L’Europa è divisa, Gazprom ne approfitta
26 Febbraio 2008
Gazprom ha festeggiato il suo
quindicesimo anniversario con uno stratosferico party al Cremlino. Tina Turner
si è esibita in concerto davanti a un pubblico di seimila persone sotto lo
sguardo compiaciuto del presidente Putin e del delfino Medvedev. “Una vittoria
dopo l’altra” è lo slogan che si legge più frequentemente sui cartelloni di
Mosca.
Dopo la festa Putin è tornato agli
affari incontrando il presidente ucraino Viktor Yushchenko. La Russia vanta un
credito di un miliardo e mezzo di dollari con il governo di Kiev e negli ultimi
mesi il primo ministro Timoshenko era riuscita a rinviare le scadenze.
Putin ha accettato di chiudere un nuovo accordo: la Russia non staccherà la
spina anche se è lecito chiedersi ancora per quanto tempo. Per adesso gli
ucraini tirano un sospiro di sollievo.
Tutte le decisioni chiave di Gazprom vengono prese al
Cremlino. Mikhail
Zygar, inviato speciale del Kommersant, e Valery Panyushkin
del Vedomostisu, hanno raccontato in modo brillante l’ascesa del
gigante energetico in un libro intitolato Gazprom, la nuova arma russa.
Colpiscono soprattutto le parole dell’ex primo ministro Gaidar che all’inizio
degli anni Novanta gestì il delicato passaggio dal sistema di pianificazione
sovietico all’economia mercato: “Chernomyrdin aveva un’idea. Per riuscire a
preservare l’industria del gas bisognava spingere i quadri e gli operai a
lavorare per il proprio interesse e non più sotto la minaccia della forza”. Chernomyrdin
comprese che il controllo dello stato sull’economia era al capolinea e che
servivano nuove linee guida per rinnovarsi, competere, produrre per davvero. Da
qui la complicata ma efficace ristrutturazione di Gazprom, un’azienda che oggi
offre lavoro a circa mezzo milione di persone.
Chernomyrdin voleva creare un gruppo talmente forte che “se
anche un folle si fosse trovato a gestirlo, non sarebbe stato in grado di
distruggerlo”. I nuovi manager di Mosca hanno studiato a lungo le aziende
energetiche sparse in giro per il mondo, compresa l’italiana ENI. Il rapporto
di coopetition (e cioè di cooperative-competition)
tra russi e italiani è diventato sempre più intenso, facendosi strettissimo
dopo l’intesa raggiunta su South Stream, il gasdotto che nei prossimi anni
dovrebbe collegare la Russia all’Unione europea attraverso il Mar Nero. Gazprom
fornirà la materia prima, l’ENI le tecnologie. Gli italiani vogliono ottenere
le concessioni per andare a fare ricerca ed estrazioni direttamente sul
territorio russo. I russi mirano a entrare nel mercato dell’energia elettrica
italiana tramite Enipower.
Il presidente Putin sembra inarrestabile. Lo scorso gennaio
ha firmato un accordo a Sofia che prevede il passaggio di South Stream in
Bulgaria. Nel frattempo la Russia porta avanti il progetto
North Stream, l’arteria gemella che dal
Baltico condurrà nei mercati dell’Europa del Nord. Il consorzio è controllato
da Gazprom, con i gruppi tedeschi Eon e BASF e l’olandese
Gasunie.
Coordinatore l’ex cancelliere tedesco Schroder.
L’Unione Europea cerca una
difficile via di fuga. Da una parte è costretta a stringere accordi con il suo
maggiore fornitore di gas, la Russia, dall’altra vorrebbe ridurre questa
dipendenza e guarda al Caspio, verso l’Azerbaigian e l’Iran, per trovare
alternative credibili. Secondo Ferran Tarradellas, portavoce del
commissario per l’Energia, attualmente la Commissione Europea considera
prioritario un altro progetto, il Nabucco,
che porterà il gas in Europa passando attraverso la Turchia e i paesi
dell’Europa Orientale. Una rotta diversa rispetto a quelle stabilite con la
Russia.
La costruzione del Nabucco e lo sfruttamento delle pipelines
sono stati assegnati a un consorzio internazionale diretto dalla società petroliera
austriaca Omv, con l’ungherese Mol, la turca Botas, la bulgara Burgaz e la
romena Transgaz. All’inizio di febbraio si è aggiunta
anche la compagnia tedesca Rwe. Il gasdotto avrà come punto di partenza le
frontiere della Turchia con la Georgia e l’Iran e come punto di sbocco il nodo
Baumgarten in Austria, da cui si ramificano i principali assi di distribuzione
del gas nell’Europa continentale. Il Nabucco prevede la possibilità di
collegare la rete con altre sorgenti di gas disponibili nella zona, come quelle
della Siria, dell’Iraq, dell’Egitto e del Turkmenistan.
