Leggi l’intervista del presidente iraniano Ahmadinejad allo Spiegel

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Leggi l’intervista del presidente iraniano Ahmadinejad allo Spiegel

22 Aprile 2009

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad parla con il giornale tedesco Spiegel: spiega cosa si aspetta dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, perché la strategia americana in Afghanistan è sbagliata e perché l’Iran dovrebbe avere un posto nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.

SPIEGEL: Signor presidente, fino a oggi siete stato quattro volte negli Stati Uniti per prendere parte all’assemblea generale delle Nazioni unite. Qual è la vostra impressione dell’America e degli americani?

Ahmadinejad: In nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole, sono lieto di essere in grado di darle ancora una volta il mio benvenuto a Teheran, dopo la lunga conversazione che abbiamo avuto circa tre mesi fa. Veniamo agli Stati Uniti. Ovviamente, uno non può arrivare a conoscere un paese come gli Stati Uniti da piccole visite, ma il discorso e la discussione tenuti alla Columbia University sono stati un’esperienza speciale per me. Sono conscio della necessità di una distinzione tra il governo americano e il popolo americano. Non riteniamo gli americani responsabili delle scelte sbagliate fatta dall’amministrazione Bush. Loro vogliono vivere in pace, come tutti noi.

SPIEGEL: Il nuovo presidente Usa, Barack Obama, si è rivolto direttamente alla nazione iraniana in un discorso pronunciato davanti alle tv tre settimane fa, durante i festeggiamenti per il nuovo anno iraniano. Ha visto quel discorso?

Ahmadinejad: Sì. Grandi cose stanno accadendo negli Stati Uniti. Credo che gli americani stiano iniziando una fase di grandi cambiamenti.

SPIEGEL: Come considera quel discorso?

Ahmadinejad: Ambivalente. Alcuni passi erano nuovi, altri ripetevano posizioni ben note. Mi sono sorpreso di tutta l’importanza attribuita da Obama alla civiltà iraniana, alla nostra storia e alla nostra cultura. E’ altresì positivo che abbia sottolineato come rispetto reciproco e relazioni franche e oneste debbano essere la base di una cooperazione. In un passaggio del suo discorso ha detto che la posizione di una nazione nel mondo non può dipendere soltanto dalle armi e dalla potenza militare, il che è esattamente quello che noi dicevamo alla precedente amministrazione Usa. Il grande errore di George W. Bush è che voleva risolvere ogni problema per via militare. Sono finiti i tempi in cui una nazione può dare ordini ad altri popoli. Oggi l’umanità ha bisogno di cultura, idee e logica.

SPIEGEL: Dunque?

Ahmadinejad: Riteniamo che Obama debba far seguire i fatti alle sue parole.

SPIEGEL: Il nuovo presidente Usa, che ha definito “disgustose” le sue aggressive critiche ad Israele, tuttavia ha parlato di un nuovo inizio delle relazioni con l’Iran. Le ha teso la mano.

Ahmadinejad: Non è proprio questo il senso in cui ho inteso quel che ha detto Obama. Faccio attenzione a quel che ha detto oggi. E’ qui che scorgo la mancanza di un elemento decisivo. Cosa le porta a parlare di un nuovo inizio? C’è stato qualche cambiamento nella politica americana? Noi plaudiamo al cambiamento, ma deve ancora esserci.

SPIEGEL: Lei continua ad avanzare richieste. Ma la verità è questa: le sue politiche, le disastrose relazioni dell’Iran con gli Stati Uniti, sono un fardello per il mondo e una minaccia alla pace. Dov’è il suo contributo per allentare la tensione?

Ahmadinejad: E’ una cosa che le ho già spiegato. Sosteniamo colloqui sulla base della correttezza e del rispetto. E’ sempre stata questa la nostra posizione. Stiamo aspettando che Obama annunci il suo piano, così potremo valutarlo.

SPIEGEL: Tutto qui?

Ahmadinejad: Dobbiamo aspettare e vedere quel che vuol fare Obama.

