“L’Europa è a un bivio: il rigore da solo non basta. Servono identità e progetto comunitario”

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“L’Europa è a un bivio: il rigore da solo non basta. Servono identità e progetto comunitario”

13 Giugno 2012

“Dieci punti importanti e tutti condivisibili che dovrebbero essere trasferiti ai cittadini perché ciascuno contiene una risposta specifica ai bisogni che la società rappresenta alla politica”. Il decalogo è il Manifesto per l’Europa elaborato da alcune Fondazioni italiane ed europee e tra queste la Fondazione Magna Carta, che indica la strada da seguire in una fase in cui il ‘rigore, rigore, rigore’ rende tutto difficile e confuso. Erminia Mazzoni, europarlamentare del Pdl ne condivide spirito e contenuti. Ma da Strasburgo argomenta anche un’analisi sull’Europa che non va.

Onorevole Mazzoni, Napolitano considera il Consiglio europeo di giugno ‘salva-euro’. L’Fmi dice più o meno indirettamente che l’euro ha tre mesi di vita e servono provvedimenti immediati. Che sta succedendo all’Europa?

L’Europa vive la fase di crisi maggiore dalla sua costituzione. Oggi è a un bivio e molto dipenderà dalle decisioni che dovranno essere assunte nel prossimo Consiglio del 28 e 29 giugno. Occorre accelerare la scelta su quale strada prendere. L’esistenza di un Europa a più volecità è un elemento che si riverbera anche sulle posizioni politiche dei paesi più rilevanti. Non c’è più la Germania da una parte e gli altri dall’altra parte: ci sono diverse prospettive con cui si guarda al futuro dell’Unione e trovare una sintesi politica non è facile.

Il caso Spagna e il voto di domenica in Grecia con l’incognita di un’eventuale uscita del paese ellenico dall’euro: due emergenze. Da Bruxelles si teme un effetto-domino per l’Italia?

C’è la consapevolezza, abbastanza diffusa della situazione in cui ci troviamo. Tuttavia, non c’è la conseguente predisposizione di strumenti per affrontare i problemi contingenti.

Perché?

Perché l’aver deciso negli ani di accelerare sulla costruzione di un’Europa più economica che politica e istituzionale, oggi produce come conseguenza naturali egoismi nazionali di fronte alla crisi.  Manca un regolatore centrale in grado di fare da cuscinetto e ammortizzare le singole situazioni di difficoltà. In questa fase di grande debolezza economica, i paese avrebbero bisogno di maggiore solidarietà, di richiamarsi a dei valori nei quali però, non si riesce più a riconoscersi in maniera unitaria.

Della serie: sudditi e non cittadini?

Esatto.

Visione grave.

E’ questo il punto di debolezza. Il problema è che non abbiamo creato consapevolezza democratica. Oggi i cittadini si trovano a confrontarsi con un’Europa che sentono più vicina ma in modo errato perché avvertono che è piombata sulle loro teste una sovrastruttura nazionale che impone regole e percorsi proprio nel momento in cui si estremizzano i bisogni. A questo contenitore sovranazionale sia attribuiscono tutte le responsabilità e si collegano tutte le possibilità di soluzione. In altre parole: c’è un soggetto percepito come sconosciuto dal quale, però, dipendono i nostri destini e col quale non abbiamo comunicazione perché i vertici sono scollegati dalla base.

Un esempio concreto?

 Il fatto più esemplare lo verifichiamo anche nel comportamento del Consiglio nei confronti del Parlamento europeo e della stessa Commissione.

In che senso?

I governi assumono decisioni escludendo totalmente il Parlamento europeo dalla partecipazione. Ma il Parlamento è l’unico organismo democratico delle istituzioni delle istituzioni europee, unico luogo in cui il cittadino può sentire di svolgere un ruolo e di potersi riappropriare del proprio diritto di cittadinanza.

A cosa si riferisce in particolare?

A pacchetti di misure importanti che oggi dovrebbero decidere del destino dei 27: il pacchetto fiscale e il pacchetto crescita. Il primo è stato deciso all’improvviso dai governi malgrado qualche aggiustamento fatto dal Parlamento europeo. La stessa cosa si pensa di fare col pacchetto crescita se si può parlare di pacchetto-crescita perché le anticipazioni di cui si sente parlare non mi sembra corrispondano alle reali esigenze di crescita in questa fase. Anche in questo caso il metodo è quello governativo, non comunitario che, invece, rappresenta la formula che potrebbe recuperare maggiore partecipazione dei cittadini e costruire una maggiore consapevolezza democratica.

Sì, ma abbiamo ceduto quote importanti della nostra sovranità nazionale.

Non dovremmo avere paura di condividere politiche economiche, di bilancio e fiscali con altri paesi dell’Unione se solo avessimo il coraggio di definire regole chiare e attribuire competenze agli organismi europei democraticamente eletti. È evidente che in questa fase, non avendo organismi realmente rappresentativi dei governi nazionali e non di diretta emanazione, abbiamo il timore di affidare decisioni rilevanti ad altri. Condivido in pieno l’incipit del Manifesto per l’Europa delle fondazioni di area centrodestra quando si dice che tutto questo deve avvenire in un percorso che parta dai popoli. Lo schema è: scelta democratica delle istituzioni, partecipazione popolare e cessione di competenze specifiche alle quali collegare cessione di poteri necessari alla gestione e responsabilizzazione di tutti i livelli nazionali ed europei in una condivisione regolata mediate istituzioni riconosciute democraticamente.

Nel Manifesto per l’Europa c’è un richiamo preciso ai dossier Welfare e Sussidiarietà.

Il bivio di fronte al quale l’Europa si trova comprende anche decisioni su questi temi. Parliamo tutti di una maggiore integrazione dell’Unione europea ma la realtà è che da una parte c’è chi come la Germania la intende nella prospettiva di una maggiore centralizzazione dei poteri e di cessione di ulteriori spazi di sovranità nazionale senza alcun bilanciamento; dall’altra c’è chi sostiene che l’integrazione prima di tutto deve avvenire sul piano dei valori, dei metodi e delle regole per poi arrivare all’attribuzione dei poteri ma sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Nel Manifesto, infine c’è una riflessione sulle politiche di stabilità. Qual è la sua opinione?

Puntare al rigore e alla stabilità è un punto fondamentale ma da solo non basta. In vista del Consiglio europeo, come delegazione italiana del Pdl abbiamo deciso di sostenere una linea diversa dal Ppe perché riteniamo che l’austerità imposta dall’Unione europea non sia adeguata per il presente e per il futuro e che alla rigidità si debbano accompagnare alcune regole che promuovono lo spirito comunitario e tra queste – ad esempio – l’istituzione del ‘fondo di redenzione’ nel quale dovrebbero confluire i debiti nazionali che superano la soglia del 60 per cento per essere garantiti solidalmente dai 27; l’autorizzazione alla prima emissione di obbligazioni di progetto e la esclusione dai parametri del patto di stabilità delle spese per investimenti, anche solo nazionali.

Nascerà mai l’Europa politica?

Personalmente ritengo necessario accelerare sul progetto europeo. E’ l’unica strada perché o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno.