Letteratura italiana, è emergenza nazionale

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Letteratura italiana, è emergenza nazionale

11 Agosto 2007

La letteratura italiana non interessa negli Stati Uniti perché lì c’è una ricchezza di produzione che per qualità, quantità, sperimentazione, differenziazione e diffusione supera di gran lunga la nostra: è per questo che nel paese a stelle e strisce non si leggono autori italiani. Questo il succo del discorso sparato da Alessandro Piperno, premio campiello 2005 per gli esordienti su Nuovi Argomenti e fatto riecheggiare in prima serata nientedimeno che dalla voce del TG5. Siamo all’emergenza nazionale anche sul piano letterario?

Certo in molti si chiedono se la letteratura italiana abbia mai raggiunto un livello così scarso nella sua storia. Sembra quasi che la incapacità del “sistema Italia” di adeguarsi ai grandi cambiamenti globali in corso, la incapacità endemica a tutti i livelli di raccogliere l’onere della responsabilità che si accompagna a qualsiasi volontà positiva non solo sulla storia ma anche semplicemente sulla vita, venga raccolta dall’estetica di massa del Paese non come un guanto di sfida per superarsi e scoprire per davvero “nuovi argomenti” bensì come una carezza tragica che accompagna all’abbandono verso il marginalismo senza speranza.

La nuova promessa della letteratura nostrana, cui va riconosciuta una certa dose di onestà intellettuale – merce che si trova sempre di rado – parla molto chiaro: poveri e brutti.

Infatti al di là degli entusiasmi per l’Ammaniti fresco di Strega, con il suo “Come Dio Comanda” (Mondadori 2007, pagg. 495), romanzo impegnato, come l’opera dell’autore, a trasporre in Italia scenari tratti della migliore letteratura americana degli ‘80 (che nel libro trovano ambientazione nella nuova periferia dei centri commerciali), i ritmi narrativi, le fonti letterarie – leggi l’attenzione verso la fiction, la TV o la soap opera – le derive violente, nel caso del nostro, finiscono per mancare rispetto a quella stagione letteraria americana. E manca soprattutti quello che si richiede o dovrebbe richiedersi ad un libro, a maggior ragione nell’era dei media e dei new media: che oltre l’entertainment torni ad essere uno strumento di conoscenza.

Gli autori americani questo lo hanno capito da tempo, i nostri, Ammaniti compreso, mancano sotto questo profilo e il libro finisce per mancare di universalità, autorelegandosi appunto a fenomeno da entertainment. L’entertainment serve eccome, si badi bene, ma poco ha a che vedere con il contributo necessario al ridisegno di una società in cerca d’autore, quando ad essa ci si adatta piattamente.

Un denominatore comune davvero minimo per questa nostra stagione letteraria sembra quindi proprio la mancanza di quell’universalità (pure nel provincialismo più profondo) che sembra andata perduta per sempre insieme all’abbaglio marxista cui si era votata l’intellighenzia italiana in un ansia di superamento della nostra migliore tradizione letteraria (leggi il Foscolo fascista di Gadda). Ma i nipotini del Gruppo 63 e di Umberto Eco, di essi non hanno la sponda ideologica né la preparazione, così resta solo l’attitudine moralista che non permette però, solo essa, una lettura o un rilettura originale della società italiana.

In questo senso, ed a ragione, la stagione è stata in tutto e per tutto quella di Roberto Saviano, un altro campione di Nazione Indiana. Sul blog oltre il classico daje ai fascisti (qualcuno peraltro dovrebbe spiegarci dove cavolo sono tutti questi fascisti) e ai preti, oltre l’esaltazione di “Poesie Operaie” girano cose limpide e chiare come queste “PS Mi faccio delle precisazioni da solo, rendendomi conto che non sono stato abbastanza chiaro. Il punto è questo: si tratta di “oscurare” Saviano. Di prenderlo sul serio, e di sopravanzarlo. Di innescare (con tutta la lentezza necessaria) un processo politico. Di costruire sul campo (e non evidentemente in maniera colonialista) una posizione politica che dica con chiarezza: quelle cose lì ci riguardano tutti, non sono da confinarsi solo in quel territorio maledetto (e dove vige la maledizione vige il sacrificio). Di esporre – di manifestare, appunto – a tutto il paese ciò che si va dicendo qui da tempo. Di “togliere di mano” la questione a Saviano,…Manifestarsi, insomma, e (far) dimenticare Saviano.”

 Noi Saviano non lo vogliamo dimenticare e non solo perché scrive bene, ma perché ci racconta una grande novità: la camorra siamo noi (…). Ci viene spiegato con un romanzo dal taglio dell’inchiesta giornalistica il perché e il per come vince la camorra e noi perdiamo. Di come alla fine essa sia riuscita a mettere il colletto bianco ed a diventare fenomeno globale.

 Provando per un attimo a dimenticare la saga cinematografica de “Il Padrino”, facendo finta che essa non sia mai stata proiettata nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, si rischia lo stupore.

 Ma ci rischia pure la pelle sopra Saviano, ed allora vale la pena provare a metterci in linea con il suo sforzo moralizzatore, vale la pena mettersi sulla retta via, aprire gli occhi come Saviano comanda. Allora diventa possibile e interessante capire il punto di vista del cinquanta percento di italiani che rifiuta l’approccio pragmatico ai problemi su di un qualsiasi terreno o territorio, rifiuta il tentativo di arrivare a necessarie e relative soluzioni una alla volta ma sul serio, in nome di un generico senso di giustizia.

 Se volete capire perché le tasse non scenderanno e questa dinamica non cambierà mai guardate la quarta di copertina con la foto dell’autore e lo capirete. Poi se vi va leggete anche il libro.

 Qui ci ingrassa solo l’obbrobrio burocraticista, il partito della spesa e delle tasse e all’ombra proprio di quella parte politica cui comunque alla fine agli autori di frontiera della sinistra italiana come Saviano – ingiustamente definito libertario – non resta che fare riferimento, quella sinistra italiana pronta in una attimo a permettere di nuovo che si possa essere pensionati con 35 anni di contributi pesando serenamente per i successivi 30 anni sui giovani al primo inserimento nel mondo del lavoro che vedono sempre più decurtato il proprio reddito per effetto dell’aumento dei contributi a loro carico. Allora dov’è la camorra? (continua)