SPIEGEL: Il mondo la pensa in modo diverso, e anche noi. L’Iran deve agire. L’Iran, adesso, deve mostrare buona volontà.

Ahmadinejad: Dov’è questo mondo di cui parla? Cosa dovremmo fare? Lei sa bene che non siamo noi ad aver troncato le relazioni con gli Usa. Sono stati gli Usa a rompere con noi. Cosa si aspetta adesso dall’Iran?

SPIEGEL: Passi concreti, o almeno un gesto da parte vostra.

Ahmadinejad: Le ho già risposto. E’ stata Washington a rompere le relazioni.

SPIEGEL: Sta dicendo che sarebbe lieto che le relazioni Usa-Iran venissero ristabilite?

 Ahmadinejad: Lei che ne pensa? Cosa deve accadere? Quale approccio è quello giusto?

SPIEGEL: Il mondo aspetta le sue risposte, non le mie.

Ahmadinejad: Ma io ho mandato un messaggio al nuovo presidente Usa. E’ stato un grande passo, un passo enorme. Mi sono congratulato con lui per la vittoria alle elezioni, e in quella lettera ho detto alcune cose. E’ stata una cosa fatta con molta attenzione. Siamo stati e continuiamo ad essere interessati in cambi significativi. Se intendiamo risolvere il problema che esiste tra le nostre due nazioni, è importante riconoscere che l’Iran non ha giocato alcun ruolo nel creare questo problema. La causa è stata il comportamento dell’amministrazione Usa. Se il comportamento degli Stati Uniti cambia, possiamo aspettarci importanti passi avanti.

SPIEGEL: …che potrebbero portare a una riapertura delle relazioni diplomatiche, magari anche alla riapertura dell’ambasciata che venne occupata nel 1979, l’anno della rivoluzione?

Ahmadinejad: Non abbiamo ancora ricevuto una richiesta ufficiale in tal senso. Se accadrà, prenderemo posizione sul problema. Non è una questione di forma. Devono esserci cambiamenti profondi, per il beneficio di tutti. Il governo americano deve finalmente imparare dal passato.

SPIEGEL: Voi no?

Ahmadinejad: Tutti devono imparare dal passato.

SPIEGEL: Allora, per favore, ci dica quali lezioni avete imparato.

Ahmadinejad: Siamo stati tenuti sotto pressione per trent’anni, scorrettamente e senza colpa da parte nostra. Non abbiamo fatto niente…

SPIEGEL: …secondo lei. Gli americani vedono le cose in modo un po’ diverso. La crisi di 444 giorni durante la quale 50 cittadini Usa vennero tenuti in ostaggio tra la fine del 1979 e l’inizio del 1981 nell’ambasciata americana a Teheran costituisce ancora un trauma per la coscienza collettiva dell’America.

Ahmadinejad: Ma pensi a quel che è stato fatto agli iraniani! Siamo stati attaccati dall’Iraq. Otto anni di guerra. L’America e alcune nazioni europee appoggiarono quell’aggressione. Siamo stati anche attaccati con armi chimiche e la vostra nazione, assieme ad altre, aiutò e fu complice di quegli attacchi. Non abbiamo trattato nessuno con ingiustizia. Non abbiamo attaccato nessuno, né abbiamo occupato altri paesi. Non abbiamo una presenza militare in Europa o in America. Ma truppe europee e americane sono stanziate lungo i nostri confini.

SPIEGEL: I governi occidentali, Germania inclusa, sono convinti che l’Iran sostenga le organizzazioni terroristiche e che l’Iran abbia fatto uccidere dissidenti residenti all’estero. Forse tutti gli errori non sono stati commessi dalla stessa parte.

Ahmadinejad: Forse lei sottintende che la presenza di truppe straniere ai nostri confini è dovuta all’accusa secondo cui noi sosteniamo il terrorismo?

SPIEGEL: Non abbiamo mai detto o inteso una cosa del genere. Ma l’accusa di sostegno al terrorismo è stata fatta. Dov’è il vostro contributo costruttivo?

Ahmadinejad: Prima di tutto: noi non seminiamo terrore, ma ne siamo vittime. Dopo la rivoluzione, i nostri presidente e primo ministro vennero uccisi da una bomba mentre si trovavano in un palazzo accanto al mio ufficio. La nostra fede ci proibisce di impegnarci nel terrorismo. Quanto al contributo costruttivo che ci è stato chiesto di dare, negli scorsi anni abbiamo contribuito a stabilizzare sia l’Afghanistan che l’Iraq. E mentre davamo questo contributo, l’amministrazione Bush ci accusava di fare il contrario. Lei crede che i problemi si possano risolvere con la forza militare o con un’invasione? La strategia dell’America e della Nato non è stata forse sbagliata sin dall’inizio? Abbiamo sempre detto che non era quello il modo di combattere il terrorismo, che adesso è più forte che mai.

SPIEGEL: Ancora, non vediamo traccia di autocritica.

Ahmadinejad: Allora perché non mi chiede quali errori riteniamo di aver fatto? Non abbiamo alcun interesse in un bilancio di torti o ragioni.

SPIEGEL: Non sta forse insistendo perché l’America si scusi per il colpo di stato del 1953 organizzato dalla Cia contro il primo ministro Mohammed Mossadegh, entrato in carica dopo libere elezioni?

Ahmadinejad: Non vogliamo vendetta. Vogliamo semplicemente che l’America cambi il suo corso. Lei sta vedendo qualche segnale reale che questo stia accadendo?

SPIEGEL: Sì. George W. Bush aveva collocato l’Iran nell’asse del male e aveva minacciato Teheran, almeno indirettamente, di un cambio di regime. Non c’è più segno di queste cose con Obama.

Ahmadinejad: Ci sono cambiamenti nel linguaggio. Ma non è abbastanza. Negli ultimi trent’anni, la Germania e altri paesi europei sono stati sotto pressione da parte americana affinché non sviluppassero le loro relazioni con Teheran. E’ ciò che ci hanno raccontato tutti gli uomini di Stato europei.

 

Parte 2: “Tutto il mondo si beve quel che gli propina il governo Usa ”

SPIEGEL: E’ quel che le ha detto l’ex cancelliere Gerhard Schröder quando vi siete incontrati in febbraio a Teheran?

Ahmadinejad: Sì, come gli altri. Adesso speriamo di vedere qualcosa di concreto. Sarebbe bello per tutti, ma lo sarebbe soprattutto per gli Stai Uniti perché la posizione americana nel mondo non è proprio buona. Nessuno dà credibilità alle parole degli americani.

SPIEGEL: E’ vero che la reputazione dell’America nel mondo ha sofferto sotto George W. Bush. Ma con il dovuto rispetto, signor presidente, anche la reputazione dell’Iran ha sofferto tremendamente durante il suo mandato.

Ahmadinejad: Dove? Con chi? Con chi è al potere o nella gente? Con quale gente e con quali governi? Durante i miei tre anni abbondanti in carica ho visitato più di sessanta paesi, dove sono stato accolto con grande affetto tanto dalla gente della strada quanto dai rappresentanti governativi. Abbiamo il sostegno di 118 paesi non allineati. Sono d’accordo sul fatto che nei governi americano e di alcune nazioni europee non godiamo di buona reputazione. Ma è un loro problema. La gente si beve quel che le propina il governo americano.

SPIEGEL: Ma lei non concede alla nuova amministrazione neanche una possibilità. Il suo atteggiamento è caratterizzato dalla diffidenza.

Ahmadinejad: Noi parliamo con grande rispetto di Barack Obama. Ma siamo realisti. Vogliamo vedere qualche vero cambiamento. A questo riguardo, siamo anche interessati a dare un aiuto per correggere una politica sbagliata in Afghanistan.

SPIEGEL: Cosa propone?

