Leggendo “Esercizi di stile” mettiamo in gioco l’interpretazione della realtà

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Leggendo “Esercizi di stile” mettiamo in gioco l’interpretazione della realtà

27 Maggio 2012

Nel maggio del 1942, durante l’occupazione nazista della Francia, il non più giovanissimo Raymond Queneau inizia a scrivere uno dei suoi capolavori, “Esercizi di stile”, per realizzare un progetto che doveva condurre a compimento soltanto quattro anni dopo, nel 1946. Apparsi in parte dapprima in alcune riviste clandestine del tempo e poi, nel 1947, in volume presso Gallimard, i novantanove esercizi che compongono l’opera confermano tutto il valore di Queneau “scrittore” e, ancor più, un pensiero creativo che ha pochi precedenti.

Il testo è costruito in maniera a dir poco singolare: un aneddoto raccontato in novantanove registri stilistici diversi. Due personaggi hanno un breve diverbio su un autobus; un terzo, che assiste alla scena, due ore dopo, rivede uno dei due intento a conversare con un amico nei pressi della stazione ferroviaria Saint-Lazare. La banalità dell’episodio, del tutto privo di un interesse particolare e di una articolazione narrativa degna di essere riferita, viene compensata da una ricchezza di forme retoriche, che rende questi esercizi un capolavoro di stile e un esempio di impiego di figure retoriche pressoché sconosciute al lettore, con una ispirazione che molto ricorda le trenta variazioni per clavicembalo di Johann Sebastian Bach.

Come Bach, nelle variazioni Goldberg, raggiunge il vertice della sperimentazione musicale misurandosi con una straordinaria varietà di soluzioni armoniche, così Queneau, in questi novantanove modi di raccontare la realtà – modi che, utilizzando figure retoriche e diversi generi letterari, spaziano dalla metafora, all’anagramma, all’onomatopea, all’analisi logica, al racconto gotico, alla lirica giapponese –, raggiunge il vertice di una sperimentazione stilistica che attesta uno straordinario impiego delle forme del linguaggio, mantenute in un costante rapporto di sostanziale aderenza alle varie manifestazioni della realtà.

L’avventura letteraria alla quale è chiamato il lettore non è, date tali premesse, tra le più semplici: questi esercizi di stile e di scrittura, infatti, giocando con le sostituzioni lessicali, con le figure retoriche, con i vari registri espressivi, decostruiscono la realtà del racconto, non già, tuttavia, vanificando il rigore dei modi dell’espressione, ma, al contrario, restituendo al linguaggio, in una sorta di “libero gioco” regolamentato, tutto il suo, quasi infinito, potere evocativo, alla luce del fatto che la retorica come arte del discorso e unico, autentico veicolo della parola, nasce nel momento in cui quest’ultima si distacca dal proprio oggetto.

Il valore del capolavoro di Queneau non si attesta soltanto a livello tecnico-stilistico; esso, al contrario, contiene lo sforzo di individualizzare e storicizzare l’universalità attraverso la multiforme azione del linguaggio, che riesce a raccontare la realtà in un esercizio senza fine, che si perfeziona e concretizza attraverso le regole della retorica. Se è vero, come ha scritto Ortega y Gasset, che “ogni vocabolo è occasionale”, questa geniale invenzione letteraria dello scrittore francese fa luce, in una prospettiva inedita, su un altro modo di raccontare la “banalità”, in un momento della storia e della cultura europee in cui questo concetto è stato ampiamente al centro della riflessione filosofica. Con questo esperimento letterario, che merita particolare attenzione per l’originalità e la forza di rottura del messaggio che contiene, Queneau ci ricorda, attraverso il gioco delle parole, che a essere in gioco non è soltanto il modo di raccontare la realtà, ma, molto più profondamente, la nostra stessa possibilità di guardarla, di comprenderla e di interpretarla senza lasciarci sopraffare da essa.