“L’eroismo dei violenti è uno dei falsi miti della Resistenza”
10 Gennaio 2011
Sul lungo periodo, “il Capo dello Stato ha ragione quando dice che alla politica è mancato qualcosa, parlando di terrorismo. Ma sul caso Battisti, secondo me, sbaglia”: il vicepresidente vicario dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello fa dei distinguo.
Per Napolitano ci sono state mancanze della politica.
“In via generale, ha ragione. In Italia il potere, in qualche modo, è sempre stato ritenuto illegittimo da alcuni che, per questa via, hanno legittimato la violenza come arma per abbattere quello stesso potere. Gli argomenti del Capo dello Stato applicati al caso Battisti, però, mi convincono meno. Il problema non è solamente italiano. Penso che sopravviva un residuo legato al periodo delle rivoluzioni, da quella francese in poi, che si incarna in chi crede di non aver avuto il coraggio attribuito a quelli come Battisti. Un pensiero che si ritrova tra gli intellettuali, ma anche tra personaggi che governano. Nel caso di Battisti, la storia di Lula e della sua classe politica è motivo per dubitare dell’analisi di Napolitano”.
La politica non ha saputo spiegare il senso di quanto accadde negli anni del terrorismo?
“Non è materia che si dovrebbe spiegare, dovrebbe essere scontata. Pensare di usare l’omicidio per fini politici, offende naturalmente il senso della giustizia. E se c’è qualcuno che non lo comprende, è a causa delle sovrastrutture ideologiche cui mi riferivo prima. Non vorrei scomodare il diritto naturale, ma questo è un concetto che dovrebbe essere naturalmente respinto”.
C’è il rischio di perdere la memoria?
“Sì, il rischio c’è. E Napolitano ha fatto cose molto importanti come l’impareggiabile discorso ai familiari delle vittime del terrorismo. Ma il rischio c’è sempre”.
Napolitano parla anche di cultura politica…
“In Italia non c’è un accordo sui fondamenti del nostro sistema. Anche perché la Resistenza ha lasciato in eredità dei falsi miti. Fra cui, quello della violenza. Basta ricordarsi una scena del film sull’assassinio di Moro, con la tavola di anziani che intonavano canzoni partigiane e la giovane terrorista, che era la Faranda, convinta che quelle canzoni dovessero diventare atti concreti”.
(Tratto da Il Secolo XIX)