Ahmadinejad: Guardi, per la campagna militare in quel paese sono stati spesi fino a oggi più di 250 miliardi di dollari (190 miliardi di euro, ndr). Con una popolazione di 30 milioni fanno più di ottomila dollari pro capite, o quasi 42 mila dollari a famiglia. Sarebbe stato possibile costruire strade e fabbriche, fondare università e dare campi da coltivare ai contadini. Se ciò fosse stato fatto, che spazio sarebbe stato lasciato ai terroristi? Uno deve aggredire la radice dei problemi, non accanirsi contro le sue ramificazioni. La soluzione per l’Afghanistan non è militare, bensì umanitaria. E’ nell’interesse dell’Occidente ascoltarci, e se non lo fa, ci laviamo le mani di tutta la faccenda. Siamo semplici osservatori. Noi deploriamo profondamente la perdita di vite umane, a qualunque parte appartengano, che siano civili afghani o militari delle forze d’intervento. 

SPIEGEL: Tutto ciò non suona affatto come la manifestazione di un qualsiasi interesse da parte sua nell’aiutare Nato e Stati Uniti a contrastare i talebani. Obama sta ponendo maggior enfasi sulla ricostruzione civile, ma crede anche che i radicali che vogliono mettersi di traverso alla ricostruzione vadano affrontati con la forza militare.

Ahmadinejad: Le sto dicendo che la nuova politica di Obama è sbagliata. Gli americani non sono familiari della regione, e la percezione che ne hanno i comandanti della Nato è fuorviante. Le sto parlando da maestro esperto: quello che stanno facendo è sbagliato. Riguardo a quei 250 miliardi di dollari: magari, se fossero stati spesi in America, avrebbero risolto il problema della disoccupazione, almeno in parte. E forse adesso non ci sarebbe alcuna crisi economica.

SPIEGEL: Sta seriamente suggerendo un ritiro americano dalla regione?

Ahmadinejad: Uno deve avere un piano, è ovvio. Il ritiro può solo essere un’azione tra tante. Deve essere accompagnato da altre iniziative simultanee, come rinforzare il governo locale. E’ a conoscenza del fatto che la produzione di narcotici è aumentata di cinque volte da quando è arrivata la Nato? Narcotici! Questo ammazza le persone. Abbiamo perso più di 3.300 persone nella lotta al narcotraffico. La nostra polizia ha sopportato questi sacrifici montando la guardia ai mille chilometri della nostra frontiera con l’Afghanistan.

SPIEGEL: L’Iran è sempre stata avversaria dei talebani. Ma il loro ritorno al potere non può essere evitato senza la forza militare.

Ahmadinejad: Il potere deve andare alla gente. Ciò richiede aiuti economici, così come un limpido processo politico. Il governo afghano avrebbe dovuto avere responsabilità maggiori negli ultimi sette anni. Il presidente Hamid Karzai mi disse una volta: non ci lasciano fare il nostro lavoro.

SPIEGEL: Tutti, americani inclusi, sottolineano il principio del rispetto della determinazione dei popoli. Obama e la Nato hanno convenuto sulla necessità di una serie di misure in questo senso per l’Afghanistan, e stanno negoziando con l’Iran perché appoggi queste misure, nell’interesse di avere un Afghanistan stabile. Intende rifiutare la sua cooperazione?

Ahmadinejad: Credo che il corretto approccio a un’opzione del genere sia quello diplomatico. Lei è un giornalista, non un rappresentante della Nato, ed è per questo che non le dirò la mia posizione su questo tema. Qualora ricevessimo una richiesta attraverso i canali diplomatici, risponderemmo.

SPIEGEL: Ma alcuni politici a Teheran temono contatti con l’America. Secondo quanto riferito da funzionari Usa, il vostro viceministro degli Esteri, Mohammed Mehdi Ahundzadeh, la scorsa settimana alla conferenza di The Hague ha stretto la mano all’inviato speciale Usa per l’Afghanistan Richard Holbrooke, ma poi il ministro degli Esteri iraniano ha recisamente negato quell’incontro. Come si può credere nella vostra volontà di cooperare quando un’inoffensiva stretta di mano costituisce un problema?

Ahmadinejad: Non credo che tutto ciò sia rilevante. Una stretta di mano, una cortesia, per me, non è affatto un problema.

