“L’Europa dei no non va lontano. Con la Francia superare le tensioni ma senza sconti”
19 Aprile 2011
di L. B.
I rapporti con la Francia da ricucire nel vertice di fine mese a Roma, l’Europa distratta su immigrazione e sicurezza più sensibile all’unità monetaria ed economica che non sta facendo la sua parte fino in fondo; l’Italia che da tre mesi e da sola regge il peso di un esodo del quale nessuno a Bruxelles, se non a parole, intende farsi carico veramente. E non può restare solo sulle nostre spalle. Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno analizza la situazione andando oltre i riti della politica e della diplomazia, fuori e dentro i confini nazionali.
Sottosegretario Mantovano, qual è la situazione con la Francia dopo le nuove tensioni di domenica alla frontiera di Ventimiglia?
La situazione con la Francia ha tre profili di interesse: uno di carattere giuridico, uno di carattere istituzionale e uno di carattere politico.
Partiamo dal primo.
Sul piano giuridico non ci sono dubbi perché come ha riconosciuto fin dal primo momento la commissione europea, l’Italia si è mossa in un quadro di piena conformità alle norme europee in materia di permesso umanitario. Non solo, ma il permesso umanitario rilasciato insieme ad altri documenti, permette la libera circolazione all’interno dell’area Schengen, perlomeno fino per tre mesi dal momento del rilascio. Quindi non può esistere l’ostacolo alla circolazione di extracomunitari con regolare permesso fuori dai confini italiani. Il profilo istituzionale ha visto la piena unità di intenti tra Francia e Italia e vorrei dire tra i sei paesi europei che affacciano nel Mediterraneo fino al mese di febbraio.
Poi non è stato più cosi perché soprattutto la Francia ha chiuso le sue frontiere.
A fine febbraio i sei ministri dell’Interno dei paesi europei hanno sottoscritto una dichiarazione comune da far valere in sede europea che chiedeva all’intera Europa di considerare l’area dei Mediterraneo una priorità. Il documento chiedeva inoltre l’istituzione di un fondo di solidarietà per i paesi più esposti: questa dichiarazione che contiene altri punti, reca anche la sottoscrizione del ministro francese in quella fase ancora in carica. Quando è subentrato l’attuale ministro francese qualcosa è cambiato e va ritrovata la continuità istituzionale. Il terzo profilo, di carattere politico, è quello che probabilmente spiega le tensioni degli ultimi giorni: fermare per qualche ora i treni a Ventimiglia non risponde né a norme di diritto, né a esigenze di carattere istituzionale.
E dunque qual è il motivo vero?
Evidentemente ci sono esigenze di carattere politico interne alla Francia.
Sì ma non è un motivo sufficientemente valido per rifiutare di affrontare l’emergenza immigrazione che non può e non deve essere solo un problema dell’Italia. Cosa risponde?
Questa domanda va posta non certo a un rappresentante del governo italiano. L’Italia finora ha fatto ciò che neanche la somma degli altri paesi europei ha fatto di fronte a un’emergenza del genere. Tanto per cominciare ha allestito in tempo record al confine tra Libia e Tunisia un campo di accoglienza da diecimila posti per avere una frontiera anticipata di aiuto alle persone che ne avevano bisogno. Mentre altri sono partiti per lanciare bombe in Libia, noi abbiamo mandato una nave con aiuti e medicinali a Bengasi e per tre mesi abbiamo retto da soli il peso dell’accoglienza a trentamila persone sia dalla Tunisia (all’incirca venticinquemila) sia dalla Libia (poco più di cinquemila persone). Sappiamo cosa abbiamo fatto noi, non abbiamo notizie di ciò che abbiano fatto altrove, se non creare problemi.
Cosa direte alla Francia nel vertice del 26 aprile? E come pensate di ristabilire la continuità istituzionale?
La collaborazione va ristabilita anzitutto all’interno dell’Unione europea, poi è chiaro che Francia e Italia hanno dato vita per prime all’istituzione europea; quindi il vincolo di solidarietà dovrebbe essere fondato su questo comune e originario sentire.
Al di là degli auspici cosa direte alla Francia?
Non posso anticipare ciò che dirà il premier Berlusconi. In un’ottica europea chi viene in territorio europeo, anche passando per l’Italia, dovrebbe trovare accoglienza intanto sulla base di dove sta la sua famiglia che intende raggiungere e sappiamo che gran parte dei tunisini arrivati a Lampedusa hanno familiari e parenti in Francia. Non solo ma visto che si tratta di giovani abili al lavoro, dovrebbero trovare accoglienza anche sulla base dell’offerta del mercato del lavoro che se in Italia, a causa della crisi è ancora problematica, non è così consistente ad esempio in paesi come Svezia e Finlandia. Un ruolo più incisivo dell’Unione europea potrebbe essere utile anche in questa direzione e una ripartizione del genere può avere profili di convenienza anche per l’economia di questi paesi.
Ma Francia e Germania obiettano che nel corso degli ultimi decenni hanno già fatto la loro parte accogliendo milioni di extracomunitari. Cos’è questa propaganda o c’è un fondo di verità?
È uno slogan.
Perché?
Perché in realtà non è comparabile la situazione di paesi quali la Francia e l’Inghilterra che in virtù del loro passato coloniale hanno mantenuto un legame coi paesi-ex colonie e fatto sì che negli ultimi decenni la presenza degli extracomunitari fosse scaglionata e graduale, rispetto invece all’Italia che da paese di emigrazione è diventato un paese di immigrazione, passando tra il 1990 e il 2010 da una presenza di mezzo milione a cinque milioni. Sfido qualsiasi paese europeo a trovarsi di fronte a dinamiche di questo genere in un arco temporale così limitato. A questo si aggiungono i richiedenti asilo che l’Italia negli ultimi anni ha accolto al ritmo di 40mila, tranne il 2010. L’Italia inoltre si è dimostrata il paese europeo più celere nell’esame di domande di asilo in termini percentuali e il più ‘largo’ negli accoglimento specialmente dal punto di vista della protezione umanitaria.
Cosa è cambiato dal ‘muro’ innalzato da Francia e Germania tre mesi fa a oggi?
È cambiato che, evidentemente, qualcuno di loro pensava che dando segni di nervosismo, l’Italia avrebbe rallentato nella definizione del suo piano. Invece, l’Italia è andata avanti sulla sua strada, in piena conformità rispetto alle disposizioni europee e a questo punto se n’è preso atto. Ora si continuerà ad andare avanti come è stato fino a non molto tempo fa.
Secondo lei c’è un problema Europa? Il ministro Maroni è stato il primo a sollevarlo.
Esiste nel senso che l’Italia è tra i paesi europei quello meno separatista e il più entusiasta dell’esistenza dell’Unione europea, tuttavia le ultime vicende hanno portato a stemperare molto gli entusiasmi e a fa sorgere tanti dubbi. Se facessi parte dell’istituzione europea non mi limiterei a lamentarmi per l’esistenza di questi dubbi ma proverei a coglierne le ragioni.
E quali sono queste ragioni?
Sono la lentezza nelle decisioni, la lontananza dalle situazioni reali delle varie crisi regionali, in sostanza un’incapacità di dare risposte adeguate rispetto all’emergenza immigrazione. Qualcuno mi dica in cosa l’Unione europea si è fatta sentire negli ultimi tre mesi se non in richiami generici e e in dichiarazioni che non hanno avuto nessun seguito concreto. Dico questo non con soddisfazione ma con preoccupazione.
Non pensa che proprio la linea di Bruxelles possa ridare vigore all’euroscetticismo anche in Italia? Penso ad esempio alla Lega.
L’Italia continua a essere convinta delle buone ragioni dello stare in Europa ma questo non credo sia incompatibile con la descrizione dei problemi che oggi ci sono in sede europea. Sono problemi che derivano in primis dalla moltiplicazione degli ambiti decisionali, poi dal fatto che un’Europa a 27 rende il confronto molto più complicato rispetto all’Europa dei 15 e infine dal fatto che sembra vi siano livelli di interesse differenti a seconda delle materie.
In che senso?
In materia monetaria ed economica l’Europa ha mostrato di avere un livello di sensibilità maggiore rispetto alle questioni legate all’immigrazione e alla sicurezza. E se il volto dell’Europa è quello di chi crea ostacoli all’individuazione delle soluzioni, è ragionevole affermare che qualche dubbio viene. Per questo occorre lavorare in sede europea affinchè si eliminino le ragioni del dubbio. Faccio un esempio: se ho una casa dove ci sono cose che non funzionano – ci piove dentro e la luce viene e va – prima di pensare a demolirla provo ad aggiustarla.
A che punto siete coi permessi per motivi umanitari?
Abbiamo tarato il sistema per essere prudenti su diecimila, probabilmente saranno di meno. Entro questa settimana è prevedibile che saranno distribuiti a tutti ed è l’ennesima conferma dell’efficienza del nostro piano. Vorrei far presente che ogni permesso non è un semplice foglio di carta, ma una tessera magnetica con un microcip costruito dal Poligtrafico dello Stato. Oltre alla tessera, viene consegnato un documento di viaggio e compiuta una verifica sulla disponibilità finanziaria della persona, tale da permettere di superare i confini nazionali. Se colui al quale viene consegnato il permesso ha necessità di qualche giorni di ulteriore accoglienza, c’è già una rete predisposta d’intesa con le Regioni e la Protezione civile che ripartisce sul territorio nazionale queste persone. Se invece, l’immigrato non ne manifesta la necessità dicendo che sa già dove andare, allora prende la sua strada.
