L’enigmatico stile di Medvedev è messo alla prova dalla crisi economica

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L’enigmatico stile di Medvedev è messo alla prova dalla crisi economica

06 Maggio 2009

Una volta Vladimir Putin definì i liberali e i leader dei gruppi per la difesa dei diritti umani come degli sciacalli che frugano nella spazzatura in cerca di elemosina nelle ambasciate straniere. Il suo protetto e successore, Dimitri Medvedev, ha incontrato di recente alcune di queste persone, elogiandole per il loro lavoro e sostenendo che in passato sono stati trattati ingiustamente. Nonostante questo, Medvedev non si è spinto oltre, non ha né approvato una nuova legislazione né offerto alcun aiuto a queste organizzazioni. 

Circa un anno dopo d’essere diventato il terzo presidente della Russia, Medvedev è ancora una specie di enigma e la crisi finanziaria ha solamente aumentato i dubbi sulle sue reali intenzioni. Ma il presidente russo è davvero l’affabile leader dei fautori della linea dura nel campo degli affari, presenti da sempre al Cremlino, una specie di presidente-fantoccio che si limita a fare osservazioni rassicuranti e poco altro? O forse si tratta di un vero e proprio riformatore che sta allontanando la Russia dalle pratiche oppressive di Putin, ma ha bisogno di tempo per crearsi un proprio segno distintivo?

Ultimamente Medvedev sembra essersi scomodato fin troppo per mettere in evidenza le sue presunte tendenze liberali e per distinguersi da Putin, che – è bene ricordarlo – attualmente è il primo ministro. Il presidente russo infatti ha prima rilasciato un’intervista a un giornale fortemente schierato contro il Cremlino, i cui giornalisti sono stati uccisi e perseguitati negli ultimi tempi. Poi Il 15 aprile scorso ha organizzato una riunione con i gruppi di difesa dei diritti umani e i gruppi di pressione affini. Gli stessi che denunciano da tempo le pressioni del governo e che ora stanno operando in un clima di intimidazione, tanto che alcuni dei loro leader hanno dovuto ingaggiare delle guardie del corpo.

Cercando di discolparsi con quelle scuse che abbiamo raramente sentito da Putin, durante il meeting Medvedev ha dichiarato che “non è un segreto che nel nostro paese c’è una percezione gravemente distorta delle attività di difesa dei diritti umani. Oggi molti funzionari hanno l’impressione che tutte le organizzazioni non governative sono nemiche dello Stato e che dovrebbero essere combattute, al punto da sembrare una specie di malattia in grado di minare i fondamenti della nostra società”, ha detto Medvedev, aggiungendo “credo che questa interpretazione sia semplicemente pericolosa”. 

Se è vero che queste affermazioni hanno rincuorato i gruppi per la difesa dei diritti umani, come spesso accade, però, non sono state accompagnate da una azione pratica. (Forse perché l’idea più apprezzabile che il presidente russo ha avanzato è la proposta piuttosto vaga di creare anche a Mosca un “speakers’ corner” simile a quello che esiste nell’Hyde Park di Londra). Più in generale è difficile distinguere anche dei cambiamenti marginali e nel modo in cui Medvedev esercita il suo potere al Cremlino.

La recente corsa alle elezioni comunali avvenuta a Sochi – la città che ospiterà le Olimpiadi invernali del 2014 – sembra essere stata orchestrata utilizzando le stesse tecniche affinate durante l’era di Putin. I candidati dell’opposizione sono stati cacciati dal voto o sottoposti a una copertura televisiva fortemente ostile. Il candidato favorito dal Cremlino ha vinto con il 77 per cento dei voti praticamente senza neanche aver fatto campagna elettorale.

“Per ora Medvedev sta pronunciando solo delle belle parole”, ha dichiarato Aleksei Simonov, presidente della Glasnost Defense Foundation di Mosca, che promuove la libertà di stampa e che era presente all’incontro. “Lui ha parlato tanto, ma c’è stata un’assoluta mancanza di fatti”. I commenti di Medvedev vengono regolarmente analizzati in cerca di strappi con la gestione Putin – che tra l’altro è considerato il vero leader supremo della Russia – e forse è possibile trarne solo una critica nei confronti dello stile dell’ex presidente. Ma sembra molto più probabile che Putin abbia permesso a Medvedev di adottare una "cifra" personale, a condizione che l’andamento del governo non sia alterato.