SPIEGEL: Lei sta minimizzando l’episodio. Ma forse c’è qualcosa di più che l’agitazione dopo la stretta di mano, a catturare l’attenzione. Forse si tratta di un segno di quanto sia profonda la divisione tra Teheran e Washington, ma anche del fatto che, in questo momento, non volete fare a meno del vostro arcinemico.

Ahmadinejad: Naturalmente, non possiamo aspettarci di vedere in pochi giorni la soluzione a problemi maturati in oltre mezzo secolo. Non siamo ostinati né creduloni. Siamo realisti. La cosa veramente importante è la determinazione di portare avanti alcuni miglioramenti. Se cambia l’atmosfera, la soluzione si può trovare.

SPIEGEL: Lei, come fanno gli americani, distingue tra talebani irriducibili, che devono essere combattuti, e talebani moderati, con cui è possibile negoziare?

Ahmadinejad: Non mi avventuro in una risposta definitiva su questo aspetto. Non so cosa si intenda con tali parole. Non dimentichi che gli afghani hanno stretti vincoli storici con l’Iran. Più di tre milioni di afghani vivono nel nostro paese. E dato che siamo anche in amicizia con la Germania, ripeto: una presenza militare più forte non è la soluzione.

SPIEGEL: La preoccupano i soldati tedeschi in Afghanistan?

Ahmadinejad: Vogliamo bene anche ai tedeschi. Siamo preoccupati.

SPIEGEL: E lei ignora le conseguenze.

Ahmadinejad: No. Se qualcosa ha una spiegazione logica, noi la accettiamo. Abbiamo negoziato con gli americani sull’Iraq, anche se ciò contrastava con il nostro principio di non parlare agli americani. Lo abbiamo fatto per migliorare la situazione, seguendo la logica.

SPIEGEL: Se le truppe americane se ne andassero dall’Iraq, la situazione della sicurezza, presumibilmente, peggiorerebbe drasticamente. Lei riempirebbe il vuoto di potere che si aprirebbe nel vicino Iraq, dove i suoi correligionari sciiti costituiscono i due terzi della popolazione? Sosterrebbe l’istituzione di una teocrazia, di una repubblica islamica d’Iraq?

 Ahmadinejad: Crediamo che il popolo iracheno sappia provvedere alla propria sicurezza. Si tratta di gente depositaria di una cultura che risale a oltre mille anni fa. Sosterremo qualunque cosa gli iracheni vogliano fare e qualunque governo scelgano. Un Iraq sovrano, forte e unito sarebbe un’ottima cosa per tutti.

SPIEGEL: I servizi di intelligence Usa hanno concluso che il ruolo di Teheran in Iraq è del tutto diverso. La Cia sostiene che l’Iran fomenti la resistenza sciita che si oppone all’esercito Usa.

Ahmadinejad: Non diamo alcuna importanza ai rapporti dei servizi americani. Gli americani occupano l’Iraq e sono responsabili della sua sicurezza. In passato hanno cercato di sviare l’attenzione dai loro fallimenti indicandoci come i responsabili della situazione. Devono correggere i loro errori. Le cose sono migliorate per loro da quando hanno riconosciuto questa verità, e hanno iniziato a rispettare gli iracheni. Le nostre relazioni con Baghdad sono strettissime. Diamo pieno appoggio al governo iracheno. Come sempre, le nostre politiche sono assolutamente limpide.

SPIEGEL: Signor presidente, questo non è vero. Lei si è opposto alla più importante nazione del mondo in uno dei temi al centro delle frizioni internazionali. L’Iran è fortemente sospettato di stare realizzando una bomba atomica mascherando l’operazione come una ricerca civile. Recentemente, durante la sua visita in Europa, il presidente Obama ha ammonito di questo grave pericolo. Ci sono quattro risoluzioni dell’Onu che chiedono all’Iran di fermare le sue attività atomiche. Perché non accoglie tali richieste?

 

Parte 3: “Siamo preoccupati e profondamente diffidenti”

Ahmadinejad: Cosa intende?