La Turchia nicchia. Nonostante gli impegni solenni, Ankara
ha ancora qualche dubbio sui costi dell’operazione. Jozias van Aartsen – il coordinatore europeo per i progetti di trasporto del gas
naturale nell’Europa meridionale – è stato ad Ankara dove ha incontrato il
premier Erdogan e i ministri del governo turco: tutti hanno concordato sul
fatto che la sicurezza energetica della Turchia coincide con quella
dell’Europa. “Il progetto Nabucco si avvia a diventare realtà”, ha detto Van
Aartsen prima di ripartire per Bruxelles. Per la Commissione Europea la via
turca non è un progetto anti-russo. Non ci sarà una contrapposizione tra
Nabucco e South Stream, se mai potrebbe verificarsi un collegamento tra i due
gasdotti.
Siamo di fronte a un labirinto energetico in cui si
moltiplicano i progetti alternativi a
Mosca. Il Gruppo svizzero Elektrizitats-Gesellschaft
Laufenburg AG (EGL) ha ratificato un accordo sottoscritto con
la compagnia norvegese Statoil Hydro ASA per la costruzione della Trans Adriatic Pipeline Gas (TAP), la conduttura che attraverserà il Mare Adriatico
unendo l’Albania all’Italia. Per sfuggire alla morsa russa, l’Ucraina vorrebbe
realizzare il White Stream, un altro tracciato che
permetterebbe a Kiev di portare il gas in Europa via Iran e Georgia. La Georgia
è uno stato centrale nella ‘guerra del gas’ e la Russia sta facendo terreno
bruciato intorno a Tbilisi. I black-out di Mosca colpiscono anche l’Albania e
la Turchia. In una conferenza stampa che si è svolta a Bruxelles alla fine di
gennaio, il primo ministro ucraino Tymoshenko ha ribadito il sostegno del suo governo al Nabucco, aggiungendo
che White Stream rappresenta una opportunità in più per aggirare Gazprom.
Nel giro di un decennio la Russia potrebbe essere incapace
di soddisfare la propria domanda interna di risorse energetiche, figuriamoci
quella del mercato europeo. La maggior parte del gas russo viene estratto da un
numero di grandi, grandissimi, ma purtroppo vecchi giacimenti. Il tasso
d’estrazione diminuisce mentre la domanda cresce rapidamente. L’International Energy
Agency (IEA) ritiene che la Russia debba aprire nuovi giacimenti se vuole
mantenere i livelli di consumo attuale. Servono anche le infrastrutture che
sono state colpevolmente dimenticate nel decennio della grande rimonta. Le
previsioni più pessimistiche parlano di un calo del 25% nelle esportazioni di
gas a partire dal 2015.
Putin continua a stringere mani. Miller, l’ad di Gazprom, è
volato a Teheran per discutere un progetto di cooperazione nel settore del gas
naturale con l’Iran. La cooperazione riguarda l’estrazione e lo sviluppo delle
riserve di gas, e l’attività congiunta nel trasporto, nella raffinazione e nel marketing
del prodotto. Russia e Iran sono due dei maggiori esportatori di gas naturale al
mondo e i rispettivi presidenti hanno ipotizzato di creare una sorta di “Opec
del gas”, un cartello in grado di controllare i rifornimenti e imporre il
prezzo delle materie prime. Questo accordo sarebbe il tassello che manca alla
Russia per trasformarsi nel maggiore fornitore energetico del futuro.
Se è vero che la dipendenza dell’Europa dalla Russia è un
dato di fatto, gli stati europei potrebbero mostrarsi più indipendenti
politicamente cercando alternative credibili a uno scenario che appare molto
rischioso. L’Europa deve frenare la competizione interna nel mercato
dell’energia e ricompattarsi in un solo fronte se l’obiettivo è davvero quello
di contenere Gazprom.
Per adesso i Paesi del Vecchio Continente continuano a
firmare accordi bilaterali con Mosca, l’Unione stenta a coordinarsi, e Putin
avanza sicuro nella periferia orientale dell’Europa. L’ENI e le altre grandi
cordate private si muovono in piena autonomia rispetto ai governi nazionali e
vogliono avere le mani libere (giustamente). Quello che manca all’Europa è una
politica energetica comune e speriamo che questa non sia la punta dell’iceberg.
Le rotte del gas s’incrociano con le questioni della convivenza, della pace e
del rispetto dei diritti umani. Ma il Cremlino ha minacciato un intervento
armato in Kosovo tre giorni dopo l’indipendenza dell’ex provincia serba.