L’esercito dei Robin Hood che prospera sui più deboli

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L’esercito dei Robin Hood che prospera sui più deboli

L’esercito dei Robin Hood che prospera sui più deboli

31 Agosto 2007

Quando l’Occidentale mi ha proposto di partecipare ad un osservatorio sulle caste che gravitano nell’orbita della Repubblica, ho aderito con entusiasmo. Al punto che ho pensato a questo articolo come all’inizio di una collaborazione più assidua. Mi è davvero sembrata una gran bella idea quella di aggiungere alla celebrata, lettissima e vendutissima analisi di Rizzo e Stella sulla casta dei politici e sui loro privilegi (veri o presunti) una indagine più ampia (e non politically correct) sul ruolo giocato dalle altre caste. Il nostro Paese sembra prigioniero di un sistema politico tanto conflittuale quanto impotente.

Il potere governante da molto tempo appare avvilito da veti, richieste e condizionamenti esercitati dai gruppi organizzati, li si chiami come si vuole: di pressione, di interesse, corporativi, espressione di tramontate ideologie, o di illuminate aspirazioni tecnico-imprenditoriali, o di europeismo falso, o di utopistiche ma sempre molto personalistiche progettualità, e così via. Un magma infinito, nel quale ciò che manca è: la proposta, il confronto pubblico su di essa, la controproposta, la scelta dell’elettore per l’una o per l’altra, l’attuazione della proposta vincente e infine la responsabilità di colui che ha deciso. Insomma, ciò che manca è, in una parola, la politica. E così, in questo marasma che si fa sistema e che ci precipita in una stranissima forma di post-democrazia, dimentichiamo l’ammonimento di Churchill: democrazia liberale e responsabilità politica saranno sì gravemente imperfette, ma nulla che sia migliore è stato ancora inventato!

E’ per questo che, lo confesso con grande timore, non ho voluto leggere il libro di Rizzo e Stella: perché temo possa perpetuare l’equivoco. La malattia dell’Italia non sta nel privilegio della politica, ma nel prosperare delle caste e nell’assenza della politica. Dunque, avanti a scoprirle, queste caste.

Però, giunto a questo punto, ho scoperto che l’Occidentale mi ha giocato un brutto tiro. Mi chiede di parlarvi della casta dei consumatori. Ma come, dico io, il consumatore, nuovo simbolo della purezza popolare, pulcino bersagliato dai cattivissimi imprenditori, metafora di un moderno Abele a cui favore ciascun uomo davvero buono dovrebbe repentinamente adoperarsi! Può essere forse additato, anch’egli, come una casta? Come fare a sostenere una tesi del genere senza incappare nelle (più che legittime) ire di quanti (sempre di più, purtroppo) faticano a pagare le bollette a fine mese e si confrontano con i costi dei servizi tra i più alti in Europa, o di quanti sono stati sventuratamente travolti dai recenti crack finanziari?

Eppure, a ben rifletterci, gli amici de l’Occidentale non hanno poi tutti i torti. E così ci provo. Persino in questo campo possiamo scoprire forse tracce di crisi dello stato di diritto, degenerazioni del pluralismo, irrigidimenti dei processi decisionali; anche qui possiamo andare a pescare alcune delle caste che condividono l’esercizio dei poteri pubblici senza assumerne le conseguenze. Va detto, per ragioni di precisione, che la presunta casta nel suo complesso presenta una duplice realtà: vi è un certo distacco tra la moltitudine di persone a cui fa riferimento (il popolo reale dei consumatori), e la ristretta cerchia di coloro che ne lucrano molti vantaggi grazie alla personalistica idea di consumatore che propongono. Vedremo con questa distinzione che anche all’ombra del consumatore crescono disordinati privilegi, veti e nuovi poteri istituzionali, sganciati (va da sé) da qualsiasi forma di responsabilità politica.

Partiamo anzitutto da ciò che dovrebbe essere e non è. Economia di mercato e libertà di concorrenza dovrebbero comportare alcune ovvie conseguenze: a) i consumatori sono coloro che ottengono benefici (prezzi contenuti e alta qualità di beni e servizi) grazie al libero svolgimento delle libertà economiche e della competizione tra gli imprenditori; i consumatori insomma prosperano con l’attuazione delle libertà, ricevono utilità indirette, non hanno dei loro diritti verso il mercato; b) i consumatori, oltre alla comune tutela davanti al giudice, sono protetti dalla vigilanza esercitata da organi pubblici (ad es. Banca d’Italia e Consob) rispetto a casi eccezionali riguardanti prodotti altamente rischiosi; c) i consumatori, in quanto cittadini, godono di alcuni servizi pubblici garantiti (il c.d. servizio universale); d) i consumatori sono estranei (nel senso che non ne sono diretti beneficiari) della tutela della concorrenza (c.d. antitrust) e della regolazione del mercato (esercitata dalle c.d. autorithies), perché l’una e l’altra riguardano i rapporti tra le imprese ed i loro comportamenti; e) i consumatori non danno vita a poteri corporativi irresponsabili, in loro nome non si espande la sfera pubblica e politica, non si incrementa il tasso di dirigismo.

In Italia si è avuta una grande attenzione sui consumatori e sui loro problemi, specie dopo gli scandali Enron, Cirio, Parmalat. Già da tempo trasmissioni come “Mi manda Raitre” avevano fatto della vendetta del consumatore beffato il messaggio rivolto ad un pubblico sempre più attento e compiaciuto davanti agli strapazzamenti del venditore di turno. Le associazioni del consumatori, nobilitate soprattutto in una legge del 1998, avevano assunto un ruolo sempre più vivace, tra pubbliche denunce, iniziative giudiziarie e persino “mutandate” campagne elettorali. Fin qui, però, nulla di speciale. La tutela del consumatore restava uno dei tanti temi del dibattito pubblico. Anche quando il Parlamento era chiamato a trattarne a proposito del faticosissimo iter della c.d. legge sul risparmio, il consumatore non invadeva la sfera delle istituzioni. In nome dei consumatori non si allargavano le caste.

Il salto di qualità è recente. La sua miglior sintesi sta nell’espressione cittadino-consumatore, in primo piano nella propaganda politica e nel vulgo mediatico. Già da sola, dovrebbe far rabbrividire un buon liberale: il cittadino è colui che vanta diritti e chiede prestazioni alla politica ed alle istituzioni, colui che vota, che esercita le prerogative civiche; il consumatore invece, non ha e non chiede diritti, egli prende e sceglie beni e servizi nel mercato, trae i frutti dalle libertà. Questa accoppiata non poteva essere più sincera nel manifestare il confuso miscuglio ideologico e culturale che sottende. E le sue tracce sono ben visibili almeno in tre fenomeni.

Il primo potremmo definirlo lenzuolismo. Con esso purtroppo non si evoca nulla che appartenga alla passione amorosa. Si vogliono invece richiamare le ormai periodiche lenzuolate somministrateci dal Ministro Pierluigi Bersani, il quale (si badi bene, con decreto legge!) introduce norme che intendono soddisfare i diritti del nostro cittadino-consumatore e che, in nome della liberalizzazione, vorrebbero scompaginare settori cruciali dell’economia del Paese. Si eliminano i costi di ricarica (vale a dire il prezzo parziale di una parte di contratto), si stabiliscono nuovi modi per annullare le ipoteche, si cancellano clausole penalistiche, si tolgono concessioni pubbliche e così via. Lasciamo ad alcuni dati già riportati ne L’Occidentale ed a qualche prossima analisi i frutti (scarsissimi, se non nulli) di queste improvvisate legislative. Lasciamo perdere anche il contingente compito di collante che questo argomento, così animato da spirito robinhoodesco, può aver svolto nel centro-sinistra (quanto il cittadino-consumatore abbia unito finti riformismi e vere ideologie di radice marxista è facile a vedersi).