SPIEGEL: Signor presidente, intendo che il mondo sta aspettando da lei un segnale. Perché non sospende, almeno temporaneamente, l’arricchimento dell’uranio, aprendo così la strada all’inizio di un serio negoziato?

Ahmadinejad: Sta dicendo cose vecchie. Il tempo di pensare a una cosa del genere è passato. Abbiamo il sostegno unanime dei 118 paesi non allineati, nonché dei 57 paesi della Conferenza islamica. In tutto, tenendo conto di chi compare sia nell’una che nell’altra organizzazione, si tratta di 125 paesi che sono dalla nostra parte. Se qualche paese è contro di noi, lei certo non può dire che il mondo è contro di noi.

SPIEGEL: Sto parlando di Europa e Stati Uniti, dove non c’è un uomo politico che voglia incontrarla. Nessun politico italiano ha voluto incontrarla quando, lo scorso anno, ha partecipato a una conferenza dell’Onu a Roma.

Ahmadinejad: Anche noi vediamo tutto ciò, naturalmente. Ma ribadiamo che l’Europa non è tutto il mondo. Lei crede forse il contrario? Tra l’altro, neanch’io volevo incontrare i politici italiani.

SPIEGEL: Anche se lei si rifiuta di crederci, l’organismo internazionale più importante, vale a dire il Consiglio di sicurezza dell’Onu, spesso è unanime nel condannarla. Non solo le potenze occidentali, ma anche Cina e Russia hanno già approvato sanzioni contro l’Iran.

Ahmadinejad: Mi permetta di mettere le cose in chiaro, legalmente e politicamente. Almeno dieci membri del Consiglio di sicurezza…

 SPIEGEL: …che include, oltre a Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina, dieci rappresentanti eletti a rotazione…

Ahmadinejad: …ci hanno detto di aver votato contro di noi sotto la pressione di Usa e Gran Bretagna. Molti lo hanno detto in questa stessa stanza. Che valore ha un consenso dato sotto pressione? Consideriamo una cosa del genere legalmente irrilevante. Politicamente parlando, noi non crediamo che sia questo il modo di governare il mondo. Tutti i popoli devono essere rispettati, e tutti devono avere gli stessi diritti.

SPIEGEL: Di quali diritti l’Iran si sente negato?

Ahmadinejad: Se una tecnologia porta benefici, tutti devono poterne godere. Se non ne porta, nessuno deve averla. Può essere che l’America abbia 5.400 testate nucleari e la Germania neanche una? E che a noi non venga neanche permesso di inseguire l’uso pacifico dell’energia nucleare? La nostra logica è chiarissima: diritti uguali per tutti. La composizione del Consiglio di sicurezza e il veto dei suoi cinque membri permanenti sono un’eredità della Seconda guerra mondiale, che è finita sessant’anni fa. Le potenze vittoriose allora devono forse dominare l’umanità ancora, devono costituire il governo del mondo? La composizione del Consiglio di sicurezza dev’essere cambiata.

SPIEGEL: Si riferisce a India, Germania, Sud Africa? Anche l’Iran dovrebbe diventare un membro permanente del Consiglio?

Ahmadinejad: Se in questo mondo le cose venissero fatte in modo corretto, anche l’Iran dovrebbe essere membro del Consiglio di sicurezza. Non accettiamo l’idea che un pugno di nazioni si considerino le padrone del mondo. Devono aprire gli occhi e riconoscere le condizioni reali.

SPIEGEL: Queste condizioni reali includono il suo rifiuto di abbandonare il programma nucleare, nonostante la pressione internazionale. Questo significa che la Aiea e il suo direttore generale, Mohamed ElBaradei, possono risparmiarsi il problema di negoziare con l’Iran? L’arricchimento dell’uranio non verrebbe sospeso per nessun motivo?