Ci sono poi i richiedenti asilo. Qual è la situazione attualmente?
Gran parte di coloro che provengono dalla Libia sono potenziali profughi richiedenti asilo e per loro il sistema di accoglienza già sperimentato vede l’intesa tra Stato, Protezione civile, Regioni e il mondo delle autonomie, anche in questo caso con una ripartizione proporzionata tra tutte le regioni italiane. Pur partendo dalle coste libiche, la maggioranza di coloro che arrivano a Lampedusa sono eritrei, somali, cittadini della Mauritania, del Ciad, hanno il profilo di chi fugge da una condizione di grave pericolo. Finora ne sono arrivate seimila, ma la nostra stima potenziale è notevolmente più alta.
Significa che vi aspettate un esodo di massa?
Ci aspettiamo decine di migliaia di arrivi e probabilmente, l’allentarsi delle tensioni in Libia – peraltro auspicabile – avrà come conseguenza e come spesso accade, un incremento dei viaggi.
E come pensate di gestire questa potenziale prospettiva?
Intanto ce ne stiamo occupando direttamente ma sarà interessante la collaborazione da parte dell’Unione europea.
Sta funzionando l’accordo con la Tunisia per il blocco delle partenze e i rimpatri? Non temete che essendo un governo provvisorio tra qualche mese quando i tunisini andranno a votare possa essere rimesso in discussione?
L’intesa con la Tunisia pur con tutte le difficoltà del momento e con ua situazione di instabilità interna a quel paese sta dando risultati perché intanto abbiano notizie di partenze che sono state bloccate, poi la Tunisia concorre nelle operazioni di rimpatrio dall’Italia. Finora sono stati rimpatriati 330 tunisini con una media di due voli al giorno. Non poco se si considera che il tutto va avanti da soli dieci giorni.
Tendopoli, ripartizione tra le Regioni e Lampedusa: la sinistra ha accusato il governo delle peggiori nefandezze ma alla fine il sistema che avete messo in piedi sta dando risultati positivi.
Sia sul fronte dei permessi umanitari che su quello degli asilanti la ripartizione territoriale è una realtà. Faccio un esempio: duecento tunisini che hanno ottenuto il permesso nella tendopoli di Manduria sono già accolti in strutture tra l’Emilia Romagna e il Veneto. Lampedusa non si trova più nello stato di congestionamento inumano che aveva raggiunto nel momento peggiore della concentrazione degli sbarchi. Il governo ha assunto un impegno e lo sta mantenendo, oltretutto con costi notevoli, penso ai ponti-aereo, alle navi, alla presenza sull’isola di forze di polizia, vigili del fuoco, protezione civile e volontari.
Ammetterò però che all’inizio c’è stata una certa approssimazione anche da parte del governo.
Diciamo che c’è stato un condizionamento da clima elettorale che no è mancato neanche nel centrodestra.
Qual è il bilancio che tre mesi dopo i primi sbarchi si sente di tracciare e cosa risponde alle accuse dell’opposizione?
Il bilancio provvisorio vede una realtà nazionale che nonostante le polemiche realizza fatti concreti, fuori e dentro i confini nazionali. Un sistema che regge grazie al contributo di tutti, istituzioni, operatori e volontari che non stanno lì con l’orologio in mano. Un po’ più di unità nazionale e di consapevolezza di un’opera da svolgere in comune non guasterebbe.
Messaggio solo per le opposizioni?
Messaggio per tutti.
Non pensa che il centrodestra dovrebbe veicolare di più e meglio quanto è stato fatto finora per affrontare l’emergenza immigrazione?
Scontiamo ancora una volta il limite di non valorizzare appieno ciò che iol governo fa.
Perché secondo lei?
Forse perché si guarda troppo alle questioni interne di partito e non a ciò per cui abbiamo ricevuto il consenso dai cittadini.
Quindi dovreste fare di più?
Sarebbe già sufficiente evitare il fuoco amico-
Le sue dimissioni, poi rientrate, sono state un gesto eclatante. Cosa è cambiato in poche settimane?
Le ragioni che stavano alla base delle mie dimissioni sono state superate da tutto ciò che è stato messo in campo successivamente, sia in termini di redistribuzione territoriale degli immigrati, sia in termini di rilascio di permessi umanitari. Adesso guardiamo al futuro e al lavoro da fare, specie per quanto potrà arrivare dalla Libia e per il quale è prudente e saggio dire che siamo solo all’inizio. Guardiamo al lavoro da fare con una prospettiva non solo italiana ma europea.