul ‘premietto’ al primo partito. Dunque il tentativo di isolare il Pd che Bersani&C. vanno ripetendo da quando in commissione al Senato Pdl, Udc e Lega hanno votato il testo di riforma, potrebbe rivelarsi un boomerang per Largo del Nazareno che, oltretutto, nel pieno della campagna per le primarie del centrosinistra non può permettersi passi falsi. Alfano, impegnato nella fase rinnovamento di un partito in crisi sa che questo passaggio è strategico e ben si lega all’altra operazione che pur tra mille resistenze – palesi e sotterranee – sta portando avanti insieme al gruppo dirigente, giocando la partita alla luce del sole: le primarie.
“I sondaggi ci danno una coalizione proiettata a vincere con il 35 per cento, che si candida a governare il Paese. Nelle cinque elezioni precedenti, il vincitore ha sempre avuto cifre vicino al 50 per cento. Questa è una situazione anomala, aggravata dall’anomalia che il corpo elettorale di questa coalizione è sbilanciato a sinistra”, dice il segretario. Sulla stessa linea Casini con un messaggio è per Bersani: “Nessuno vuol mettere il Pd in minoranza”, anche perché “il compromesso su un premio di maggioranza del 10 per cento chiesto da Bersani può essere benissimo accettato”. Come a dire: attenzione, non vorrei che si trattasse di un argomento di comodo per i democrat dal momento che l’attuale sistema “per loro non sarebbe così negativo”. A questo punto, Bersani rischia di restare col cerino in mano se non scende dall’Aventino. Sarà la settimana decisiva, ripetono da destra, dal centro e da sinistra: la partita riprende domani a Palazzo Madama.
Primarie. La tentazione di smontare ciò che il segretario e la maggioranza del partito stanno costruendo sembra ormai la regola quotidiana e non l’eccezione. Dalle dichiarazioni di esponenti pidiellini (ultimo in ordine temporale Bondi) iper-scettici, al giochino dei sondaggi col segno meno. Come quello su quanti elettori andrebbero alle primarie – il dato è inchiodato a 250 mila -, tanto per citare il casus tirato fuori da Il Giornale, che ha scatenato il dibattito nel centrodestra. Alfano la mette giù così: non è cosa esercitarsi in improbabili raffronti col modello Pd perché le primarie Pdl sono un’altra cosa, per metodo e tempistica. “Faremo le consultazioni popolari seguendo il clichè americano con assemblee in ogni regione nell’arco di due mesi e poi una grande convention finale”, ripete per dire che il tema è un altro: “Noi dobbiamo essere più forti dei sondaggi”. Che è poi un modo per riaffermare, anzi per rivendicare il fatto di aver ottenuto il sostegno alle primarie dalla maggioranza del partito e dal Cav.
Già il Cav. Tra una puntata e l’altra in Kenya la grande incognita restano le reali intenzioni dell’ex premier che certamente non impazzisce per le primarie come ha ribadito nell’ultimo ufficio di presidenza, dove però ha dovuto prendere atto che su questo punto, il partito (forse per la prima volta) stava con Alfano e non con lui. Certamente dopo l’ok del parlamentino, per Berlusconi sarà molto più complicato pensare di tornare indietro e nelle file pidielline l’ipotesi viene scartata, ma è altrettanto vero che in queste ore di fibrillazione il ventaglio delle congetture è apertissimo: c’è chi sostiene che il Cav. potrebbe ispirare le mosse dei candidati più berlusconiani come Galan e Santanchè, o lo stesso Giampiero Samorì spuntato dal nulla e dato in quota Cav. Altri, invece, non escludono affatto uno stop alla consultazione popolare se nelle prime tre regioni al voto in dicembre (Lombardia, Lazio e Molise) si registrasse una scarsa affluenza al voto.
C’è un terzo scenario: dopo le primarie e la consacrazione del vincitore – favorito Alfano che ieri un sondaggio Swg per Agorà dava al 38 per cento tra l’elettorato di centrodestra e il 59 tra quello Pdl, seconda Mussolini col 15 per cento, terzo Tremonti con l’8 per cento -, Berlusconi potrebbe decidere di mollare il Pdl e scendere in lizza con una sua lista. Scenari, appunto e come tali molto fluidi e destinati all’altalena del minuto per minuto. La realtà, invece, è sul campo: c’è un segretario e un gruppo dirigente che scommettono su una fase nuova, l’unica possibile per non essere spazzati via dal vento dell’antipolitica. Chi gioca allo sfascio, chi rema contro dietro le quinte, privilegia i tatticismi ad un’offerta politica credibile e competitiva da costruire, dimostrando di non aver capito granchè. E Grillo ringrazia.