Ahmadinejad: Credo che abbiano già raggiunto queste conclusioni a Vienna. Perché siamo entrati nell’Aiea? E’ stato il modo per impiegare l’energia nucleare a fini pacifici. Quando una nazione entra a far parte di un’organizzazione internazionale, deve limitarsi a fare quello che le viene detto oppure le sono anche attribuiti dei diritti? Che assistenza abbiamo avuto dall’Aiea? Ci ha forse fornito conoscenze e know-how? No. Ma, secondo il suo statuto, avrebbe dovuto farlo. Invece, si è limitata ad eseguire le istruzioni che le arrivavano dall’America.

SPIEGEL: Con tutto il dovuto rispetto, signor presidente, l’Iran ha nascosto, truccato e sviato, sollevando i dubbi del mondo. Sfortunatamente, il sospetto che voi stiate abusando dei vostri diritti per sviluppare in segreto la bomba, fino ad ora, non è stata provata.

Ahmadinejad: Dov’è che abbiamo fatto trucchi? E’ una bugia enorme! Abbiamo cooperato con l’Agenzia atomica. E poi, l’Aiea non era stata forse fondata per portare al disarmo la potenze nucleari? Dove sono i rapporti su chi ha disarmato, e quanto? Semplicemente, ciò non è accaduto. Siamo preoccupati, e profondamente diffidenti.

SPIEGEL: Il mondo non si fida di voi, e la sua più grande preoccupazione è che stiate costruendo la bomba, visto che vi sentite circondati da potenze nucleari: Stati Uniti, India e Pakistan; e poi, non ultimo, perché Israele ha la bomba.

Ahmadinejad: Non abbiamo interesse a costruire un’arma atomica. Abbiamo spedito all’Aiea migliaia di pagine di rapporti, abbiamo reso possibili migliaia di ore di ispezione. Le telecamere dell’Aiea controllano le nostre attività. Chi è pericoloso, e di chi non si fidano gli ispettori? Di chi costruisce in segreto la bomba o di noi, che stiamo cooperando con l’Aiea?

SPIEGEL: Certamente non si può parlare di una reale volontà di cooperazione da parte vostra. Me lo ha detto personalmente il direttore generale ElBaradei, ed è quanto affermano documenti pubblici dell’Aiea.

Ahmadinejad: Mi permetta di fare due osservazioni finali sulla questione nucleare. Primo, fintanto che non c’è giustizia, non ci può essere soluzione. Non si possono usare due pesi e due misure – e questo è stato il grande errore di Bush. Gli americani non lo devono ripetere. Noi diciamo: se la situazione è corretta, siamo lieti di cooperare. Condizioni uguali per tutti, e tutti allo stesso livello. La seconda osservazione riguarda i guerrafondai e i sionisti…

SPIEGEL: …il vostro eterno nemico di convenienza …

Ahmadinejad: …che prosperano nelle tensioni e che hanno tratto ricchezza dalle guerre. C’è poi un terzo gruppo, quello di coloro che sono interessati unicamente al potere. Il problema più grande di Obama risiede in politica interna. Da un lato, l’America ha bisogno dell’Iran e deve riallinearsi. Dall’altra parte, il presidente è sotto pressione da parte dei gruppi che ho detto. Servono decisioni coraggiose: la palla è nel campo di Obama.

SPIEGEL: Fino a poco fa, le sue convinzioni sull’America la portavano a escludere che un nero potesse diventarne presidente. E’ possibile che lei abbia una visione sbagliata, distorta dell’America?

Ahmadinejad: Non è come dice lei. Speriamo che i cambiamenti nella politica americana siano reali, profondi, e che sia cambiato più di un colore. E speriamo che la politica americana diventi più equa, a vantaggio dell’Africa, dell’Asia e del Medio oriente.

SPIEGEL: Lei è uno dei più importanti protagonisti politici nella regione perché è diventato un alfiere della causa palestinese.

Ahmadinejad: Stiamo difendendo di più che i diritti fondamentali dei palestinesi oppressi. La nostra proposta per risolvere il conflitto mediorientale è che ai palestinesi sia permesso di decidere del loro futuro in un libero referendum. Ritiene giusto che alcune nazioni europee e gli Stati Uniti appoggino il regime d’occupazione e l’innaturale stato sionista, e condannino l’Iran, semplicemente perché difendiamo i diritti dei palestinesi?

