L’Europa aumenta i tassi ma la strategia di Trichet non convince
21 Giugno 2008
L’Europa non resiste ai venti inflazionistici che soffiano fino a noi dagli States e decide di aumentare i tassi d’interesse, fermi da tempo al 4%. Tutto il contrario di ciò che accade oltreatlantico. Ma è corretta la manovra che sta portando avanti Jean Claude Trichet?
Non tutte le crisi economiche sono uguali, si sa. Dipende dal contesto geopolitico, storico e sociale in cui si sviluppano. Vi posso essere crisi del credito o di liquidità, crisi sistemiche o d’insolvenza, ognuna diversa dalle altre, anche in base a dove nascono. L’Europa non è gli Stati Uniti d’America e la crisi dei mutui subprime non deve modificare il ruolo della Banca Centrale Europea.
Tuttavia, non si può fare a meno di ragionare sull’aumento generalizzato dei prezzi nella zona Euro ed agire di conseguenza. Questo, in sostanza, è ciò che spingerà il board dell’istituto di Francoforte ad alzare i tassi di riferimento e di sconto dell’area euro nel prossimo meeting di luglio. Lo stesso Trichet, dallo scorso agosto, sta portando avanti una particolare politica monetaria, che punta a mantenere sotto controllo il tasso inflazionario, preferendolo alla crescita economica, ancora considerata a livelli accettabili.
Il numero uno della Bce ha ricordato che «stabilizzare le attese di inflazione nel medio e lungo periodo è la priorità più importante per noi», questo perché la Bce «ha un mandato molto chiaro, un solo parametro che guida la sua azione, non due come la Federal Reserve, ed è la stabilità dei prezzi». Infatti, l’obiettivo principale è quello di calmierare l’impennata generale dei prezzi, che ha portato l’inflazione ad essere costantemente oltre il 2% per tutta la seconda parte del 2007 e che si farà sentire fino a buona parte del 2009. Nel mese di marzo il tasso d’inflazione annuo nell’area euro ha raggiunto e superato la quota di 3,5%, il più alto livello dalla creazione dell’Unione Europea (fonte Eurostat). Ed il tendenziale per il prossimo anno varia dall’1,6% al 2,8%, anche se queste stime saranno presto rettificate al rialzo, come ricordato dallo stesso Trichet. Questo perché l’incertezza che grava sui mercati è straordinariamente elevata, complice l’ancora significativa esposizione dei titoli subprime allocati in mezzo mondo che possono colpire in qualsiasi momento e la tendenza recessiva che vige in America. Ancora, il costo sempre maggiore del greggio, delle commodities e delle materie prime, sta mettendo in ginocchio gli assetti dell’economia mondiale, che si stanno lentamente spostando.
Una decisione, quella di Francoforte, che ha stupito non poco gli analisti, che prevedevano il mantenimento delle politiche monetarie viste finora. Ma è la soluzione che soddisfa i nostri bisogni?
Guardando all’Italia no, guardando all’Europa nemmeno. Se osserviamo la situazione economica attuale nel nostro paese, non possiamo non essere d’accordo sul fatto che stiamo vivendo una fase singolare del ciclo economico – la stagflazione – cioè la concomitanza di stagnazione della crescita ed aumento del livello generale dei prezzi al consumo. In questo caso, una politica monetaria restrittiva risolverebbe nel medio e lungo termine il problema inflattivo se fosse nativo (e non lo è…), ma non ci farebbe recuperare lo slancio economico perduto per le ragioni che tutti ben sappiamo. Urgerebbe, quindi, uno sforzo maggiore per la liberalizzazione dei settori di mercato interni per renderli maggiormente competitivi fra loro e favorire lo sviluppo italico, considerato che non siamo più dotati di sovranità monetaria. Per far ciò servirebbe un radicale riassetto della nazione: la strada intrapresa dal Governo Berlusconi sembra essere buona, sicuramente migliore di quella della precedente legislatura, eppure c’è ancora tantissimo da fare. Anche guardando all’Europa, le misure della Bce non vanno nella direzione esatta, dato che cercando di porre un freno alle spinte inflazionistiche dettate dai default globali che stanno danneggiando gli stati membri dell’Ue, si penalizza una crescita certamente non corposa. Paesi come la Germania, la Francia, la Spagna e l’Inghilterra possono ancora contare su un trend economico accettabile, quindi sarebbe deleteria la mossa ampiamente annunciata da Trichet.
Il clima che si respira fra gli addetti ai lavori, i broker, i trader e gli analisti è che ancora per tutto il 2008 le incertezze non termineranno sui mercati, finché non si sarà trovato un equilibrio fra le crisi di greggio, materie prime alimentari e subprime. Da una parte c’è una banca centrale (Fed) che continua a tagliare il costo del denaro in modo compulsivo e dall’altra (Bce) ce n’è una che sembra prendere lucciole per lanterne, trovando avvisaglie di inflazione targata Ue dove non ce n’è. Il mercato attualmente sembra favorire l’istituzione europea, sintomo che non è attraverso l’immissione di liquidità e l’indulgenza che s’infonde fiducia negli operatori, bensì mantenendo il controllo della situazione, a patto che si distingua ciò che è di Cesare e ciò che non lo è. Il virus dei mutui non è ancora riuscito a contagiare in modo irrimediabile il Vecchio Continente, ma le speculazioni su greggio e commodities lo ha fatto in modo così pesante da far ritenere che la spirale inflazionistica sia autoctona.
La politica monetaria di Trichet è migliore di quella di Ben Bernanke, chairman della Fed? Fino ad ora si. La vera sfida sarà però prendere atto che la Bce dovrà anche farsi traino di chi combatte le crisi economiche solo a colpi di forbice sui tassi ed immissioni di liquidità.