Leggi un estratto di “Elogio della vanità”, il manoscritto ritrovato di Berto

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Leggi un estratto di “Elogio della vanità”, il manoscritto ritrovato di Berto

15 Novembre 2009

Scritto nel 1965 – un anno dopo la pubblicazione de Il male oscuro – Elogio della vanità è un saggio di estrema attualità, ricavato dalla rielaborazione di alcuni articoli pubblicati in precedenza su “Il Resto del Carlino”. Andato misteriosamente perduto, il manoscritto di Berto è stato ritrovato nel 2006 nelle carte del Fondo Vigorelli e ripubblicato per le Edizioni Monteleone. L’estratto che segue è una breve anticipazione pubblicata dal “Corriere della Sera” nel giugno 2007.

Sia chiaro ad ogni modo che non è nostro proposito tessere della vanitas vanitatum in generale e dell’esibizionismo in particolare un elogio illimitato e incondizionato, e infatti come abbiamo già illustrato prima il pericolo principale della pulsione esibizionistica ch’è quello di mancare di senso morale per così dire, cioè di stimolare e di attivare sia le parti buone sia le parti cattive dell’individuo, così ora continueremo con onestà e scrupolo a cercare altri inconvenienti. Uno dei quali può essere la necessità che l’esibizionismo, perché gli si possa attribuire l’utilità sociale che ameremmo attribuirgli, agisca con la stessa lunghezza d’onda della sostanza che vuol attivare; ossia è indispensabile ch’esso attivi non solo una qualità buona ma la giusta qualità buona.

E insomma uscendo sia dalla teoria che dalla metafora pensiamo al caso d’un buon allenatore di cavalli, fornito di reali possibilità di affermazione nel suo campo, il quale viceversa sia eccitato da una errata carica esibizionistica che lo spinga ad essere, mettiamo, poeta, ecco che non si vede come ciò possa tornare utile vuoi a lui stesso vuoi alla società; e questa situazione che noi abbiamo così paradossalmente illustrata è una delle più grosse disgrazie del mondo, giacché illimitato è il numero di coloro che s’intestardiscono a fare cose che non riescono a fare a scapito di cose che invece potrebbero fare benissimo.

E questi poveretti che con parola povera si chiamano spostati continuano ad andare avanti nella vita essendo cattivi poeti o cattivi magistrati o cattivi inventori senza mai capirlo interamente ma ricevendo di solito un’impressione di amarezza e d’inutilità dato il cattivo risultato che le loro spinte esibizionistiche riescono ad ottenere nell’occupazione prescelta, e tale impressione finisce sempre per ripercuotersi sull’equilibrio psichico favorendo l’insorgere di nevrosi con reazioni a catena, sicché diventano sempre più mediocri, spenti e stitici quei poeti che sarebbero magari stati astronauti o finanzieri eccelsi solo che una pulsione esibizionistica di giusta lunghezza d’onda avesse attivato la sostanza adatta.

Comunque, mentre è relativamente facile scoprire il ridicolo d’una eccessiva carica d’esibizionismo in un imbecille, non altrettanto facile è reperire una carica esorbitante qualora questa si trovi in un individuo di grandi capacità e di alto rendimento che tuttavia potrebbe essere anche matto come Hitler. È in questa evenienza dunque che l’esibizionismo può diventare pericoloso per la convivenza sociale e in verità quasi tutta la storia umana non è che un esplodere di esibizionismi collettivi impersonati in genere da un matto, però anche a livelli più bassi cioè con cariche d’esibizionismo minori ma sempre sproporzionate alle modeste capacità, avviene che la vita pubblica attiri moltissima gente solo audace e furba, e in verità i progressi nella carriera politica sono assai frequentemente dovuti più all’apparenza che alla sostanza dei concorrenti.

E così accade che anche in nazioni assai democraticamente organizzate come sarebbe tanto per dire la repubblica del Danayland nel Sud Pacifico, d’un tratto il popolo s’accorga d’aver lui stesso, suggestionato dalla propaganda e da facili discorsi, mandato al potere degli esibizionisti extraproporzionali che magari sapevano fare bei discorsi elettorali ma non sanno legiferare, né amministrare il popolo con equità, né imporgli tasse ragionevoli, né fare buon uso delle irragionevoli tasse estorte, onde si vede che la nobile repubblica del Danay versa in gravi difficoltà e vi è pure minacciato quell’ordine democratico ch’era suo grande, sebbene recente, vanto.

Non si creda tuttavia che i guasti prodotti da esibizionismo esorbitante o extraproporzionale si limitino alla vita politica e pubblica giacché basta pensare a quante aziende vuoi artigiane vuoi industriali e commerciali vanno in malora perché i loro proprietari, spinti da troppo esibizionismo, fanno il passo più lungo della gamba o tengono tenore di vita superiore alle loro possibilità.

Se a proposito di questi esibizionisti extraproporzionali si potessero avere delle statistiche magari corredate da grafici illustranti la corrispondente perniciosità, si potrebbe vedere, noi supponiamo, che i capi di Stato e di governo sono coloro che detengono il più alto potere di danneggiamento, seguiti da presso dai militari – si pensi a quel che combinano di solito in battaglia generalissimi o grandi ammiragli dotati d’ esibizionismo esorbitante – e dopo i militari verrebbero le due numerosissime categorie dei politicanti e degli artisti, le quali da alcuni sono considerate alla pari, mentre altri osservando che il D’Annunzio alla fin fine fece più danno della battaglia di Lissa avanzano l’ipotesi che gli artisti che si trovano in eccedenza con l’esibizionismo sono più nocivi dei politicanti che si trovano nella stessa condizione.

E in verità si potrebbe benissimo concordare con quest’ultimi qualora si badi alla circostanza che i politicanti basta che salgano al potere perché manifestino subito la loro qualità di disadatti, e inoltre di solito essi, come direbbe il Beato Fra Giordano da Ripalta, «fanno le loro esibizioni, ma le opere non seguono», mentre nella categoria degli artisti le opere, purtroppo, seguono, e si sa che normalmente basta un po’ di savoir faire per farle ritenere immortali.
 
Tratto da “Corriere della Sera”

4 giugno 2007, p. 29