Medvedev è un ex professore di diritto che mostra di simpatizzare con le difficoltà con cui si trovano i gruppi per la difesa dei diritti umani. Nonostante questo, i leader di questi gruppi hanno puntato sull’unica mossa del governo che è indice di un primo disgelo: l’ordinanza giudiziario che ha liberato dal carcere Svetlana Bakhmina,  l’avvocato che ebbe un ruolo minore nella repressione condotta da Putin ai danni della compagnia petrolifera Yukos e del suo direttore, l’ex oligarca Mikhail B. Khodorkovsky.

Allo stesso tempo, però, la pubblica accusa ha avanzato nuovi capi d’accusa contro Khodorkovsky, che un tempo è stato l’uomo più ricco della Russia e venne imprigionato nel 2003 dopo aver fatto infuriare Putin con la sua decisione di entrare in politica. Questi nuovi capi d’accusa – che lascerebbero Khodorkovsky dietro le sbarre per i prossimi vent’anni – sono stati interpretati come il segno che il Cremlino non ha nessuna intenzione di allentare le redini del potere. 

“A volte preferiamo credere così tanto che le cose stanno migliorando da confondere le nostre aspettative con quello che sta accadendo”, dice Irina Y. Yashina, analista dell’Institute for the Economy in Transition di Mosca, che ha partecipato all’incontro con Medvedev. “Vogliamo credere così tanto che ci sia una grande differenza tra Putin e Medvedev, che talvolta le nostre speranze ci impediscono di vedere la realtà”. Al di là della dibattito sulla sincerità o meno di Medvedev, c’è un’altra questione: il presidente ha davvero il potere di portare avanti cambiamenti politici significanti nell’ambito delle libertà civili, del pluralismo politico e altre questioni simili, tanto più durante la crisi finanziaria?

Certamente Putin resta in carica. Come ai tempi dei Soviet, nel Cremlino ci sono ancora gruppi di funzionari in competizione tra loro, alcuni liberali e altri decisamente no. Alcuni ritengono che sarebbe un errore anche solo considerare di cedere il controllo, specialmente ora che la Russia sta affrontando una disoccupazione crescente e teme disordini a livello regionale. Lo scorso marzo Vladislav Surkov, spesso definito come il capo della strategia politica del Cremlino, prese in giro pubblicamente le richieste di riforma affermando: “Il sistema sta funzionando. Riuscirà ad affrontare la crisi e a superarla”.

In realtà, non è del tutto chiaro se alla maggior parte dei russi interessi qualcosa di ciò che sta facendo Medvedev. La maggior parte della popolazione è preoccupata di sapere che cosa sta facendo il governo per preservare la stabilità e la impressionante ricchezza economica ottenuta nell’ultimo decennio. Per di più, nell’era di Putin il governo aveva montato una tale campagna contro i liberali e i gruppi di pressione che oggi sono stati ampiamente screditati. “La maggioranza della gente non crede in queste organizzazioni, che d’altronde sono state portate nel paese dall’estero”, ha detto Yevgeny A. Fedorov, un importante membro del Parlamento del partito di Putin. “Questi gruppi si limitano a fare pressione in temi politici, economici e altri temi, nell’interesse di chi li ha mandati qui e ha finanziato le loro attività”.

Per il momento i liberali dicono di non voler rinunciare a fare altre pressioni su Medvedev, anche se stanno incominciando a scoraggiarsi. Simonov, il leader dei gruppi di pressione dei media, ha ricordato che, dopo aver lasciato il vertice con Medvedev, s’è imbattuto in un gruppo di dirigenti che stavano arrivando per le loro consultazioni con il governo. Si trattava dei capi delle reti di televisione nazionale, che sono finiti sotto un duro controllo ufficiale. Simonov ha detto di essersi accorto proprio in quel momento che, se lui non è un frequentatore abituale del Cremlino, senza dubbio quei dirigenti lo sono molto di più.

Tratto da The New York Times

Traduzione di Fabrizia B. Maggi