L’Egitto smonta il mito dei Protocolli dei Savi di Sion

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L’Egitto smonta il mito dei Protocolli dei Savi di Sion

18 Maggio 2007

“Ho realizzato di essere stato vittima di un atto criminale che dura dal 2003, non l’ho scritta io la prefazione a quel libro falso che non ha al proprio interno alcuna verità”. Il libro in questione è l’edizione egiziana de “I Protocolli dei Savi di Sion”, noto pamphlet antisemita della Russia zarista che nel mondo arabo islamico ha sempre avuto molta audience e da cui sono stati tratti anche diversi miniserial televisivi regolarmente mandati in onda tanto in Egitto quanto in Siria o in Giordania.

L’affermazione che rinnega ogni partecipazione nell’edizione egiziana di tale opera è invece del Grand Muftì del Cairo, Ali Gooma Muhammad abd al Wahab, lettore di fonti islamiche all’università di Al Azhar, una delle massime autorità riconosciute nel mondo islamico sunnita. E questa presa di posizione, pubblicata sul noto quotidiano del Cairo Al Ahram, “Le piramidi”, ha già provocato una feroce polemica tra la casa editrice, la Maktabat al Nafidha, e il presunto autore della prefazione che si intitola “Le radici bibliche e talmudiche dei Protocolli”.

Infatti, nell’articolo pubblicato nella sezione “pensieri religiosi”, la presa di distanze da un classico dell’antisemitismo storico così amato nel mondo arabo, a molti è parso un condizionamento politico del presidente Hosrni Mubarak sull’università di Al Azhar, di cui Ali Gooma è uno dei professori più stimati. La polemica, come per le vigente danesi, è scoppiata con alcuni mesi di ritardo: l’articolo che rinnega la prefazione è addirittura del primo gennaio di quest’anno, ma la notizia è stata da tutti i media e dalle tv egiziane  solo pochi giorni fa. Si è saputo che Ali Gooma ha fatto causa per danni alla casa editrice, che pretende un risarcimento nonché il ritiro dal commercio sia della prima edizione del 2003 sia delle successive ristampe.

Nell’articolo pubblicato da Al Ahram, Ali Gooma racconta di avere prima creduto di essere vittima di un caso di omonimia e di non essersi riconosciuto nel contenuto di quella prefazione anche per “la povertà di citazioni e di argomentazioni”. Poi parla di “atto criminale”, identificandolo con la pubblicazione stessa del libro, in cui lui sarebbe stato “trascinato con un falso”. E per tagliare la testa al toro ricorda di non possedere neanche le competenze di studioso della Bibbia e del Talmud necessarie per fare un commento di quel tipo. Incidentalmente, nel rinnegare le proprie responsabilità, pronunzia, anzi scrive, una frase sibillina che fa pensare a un input venuto dall’alto: “Mi ricordo l’incontro che ebbi con il lettore coranico Abd al Wahab al Masiri, specializzato in studi ebraici, e le prove che lui mi presentò per dimostrare che quel testo, cioè i Protocolli, era un libro senza verità, al contrario di quanto avevamo creduto per lungo tempo”. Una frase dal sen fuggita che fa pensare al classico “contrordine fratelli islamici”. Non sfugge a nessuno, infatti, che l’Egitto ha dal 1977 rapporti diplomatici con Israele e in passato, e soprattutto adesso che è parte attiva nel tentativo di arrivare a un piano di pace con l’Anp, da Gerusalemme non sono state poche le lamentele a proposito della cultura religiosa antisemita tuttora diffusa nelle università come Al Azhar. Questo ripudio dei “Protocolli dei savi di Sion”, che nel mondo arabo è un po’ come l’uomo che morde il cane, potrebbe essere il chiaro segnale dell’inizio di un nuovo corso che agli occidentali non può che fare piacere.