Diciamo però che, in nome del consumatore, lo Stato interviene a gamba tesa nell’economia, cambia il contenuto dei contratti (cose che neppure nei mitici anni ’70 una cultura sinistroide avrebbe osato auspicare), aggiunge nuovi diritti individuali a tutti quelli che già appesantiscono le casse dello Stato e che restano sempre più spesso insoddisfatti, imbriglia le libertà, complica le leggi, aumenta i processi e le incertezze. Chi è dunque il consumatore? Non è più quel signore che compra meglio in una economia libera. E’ quel cittadino che riceve dallo Stato dei vantaggi che si chiamano correzioni contrattuali. La frittata (purtroppo non solo in senso culturale, ma anche istituzionale e politico) è fatta! Intendiamoci, non è che la politica non possa far qualcosa di più anche per i consumatori. Penso, non dico a risolvere, ma almeno ad affrontare i problemi energetici, quelli infrastrutturali e gli altri che riguardano gli scarsissimi (e costosissimi) servizi che riceviamo. Insomma, sarebbe ben utile che ci si occupasse di quelle cose che toccano più il cittadino e meno il consumatore. Altrimenti, sia chiaro, non si migliora la vita né all’uno né all’altro.

Il secondo fenomeno, di rincalzo, riguarda le altre istituzioni, che sembrano sempre più affascinate dal cittadino-consumatore. Ministeri, autorithies, magistrature che dovrebbero occuparsi delle imprese e dei loro comportamenti sul mercato, si lasciano attrarre da una sorta di “modello mi manda raitre”, per inseguire popolarità e facile consenso e soprattutto per cavalcare l’onda del cittadino-consumatore. Insomma, chi ha mai detto che ci si debba occupare di far funzionare il mercato, bisogna prima dare più diritti a chi non li ha: al nostro povero consumatore! Qui vi è un altro dato, che tocca direttamente la questione delle caste e che dobbiamo segnalare.

Il profitto politico del lenzuolismo è evidente: mascherare le difficoltà parlamentari del Governo con decreti legge ammantati da appannato riformismo e convertiti in congegni di tutela del “più debole”. Nel caso in questione il vantaggio è molto più impalpabile e oscuro, perché, a lungo andare, nuove pulsioni dirigiste potrebbero contagiare soggetti anche privi di responsabilità politica. Insomma, mentre lo stato interventista vedeva una politica (e un grande partito di massa) che si muoveva apertamente a favore dell’una o dell’altra componente sociale, qui rischiamo di avere un organo tecnico (e irresponsabile) che decide in un modo o nell’altro motivando in base al vantaggio per la pletora indistinta, e senza voce esponenziale, dei consumatori.

Il terzo punto tocca le associazioni dei consumatori. Nate per compiti specifici, destinate a parlare nella sobrietà delle aule giudiziarie, hanno assunto ormai un ruolo politico e persino istituzionale. Non si tratta delle aspirazioni elettorali dell’una o dell’altra. Mi riferisco invece al fatto che la politica (quella vera), dopo aver celebrato negli ultimi decenni i fasti dell’antipolitica e del tecnicismo quale panacea di tutti i mali per timore di inverosimili derive plebiscitarie o improbabili tirannie televisive, ha scoperto un altro “amico” da coinvolgere nei compiti pubblici. Insomma, una nuova casta. E così, ad esempio, in una delle lenzuolate è scritto che la rinegoziazione di alcune voci dei contratti bancari deve essere fatta tra banche ed associazioni dei consumatori.

Pensate un po’: abbiamo un contratto, che viene modificato per legge (anzi per decreto legge), e che viene poi riscritto dagli imprenditori, da una parte, e, dall’altra, da associazioni che però, diversamente dai sindacati, non hanno alcuna vera capacità rappresentativa, non hanno veri e propri iscritti, sono prescelti grazie a requisiti di struttura slegati da una supposta base ed iscritti così in pubblici albi. Una legge che toglie alla libertà contrattuale per dare ad un sindacato che non è neppure tale. Una nuova conquista del pluralismo. Un nuovo potere senza responsabilità. L’ennesimo indebolimento della politica (quella vera, quella che risponde).

Nuove performance delle associazioni dobbiamo attenderle dalle proposte di legge in discussione. Le associazioni dei consumatori devono controllare (al posto dei Comuni) la qualità dei servizi pubblici locali, concordare le carte dei servizi, esercitare le rinomate class action, che sono leggi che negli Stati uniti vengono promosse dai singoli nominativi dei consumatori e non da associazioni. Mi pare che tutto questo basti a vedere nuove caste ed a constatare come da concetti sbagliati nascano necessariamente cose sbagliate. Uno slogan finale allora lasciatelo pure a noi liberali: a ridatece er consumatore (e tenetevi il cittadino)!