
L’Europa ‘cancella’ il Natale, poi ci ripensa: ma il segnale è chiaro (purtroppo)

30 Novembre 2021
Un documento interno dell’Unione Europa trapelato, poi ritirato. Una malposta volontà di imporre il politicamente corretto che finisce per sfociare nel paradosso e nel grottesco. La sottintesa volontà di sterilizzare e uniformare ogni cosa in nome di un relativismo svuotato di tradizione e identità. Quello che è avvenuto in questi due giorni sul tema del “Natale” nasconde qualcosa di più profondo di una semplice polemica mediatica.
Le “Linee guida della Commissione europea per la comunicazione inclusiva” circolate ieri invitavano infatti a “evitare di dare per scontato che tutti sono cristiani” e poichè “non tutti celebrano le festività cristiane, e non tutti i cristiani le celebrano nelle stesse date, per essere sensibili al fatto che la gente ha tradizioni e calendari religiosi differenti”, si consigliava di “evitare frasi come ‘il Natale può essere stressante’, preferendo ‘le vacanze possono essere stressanti'”. Oggi la commissaria Ue all’Uguaglianza Helena Dalli, supervisor delle indicazioni per la comunicazione dell’Ue, a fronte del putiferio sollevatosi, ha fatto marcia indietro. “L’iniziativa delle linee guida aveva lo scopo di illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione – ha detto -. Tuttavia, la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento”.
Il problema ovviamente resta. Che il documento non “sia maturo” significa che per l’Unione Europa il problema è la forma usata e non il contenuto di queste linee guida ad essere sbagliato. Per l’Europa, insomma, è stata semplicemente fatta una fuga in avanti rispetto a un percorso segnato che prevede appunto la cancellazione delle identità culturali e religiose, viste come fastidiosi inciampi sulla strada di una standardizzazione del pensiero in ogni suo aspetto. Non è un caso che per quelle linee guida nottetempo ritirate dovrebbero sparire dal linguaggio comune parole come Miss o Mrs (signorine e signore) sostituite da un più generico Ms. Dovrebbero sparire nomi o pronomi legati al genere del soggetto. Dovrebbero sparire finanche “negli esempi e nelle storie nomi che sono tipici di una religione come Maria e Giovanni, preferendoli a Malika e Julio”.
Una furia non solo laicista, ma talmente atea, nel senso deteriore del termine, da non concedere nulla alla speranza religiosa, nemmeno nel linguaggio, nemmeno nei nomi propri. Cancellati questi nomi, proprio come l’imperatore persiano Serse avrebbe voluto cancellare dai libri di storia la resistenza dello spartano Leonida, oscurandola dagli stessi libri di Storia.
Della Natività, per questa Europa, non deve restare nulla. Nemmeno il nome di Maria e di Giuseppe. Allora davanti a tutto questo, davanti a un linguaggio ormai talmente imbruttito e sterile, la fuga in avanti dell’Europa è stata sola una voce dal sen fuggita rispetto a un cammino segnato. La nuova normalità passa da qui, dal linguaggio, dalle metafore. Dalla arroganza di una umanità che pensa di poter “salvare il Natale attraverso il Green Pass” e che dimentica che un tempo era il Natale, ciò che la Natività rappresentava per tutti, cristiani e non, a salvare l’uomo da se stesso e dalla propria Hybris camuffata da umiltà. Una umanità incapace – come sempre – di rispondere alle domande più profonde, ma che ora immagina sia sbagliato addirittura farle, quelle domande. Non è il sogno immaginario di John Lennon, non è l’utopia di una società senza inferno e senza paradiso, ma capace di interrogarsi sulla propria umanità. No, è l’annullamento stesso di quegli interrogativi. Dove andiamo? Chi siamo? Dove andiamo? All’Europa che vede l’identità come una bestemmia laica, tutto questo non interessa.