SPIEGEL: Lei parla di Israele, un membro delle Nazioni unite riconosciuto in tutto il mondo ormai da decenni. Cosa farebbe se la maggioranza dei palestinesi votasse per la soluzione dei due stati, ovvero se la maggioranza dei palestinesi riconoscesse il diritto di Israele ad esistere?

Ahmadinejad: Se quella fosse la loro scelta, tutti dovrebbero rispettarla.

SPIEGEL: …e lei stesso dovrebbe riconoscere Israele, una nazione che lei ha detto, in passato, sarebbe lieto di “spazzare via”. Per favore, ci dica esattamente cosa disse in quell’occasione, e cosa intendeva.

Ahmadinejad: Mettiamola così, scherzosamente: perché i tedeschi, ormai tanto tempo fa, provocarono tutti questi problemi, facendo sorgere in particolare quello di cui parliamo? Il regime sionista è una conseguenza della Seconda guerra mondiale. Quei lontani avvenimenti che cosa c’entrano mai con il popolo palestinese? O con il Medio oriente? Credo che bisogni andare alla radice del problema. Se uno non considera le cause, non arriverà mai alla soluzione.

SPIEGEL: Così, arrivare alla radice del problema implica spazzar via Israele?

Ahmadinejad: Significa rivendicare i diritti dei palestinesi. Credo che ciò vada a vantaggio di tutti, America, Europa e Germania incluse. Ma non vogliamo dire niente sulla Germania e sulle relazioni Germania-Iran?

SPIEGEL: E’ quello di cui stiamo parlando. Il fatto che lei neghi il diritto d’Israele ad esistere è di estrema importanza quando si parla delle relazioni tra Germania e Iran.

Ahmadinejad: Lei crede che i tedeschi appoggino il regime sionista? Lei crede che si potrebbe tenere un referendum in Germania su questo tema? Se lei permettesse una tale consultazione, scoprirebbe che il popolo tedesco odia il regime sionista.

SPIEGEL: Siamo fiduciosi che non è questo il caso.

Ahmadinejad: Non credo che la Comunità europea sarebbe tanto indulgente se appena un centesimo dei crimini commessi a Gaza dal regime sionista fossero avvenuti da qualche parte in Europa. Perché mai i governi europei appoggiano questo regime? Ho già tentato una volta di spiegarle questo punto…

SPIEGEL: …quando discutevamo della negazione dell’Olocausto, tre anni fa. Dopo quell’intervista, le inviammo un film di Spiegel Tv sullo sterminio degli ebrei nel Terzo Reich. Ha ricevuto il DVD sull’Olocausto, e lo ha visto?

Ahmadinejad: Sì, il DVD mi è arrivato. Ma non le risponderò su questo punto. Credo che la controversia sull’Olocausto non è una questione preminente per i tedeschi. Il problema è più profondo. In ogni caso, grazie per essere venuto. Lei è tedesco, e noi abbiamo un’alta opinione dei tedeschi.

SPIEGEL: Ha un messaggio per il governo tedesco?

Ahmadinejad: Ho inviato una lettera alla signora Merkel tre anni fa, nella quale sottolineavo l’importanza delle nostre relazioni, culturali, storiche e commerciali e esortavo la Germania ad essere più indipendente.

SPIEGEL: Il 12 giugno in Iran si vota per la presidenza. Lei è il favorito. Vincerà?

Ahmadinejad: Vedremo. Nove settimane è un periodo lungo. Nel nostro paese non ci sono vincitori e, dunque, neanche perdenti.

SPIEGEL: Se verrà rieletto, sarà il primo presidente della repubblica islamica dell’Iran a stringere la mano di un presidente americano?

Ahmadinejad: In che senso?

SPIEGEL: Signor presidente, grazie per l’intervista.

Intervista realizzata da Dieter Bednarz, Erich Follath e Georg Mascolo

Tratto da "Spiegel online"

Traduzione di Enrico De Simone